venerdì 24 gennaio 2020

La sociologia e la questione del male nel mondo
Chiamale se vuoi disfunzionalità…

La sociologia non mette voti
Ogni tanto capita che durante un incontro tra amici, ma talvolta anche pubblico, ultimamente nel corso di un confronto con alcuni religiosi, di sentirmi chiedere  che cosa sia il male nel mondo per un sociologo. 
Domanda a dir poco imbarazzante, perché la sociologia, nonostante le avventurose e romantiche origini storiche ( De Maistre, De Bonald, Comte e Sansimoniani),  non è assolutamente una scienza morale,  non mette voti  ai comportamenti sociali.  Può però valutare la disfunzionalità di un sistema sociale dal punto di vista dei suoi valori prescrittivi:  di ciò che si deve fare perché un sistema sia coerente con le sue scelte e motivazioni socialmente approvate.

Il male disfunzionale
Ad esempio, un sistema liberale non può mettere in prigione le persone per le loro idee. La  punizione della libertà di parola e pensiero è disfunzionale rispetto ai valori prescritti.  Il che però vale in linea principio, perché  esistono correnti  di pensiero contrarie alla libertà di parola, che, qualora  diventassero dominanti,  snaturerebbero, proscrivendoli, i valori della società aperta.  Pertanto i nemici della libertà di parola e pensiero sono disfunzionali alla società liberale.  Rappresentano il male, male disfunzionale, ovviamente. Insomma, anche  la società liberale non può non difendersi dai suoi nemici, pena la sua stessa esistenza.
Dal punto di vista sociologico  vale però anche  il contrario:  in un sistema sociale  dominato, semplificando, da valori illiberali,  il fattore disfunzionale  - il male, se si vuole -  è rappresentato dalla diffusione di valori liberali. Di qui, la necessaria attività difensiva della società chiusa verso tutto ciò che può metterla in pericolo.  

 La questione del relativismo
Ripeto, si tratta naturalmente di una interpretazione sistemica del male, che non guarda ai suoi contenuti assoluti, ma agli aspetti funzionali e disfunzionali.
Può essere sufficiente? Di solito  i miei interlocutori, una volta ascoltate queste  tesi, mi accusano di relativismo. E in effetti è così. Ragionare di disfunzionalità, ammesso e non concesso  che tutti i comportamenti sociali siano improntati alla funzionalità sistemica, recide alle origini qualsiasi opzione valoriale, cioè  di un valore superiore a tutti gli  altri.  


La moralità come un lusso…
Il punto è che la società, nella sua concretezza, resta  un coacervo di valori e interessi, spesso opposti, valori e interessi che gli individui perseguono liberamente, senza porsi troppi problemi di coerenza prescrittiva rispetto ai valori dominanti.
Soprattutto le questioni morali per la maggioranza delle persone sono un lusso,  o comunque qualcosa, che se non condensato nel diritto positivo, penale e civile, si trasforma in quello che una volta era l’abito buono da indossare nelle grandi occasioni.  Sicché il male e il bene a livello microsociale non sono  meno afferrabili del male e bene  a livello macrosociale, se non, come sottolineato, quale fattore disfunzionale sistemico, entro certi limiti microsociologici, come appena ricordato.

Macro,  micro e  guerra
C’è però un aspetto del male, che a livello micro e macrosociologico, se  aiutato dal giudizio storico,  può essere preso in considerazione.  Quello del rapporto tra decisioni politiche e mutamento storico.  
Esistono, storicamente parlando, personaggi (monarchi, uomini di stato, condottieri e generali) che assumendo macrodecisioni  hanno inciso sulle microdecisioni di milioni di individui, generando un semplice mutamento di  contesto,  come ad esempio il passaggio dalla pace alla guerra.
Cambiare, e in peggio, anche temporaneamente,  la vita delle persone,  ad esempio dichiarando guerra,  può essere giudicato un male. Che gli uomini di solito temperano con la promessa di una vita migliore dopo la guerra. Il che  rinvia alla prudente logica del male minore: “Facciamo questa guerra, per impedire un male maggiore, poi però staremo tutti meglio”.

La filosofia della guerra
In realtà, la differenza tra il male minore e maggiore  è rappresentata dalla filosofia di fondo che si cela dietro la decisione di fare la guerra. Se sullo sfondo c’è una dichiarata filosofia bellicista, che punta a costruire le proprie fortune sulla conquista militare, siamo in presenza del male. Come dire? Del male strutturato.
Certo, storicamente parlando, non è facile  attribuire una filosofia militarista, quindi una “struttura” del (e al) male:  la storia è un groviglio di guerre difensive, preventive, aggressive. Alcune unità politiche però, per tradizioni interne, sono più predisposte di altre. Potrei fare dei nomi. Preferisco però  siano i lettori a pronunciarsi.

L’ipotesi conflittualista
Resta infine  l'ipotesi, formulata  dalla scuola sociologica conflittualista,  che  alla  base di ogni ordinamento  politico  e in particolare dello stato, vi sia  la conquista militare e l’assoggettamento dei vinti. Pertanto il male  sarebbe alle origini di ogni società politica. 
Insomma,  come si può capire, il male nel mondo esiste,  tocca aspetti macro e soprattutto micro sociologici, ma è difficile individuare, soprattutto dal punto di vista delle colpe  morali.  i suoi  agenti sociali. Ho accennato al fattore bellicista.  Ma, come detto,  preferisco  non fare nomi… Per oggi.

Carlo Gambescia