martedì 28 gennaio 2020

L’ignoranza politica della sinistra
Non solo flussi elettorali…

L’andamento  dei  flussi elettorali spiega qualcosa ma non tutto.  E sicuramente l'approfondimento dei dati  non è aiutato dal  grossolano uso che ne  fanno  partiti, mass media e social.   
Tutto ciò  indica l’enorme distanza tra una politica colta, fondata sulla  mediazione intelligente e una politica urlata, ignorante, che vuole vincere a ogni costo puntando  su slogan irriflessivi.
Un esempio? Appena  l’Istituto Cattaneo -  attendibilissimo, per carità  -  ha osservato  che in Emilia il voto di  due elettori su tre di Cinque Stelle  è  andato  al  Partito democratico,  Prodi, che pure appartiene per età alla vecchia scuola della politica,  ha subito parlato  sconsideratamente  di Alleanze di centro-sinistra e di nuovo Ulivo… 
Ora,  il  blocco  riproposto da Prodi,  vent’anni dopo (come nel romanzo di Dumas),  non è  assolutamente   di centro-sinistra  ma di sinistra sinistra-centro.   E per una semplice ragione: per recepire i desiderata dell’elettore di Cinque stelle, statalista e giustizialista al cento per cento  - cosa che tra l’altro sta già accadendo - il Pd  non potrà non  spostarsi a sinistra, e di molto.  Sicché  le  forze di  centro (tra l'altro al momento ridotte a poca cosa),  rischiano, una volta imbarcate a sinistra, di  fare solo sì con la testa, come quei  cagnolini finti, un tempo in bella vista sui lunotti delle auto.
Esiste pure la questione della legge elettorale che, al di là della caccia al voto grillino,  riguarda in particolare la governabilità.  Una legge maggioritaria (anche mista) punirebbe il Movimento Cinque Stelle oggi in caduta libera, trasformandolo in socio, seppure aggressivo, di minoranza. Se proporzionale, invece lo premierebbe, tramutandolo in partitino rissoso e arrogante, trasformando  così l’auspicato governo di sinistra in  una gabbia di matti.

Al fondo della questione  - il problema dei problemi -   resta però  l’ introvabile  identità riformista del Partito Democratico.  Cosa vuole fare da grande?  Tenere conto responsabilmente delle regole dell’economia di mercato?  Oppure, continuare a puntare  sull’assistenzialismo  spendaccione?
Certo, un partito di sinistra, in economia,  non può dire cose di destra, figurarsi in Italia, dove addirittura la destra, pur di non perdere elettori, dice  - sempre in economia -  cose di sinistra.   
Qui però si   tratta di sciogliere un nodo importante  che la sinistra in particolare  si è sempre guardata bene  dall’ affrontare:  il rifiuto storico dell’economia di mercato  che risale ai tempi del socialismo rivoluzionario e poi del frontismo social-comunista  e persino del primo centrosinistra, quello degli anni Sessanta.   
Si tratta del rfiuto, per dirla ancora più precisamente con l’economista  Giuseppe Palomba,  dell’espansione capitalistica e soprattutto delle sue regole, in particolare di una regola, fondamentale: che lo stato, per un elementare principio di bilancio, matematico-economico diciamo,  non può e non deve socializzare le perdite e privatizzare i profitti.
Qualche esempio? I casi Alitalia, i cui dipendenti ormai sono stipendiati  con decreti governativi; dell’ Ilva, dove si è veramente  fatto il peggio per far  scappare la cordata privata guidata da imprenditori indiani.  E da ultimo,  la buffonata, che però potrebbe costare cara ai contribuenti, del passaggio allo stato, via Cassa Depositi e Prestiti,  della gestione della rete autostradale.
Su questi punti una sinistra occidentale, socialdemocratica, non pseudo-riformista,  dovrebbe dire la sua.  Chiarire insomma che senza espansione, come diceva Turati ai comunisti di Gramsci abbacinati dal leninismo, si rischia di  dividere solo la triplice fame e la triplice miseria.   
Lo strabiliante  progresso italiano degli anni Cinquanta  fu favorito  dagli alti tassi di sviluppo e  dall’apertura dei mercati, meravigliosamente seguita alla tremenda autarchia fascista. Insomma, la torta “collettiva” (al netto dei tributi, ma questa è un’altra brutta storia…), se proprio ci si tiene, deve crescere, deve essere sempre più grande,  altrimenti gli utili sociali da redistribuire  si riducono a loro volta.


Zingaretti su questo tace,  addirittura si atteggia a ecologista presentando  la  “transizione ecologica”  -  ammesso e non concesso  che il parolone  abbia un senso scientifico  -  come  qualcosa di  indolore  per il  contribuente, una cosetta così insomma…   
Qual è il lato tragico ( e per alcuni anche comico) della questione?  Che Zingaretti, che  ha il diploma di odontotecnico, e Prodi, che invece è accademico, dicono la stessa cosa.  
Si chiama, come dicevano all’inizio,  ignoranza politica.  Che prescinde dagli studi.   

Carlo Gambescia