giovedì 30 gennaio 2020

La legge di Thomas, il Coronavirus  e l’ufficio postale
Caccia all’untore

Ieri pomeriggio mi sono recato alla posta sotto casa per pagare alcune bollette. I posti a sedere, una ventina,  erano tutti occupati, meno sei. Perché? Due di quei sedili erano occupati da asiatici, una coppietta di giovani giapponesi (vivo in una zona  frequentata da turisti).  Intorno si era fatto il vuoto.
Non c’ è nulla da fare il vecchio William  Thomas,  sociologo dalla vita burrascosa (almeno per gli Stati Uniti al tempo del ragtime), non sbagliava: se un uomo giudica reale una situazione, le sue conseguenze saranno reali. Tradotto, e veniamo al Coronavirus: non importa che gli esperti ripetano che questa  forma di malattia  parainfluenzale non sia particolarmente pericolosa. Si tratta però  di un  virus, e  solo il termine genera timore, paura, addirittura terrore.  Di qui  il cordone sanitario spontaneo  verso  due ragazzi giapponesi, scambiati per cinesi.  
Del resto, le cronache confermano  che in questi giorni  in Italia (ma probabilmente in tutto il mondo) l’atteggiamento verso chiunque abbia i famigerati  occhi a mandorla  è cambiato. Alla paura di morire, fenomeno altrettanto epidemico, geometricamente epidemico, si è affiancata, con altrettanta forza geometrica,  l’ostilità verso chi sia fisicamente diverso da noi, giustificata, come dichiarano gli intervistati,  dalla paura del contagio.
Che cosa si può fare?  Non molto.  Le rassicurazioni scientifiche non servono più di tanto, anche perché al razzismo, sanitario o meno,  si accompagna sempre il cospirazionismo, tipico residuo magico delle fobie.  Il che riporta, chiudendo il cerchio, alla  paura di morire, che però talvolta  consegue, come detto, da un esame della realtà secondo i criteri irrazionali-razionali individuati da Thomas. Irrazionali, perché frutto del credere piuttosto che del capire,  razionali perché producono conseguenze razionali, come  giustificare razionalmente,  come nelle epidemie autentiche,  misure come l’isolamento delle persone contagiate o portatrici di contagio.

In Italia,  finora,  non si sono  registrati casi,  eppure ci si comporta come se l’epidemia stesse mietendo milioni di vittime. 
Cosa augurarsi?  Che la vicenda  si sgonfi da sola. Ovviamente,  i tempi sociali,  nel caso del “contagio” psichico sono rapidi mentre la “guarigione”  psichica richiede tempi più lunghi: la paura svolge un ruolo che facilità l' autoconservazione dei comportamenti stessi che l'hanno provocata. 
Sul punto, sia in entrata che in uscita, l’atteggiamento dei   mass media vecchi e nuovi  gioca sempre un ruolo importante sul piano della propagazione.  Di regola però in negativo. Come effettivamente sta accadendo.
Le società, piaccia o meno, godono di poteri autoregolanti, soprattutto sul piano dei comportamenti collettivi (i cosiddetti fenomeni massa  comandati dalle regolarità dell’imitazione sociale). Comportamenti  che però si azionano, per così dire, a prescindere dal contenuto di verità della credenza, e che  assumono  inevitabilmente  potere proprio e autocondizionante. 

Ciò significa, che le società, prese nell’insieme,  ignorano i finalismi morali,. Per usare una metafora:  non distinguono mai  tra il bisturi usato dal chirurgo per operare un paziente e salvarlo, e il bisturi usato dallo stesso chirurgo per uccidere un collega rivale. Sicché, sociologicamente parlando, il meccanismo autodifensivo,  scatta  al solo apparire di  un uomo con il  bisturi in mano,  a prescindere dall’uso che voglia realmente  farne.  Quell’uomo è comunque percepito come un potenziale  assassino. O un untore.  
Ovviamente,   quando  un' epidemia  è  reale   il terrore del contagio  assolve un compito di autoconservazione sociale attraverso la difesa dell' autoperpetuazione dei suoi membri. Ma quando non c'è certezza?  Oppure l'epidemia è  "reale",  ma soltanto secondo i meccanismi della legge di Thomas?    
Carlo Gambescia