mercoledì 22 gennaio 2020

La scomparsa di Roger Scruton
Fu vera gloria?

Ho fatto passare una decina di giorni prima di ricordare  Roger Scruton (1944-2020), scomparso il 12 gennaio, portato via in quattro e quattr’otto dal cancro. Come capita nella società  âgée...
Perché ho preso tempo?  Per contare fino a dieci… giorni. Scruton, che pure ho letto, non mi ha mai convinto. E parlare male o non bene di un morto è sempre disdicevole. Ora però desidero scrivere qualcosa. Comunque.
A chi voglia comprendere subito il personaggio, l’uomo diciamo, prima ancora di valutare l’intellettuale, consiglio di leggere un breve testo (*), dove Scruton ripercorre il suo 2019, prima con il compiacimento del professore arrivato e conteso dai frastornati ambienti conservatori di tutto il mondo,  poi una volta scoperta la grave malattia,  con lo sconcerto del britannico che ritiene gli sia tutto dovuto,  seguito però  dalla rassegnata grazia del filosofo romano-imperiale. Il dolore prima o poi scolpisce. In genere, sempre poi.
Ripensando ai suoi lavori si scopre infatti un Seneca d'Oltremanica,  in conflitto con i neroniani postmoderni di mezzo mondo.  L’uno e gli altri però in sedicesimo. Intellettuali pubblici con tutti i limiti di un  termine oggi così di moda.  Senza più riflettere sul fatto che un tempo  “donna pubblica” non era certo un complimento.
Un pensiero, quello di Scruton, con tante deboli supponenze e rarissimi punti di vera forza.  Forse solo quando  sale sulle spalle dei suoi Antichi, Hume e Burke (così diversi, così vicini).

Si legge nell’articolo citato: “Avvicinandosi alla morte si inizia a capire cosa significhino vita e gratitudine”. Un bel pensiero degno di Seneca. Ma dopo Seneca…
Si affianchi una pagina di Scruton a una pagina di Burke e si coglierà subito la differenza:  tra chi ha capito la rivoluzione (Burke) e chi la teme e basta (Scruton).  Ne ha paura, insomma.  E si arrangia, anche con se con mestiere, come intellettuale pubblico. Viaggia, gira il mondo, parlando di declino, vino, tabacchi. Per poi tornare, compiaciuto,  ai suoi scogli, non solo nel senso dell’insularità britannica.
Il suo conservatorismo pessimista, in un mondo liberal, dove c’è poco da conservare, appare in contrasto con le ricerca della libertà, inseguita da tutti, afferrata da pochi. Eppure sempre ricercatissima.
Un mito   - certamente -  al quale egli però ne oppone un altro: secondo Scruton la felicità non esiste se non come l’ abito  intellettuale cucito dalle tradizioni: dio, patria e famiglia, per sintetizzare. Ecco i suoi scogli!  

Un trittico miracoloso che però finisce sempre per legare o meglio imprigionare l’uomo al non miracoloso: alla Brexit, al populismo, a Meghan e Harry.  L’abracadabra  di certi conservatori che si occupano del coniglio, del cilindro  e della sala piena di spettatori plaudenti. Mentre fuori pulsa la vita.   Nulla di nuovo sotto il sole.
Certo  tre  istituti,  reintepretati in chiave di moderni costrutti antropologici e sociali. Scruton ha sempre saputo maneggiare le scienze sociali. Talvolta,  giocando fin troppo sul micro-macro, ricorda il tanto criticato, proprio da lui, Foucault. Però assiso sull’altro lato della barricata.  O meglio  aggrappato agli  scogli.
Scruton, stoffa di saggista, piuttosto che di teorico. Ha scritto una cinquantina di libri. Forse troppi. Abbondantemente tradotti anche in Italia, dove il conservatorismo  ha sposato prima la chiesa poi il fascismo e infine Berlusconi e Salvini. E ovviamente anche Scruton… Mai però, o comunque fino il fondo,  il liberalismo.    
Fu vera gloria? Decideranno i futuri lettori. 
Carlo Gambescia

(*) Qui: https://blogs.spectator.co.uk/2020/01/roger-scruton-1944-2020/  Il testo uscito in dicembre è riapparso, sempre su “The Specatator”,  in occasione della scomparsa di Scruton .