Papa Francesco “strattonato”
La prevalenza del profano
Come
ne hanno parlato i mass media ? Che
anche il papa “si arrabbia” e che quindi
è un essere umano.
In
realtà, l'intera situazione, piuttosto che la sola reazione del pontefice, può essere letta come la metafora finale di una chiesa, che da Giovanni XXIII in poi, ha rinunciato all’esercizio sacrale della sua sovranità
sui fedeli, fin dalla figura del papa
stesso. E perfino nei minuti
comportamenti. Una situazione avvilente che con Papa Francesco, che si comporta
come un leader peronista, ha toccato il fondo.
Chi
scrive non è un tradizionalista, né un seguace della teocrazia, né peggio
ancora un clericale. Quel che ci interessa è il punto sociologico. E qual è? Che
l’autorità per essere sovrana impone il sano esercizio della distanza sociale,
unitamente alla consapevolezza della
distinzione tra status e ruoli. Ad esempio, un padre (status), verso il figlio, deve
comportarsi (ruolo) da padre, non da
amico; un professore non è un simpatico intrattenitore, ma un serio docente. E così via.
Di
conseguenza, anzi a maggior ragione, un papa più si espone, riducendo
la distanza sociale, anche in senso fisico,
con i fedeli, più rischia di essere “strattonato” e poi di reagire, come ogni
altro essere umano. Anche male. E quindi di risultare antipatico, se non
odioso.
Attenzione
però, qui non è in gioco l’attribuzione collettiva al papa di una natura metafisica. Bensì la necessità sociologica, se si vuole fisica, materiale, che il papa faccia il papa,
non il divo sul carpet di qualche
festival del cinema o del canzone.
Tutto
ciò, ripetiamo, rimanda al rispetto del proprio ruolo e status. Due figurazioni
sociali che nell’istituzione religiosa
hanno per giunta natura sacrale. Parliamo di una condizione che, già di per sé, rinvia al rispetto sociale di una entità
istituzionale in termini relazione tra superiore e inferiore. Figurarsi perciò in ambito sacrale...
Il
nostro rilievo, sia chiaro, non è teologico ma sociologico. Insomma, piaccia o meno, l’autorità,
se la si vuole conservare, funziona
così. Impone distanza.
Detto
in altri termini: quanto più la chiesa si mescola
al mondo (altra cosa è il paolino parlare al mondo) tanto più si confonde
con il mondo, rischiando irrispettose "strattonate" e reazioni altrettanto "mondane".
In
qualche misura, siamo davanti a una forma di rinnovato clericalismo. Il papa che passeggia sul carpet
di piazza San Pietro, toccando e facendosi toccare, fa politica, in favore degli interessi
mondani della Chiesa, come ogni altro
leader secolare, che bacia i bambini, accarezza le nonne,
sorride e ride, eccetera. Il papa cerca la
popolarità come qualsiasi altro leader politico, finendo così per reagire come qualsiasi altro leader politico.
Ma
c’è dell’altro. In questo modo, la differenza tra sacro e profano finisce per
essere un ricordo, dal momento che, come
appare chiaro, il papa può essere sfiorato, toccato, eccetera, ma può anche reagire come un nonno qualsiasi. E come un nonno
qualsiasi rischia di essere, oltre che giudicato, sopportato e trattato con sufficienza. Come accade a tutti i vecchi nella nostra
società. Ma questa è un’altra storia.
Tuttavia,
il papa, almeno sulla carta, non è un nonno qualsiasi, dietro la sua figura si erge la Chiesa , istituzione
bimillennaria, che però rischia, anch'essa, per estensione, l’emarginazione condiscendente.
Se
il vecchio clericalismo riduceva il papa a uno stolido monarca che non voleva comprendere che l’Ancien Régime era finito per sempre, e che voleva piegare il mondo moderno agli interessi
della chiesa, il nuovo clericalismo ha trasformato il papa in un presidente repubblicano, fin troppo entrato nel suo personaggio, che usa il moderno contro il moderno, il profano
contro il profano.
Se il Papa-Re abusava, travisandola, della sua sacralità, il Papa-Presidente ne fa
tranquillamente a meno. Ma, attenzione, in entrambi i casi, siamo davanti alla prevalenza del profano sul
sacro.
Per
far cadere il primo servirono i
bersaglieri, per il secondo basterà una strattonata…
Carlo Gambescia