La legge di Thomas, il Coronavirus e l’ufficio postale
Caccia all’untore
Ieri
pomeriggio mi sono recato alla posta sotto casa per pagare alcune bollette. I
posti a sedere, una ventina, erano tutti
occupati, meno sei. Perché? Due di quei sedili erano occupati da asiatici, una
coppietta di giovani giapponesi (vivo in una zona frequentata da turisti). Intorno si era fatto il vuoto.
Non
c’ è nulla da fare il vecchio William
Thomas, sociologo dalla vita
burrascosa (almeno per gli Stati Uniti al tempo
del ragtime), non sbagliava: se un uomo giudica reale una situazione, le sue
conseguenze saranno reali. Tradotto, e veniamo al Coronavirus: non importa che
gli esperti ripetano che questa forma di
malattia parainfluenzale non sia
particolarmente pericolosa. Si tratta però di un virus, e solo il termine genera timore, paura, addirittura terrore. Di qui il cordone sanitario spontaneo verso due
ragazzi giapponesi, scambiati per cinesi.
Del
resto, le cronache confermano che in
questi giorni in Italia (ma
probabilmente in tutto il mondo) l’atteggiamento verso chiunque abbia i
famigerati occhi a mandorla è cambiato. Alla paura di morire, fenomeno altrettanto epidemico, geometricamente epidemico, si è
affiancata, con altrettanta forza geometrica,
l’ostilità verso chi sia fisicamente diverso da noi, giustificata, come dichiarano gli intervistati, dalla paura del contagio.
Che
cosa si può fare? Non molto. Le rassicurazioni scientifiche non servono
più di tanto, anche perché al razzismo, sanitario o meno, si accompagna sempre il cospirazionismo, tipico residuo magico delle fobie. Il che riporta,
chiudendo il cerchio, alla paura di
morire, che però talvolta consegue, come detto, da un esame della realtà
secondo i criteri irrazionali-razionali individuati da Thomas. Irrazionali,
perché frutto del credere piuttosto che del capire, razionali perché producono conseguenze
razionali, come giustificare
razionalmente, come nelle epidemie autentiche, misure come l’isolamento delle persone contagiate o
portatrici di contagio.
In
Italia, finora, non si sono registrati casi, eppure ci si comporta come se l’epidemia
stesse mietendo milioni di vittime.
Cosa
augurarsi? Che la vicenda si sgonfi da
sola. Ovviamente, i tempi sociali, nel caso del “contagio” psichico sono rapidi mentre la “guarigione”
psichica richiede tempi più lunghi: la paura svolge un ruolo che facilità l' autoconservazione dei comportamenti stessi che l'hanno provocata.
Sul
punto, sia in entrata che in uscita, l’atteggiamento dei mass media vecchi e nuovi gioca sempre un ruolo importante sul piano della propagazione. Di regola
però in negativo. Come effettivamente sta accadendo.
Le
società, piaccia o meno, godono di poteri autoregolanti, soprattutto sul piano
dei comportamenti collettivi (i cosiddetti fenomeni massa comandati dalle regolarità dell’imitazione
sociale). Comportamenti che però si
azionano, per così dire, a prescindere dal contenuto di verità della credenza, e che assumono inevitabilmente potere proprio e autocondizionante.
Ciò
significa, che le società, prese nell’insieme, ignorano i finalismi morali,. Per usare una metafora: non distinguono mai tra il bisturi usato dal chirurgo per operare
un paziente e salvarlo, e il bisturi usato dallo stesso chirurgo per uccidere
un collega rivale. Sicché, sociologicamente parlando, il meccanismo autodifensivo, scatta al solo apparire di un
uomo con il bisturi in mano, a prescindere dall’uso che voglia
realmente farne. Quell’uomo
è comunque percepito come un potenziale assassino. O un untore.
Ovviamente, quando un' epidemia è reale il terrore del contagio assolve un compito di autoconservazione sociale attraverso la difesa dell' autoperpetuazione dei suoi membri. Ma quando non c'è certezza? Oppure l'epidemia è "reale", ma soltanto secondo i meccanismi della legge di Thomas?
Carlo Gambescia