Gene Gnocchi, Claretta Petacci e il fascismo immaginario
Esiste
un immaginario, cioè un insieme di pregiudizi collettivi sulla realtà,
senza un nemico da odiare? Ovvero, un immaginario privo di un
capro espiatorio ? No.
Nell’universo
ideologico cristiano, e poi dell’Occidente, il pregiudizio collettivo basico è costituito dal meccanismo del peccato, che designa il capro
espiatorio nel Male, incarnato da Lucifero, rappresentato storicamente nelle sue forme più disgustose e pericolose.
Nel Novecento, la società
post-cristiana, quindi largamente secolarizzata, ma nelle venature inconsce ancora cristiana, ha
sostituito a Lucifero il totalitarismo nazi-fascista e in subordine
quello comunista.
Va sottolineato che le radici sociali dell’immaginario cristiano, affondano nelle persecuzioni romane, così come quelle dell’immaginario novecentesco rinviano alle persecuzioni poste in atto dai diversi
totalitarismi.
Che poi l’antitotalitarismo novecentesco sia più sentito di quello antiromano è una
questione di distanza storica: di regola, per giungere a una ricomposizione e designazione di un
nuovo capro espiatorio occorrono secoli e secoli. E qui rimandiamo ai classici studi di Max Weber sui profondi rapporti tra etica, economia, politica e religioni storiche
Attenzione però, la nostra è una spiegazione sociologica, che non giustifica il male effettivo
racchiuso nelle persecuzioni romane e totalitarie, si limita a spiegarne radici ed effetti di ricaduta
sull’immaginario.
Sappiamo
benissimo di essere partiti da lontano. E sospettiamo di aver giocato con la
pazienza del lettore, che a causa del titolo, a questo punto, riterrà
di essere vittima di un
inganno. In realtà, se non si riconduce ogni evento dal micro al macro, dalla
micro-sociologia alla macro-sociologia, si
rischia di fare solo confusione.
Nell’immaginario
di Gene Gnocchi, che in una delle sue satire ha definito “scrofa” Claretta Petacci, l’amante di Mussolini, il
male è rappresentato dal totalitarismo fascista, in modo così naturale e spontaneo, che il comico neppure si è reso conto dei contenuti offensivi racchiusi nel suo dire.
Offensivi rispetto a chi? Al contro-immaginario
fascista ( un tempo, il pagano) che scorge, a sua volta, nell’antifascista (un tempo, il cristiano) il nemico. O detto altrimenti, vi si scorge solo ciò che si vuole vedere, in chiave pre-razionale. Sicché, i contenuti - il fatto che la
Petacci fosse o meno ciò che è al centro dello scontro tra gli opposti immaginari - non importano, sia dal punto di vista dell'agire collettivo, che al capire preferisce il credere, sia da quello analitico, che punta al puro capire individuale dello studioso. Perché ciò che conta, e che regolarmente prevale, è la forma metapolitica dell’opposizione amico-nemico, come carattere distintivo di ogni immaginario
collettivo. Conta soltanto la necessità di attaccare, difendersi, contrattaccare con ogni mezzo lecito o meno.
Quindi soffermarsi sui contenuti, dal punto di vista analitico, significa confinarsi nell'ambito del contrasto di opinioni. Per dirla in termini alti, privilegiare la dòxa: l'opinione al lògos scientifico.
Va però ammesso onestamente che il liberalismo, per metà antico (cristiano), per metà moderno (illuminista), non dimentico quindi della ciclicità delle persecuzioni, da quella anticristiane a quelle cristiane, ha tentato, in modo ammirevole e con sforzo titanico, di erigere intorno all'immaginario un sistema di regole comportamentali, fondate sul rispetto reciproco, per sublimare il nemico e attenuare l’intensità del conflitto in chiave procedurale. Purtroppo nel Novecento, anche il liberalismo, vistosi aggredito dai totalitarismi, non ha potuto non riplasmare il suo immaginario collettivo in chiave spiccatamente antitotalitaria, sfiorando talvolta la panpoliticità. Ciò spiega, al di là del momentaneo clamore mediatico, la comune tolleranza delle battute di Gene Gnocchi, frutto di una convergenza iperpolitica in nome dell’antifascismo.
Quindi soffermarsi sui contenuti, dal punto di vista analitico, significa confinarsi nell'ambito del contrasto di opinioni. Per dirla in termini alti, privilegiare la dòxa: l'opinione al lògos scientifico.
Va però ammesso onestamente che il liberalismo, per metà antico (cristiano), per metà moderno (illuminista), non dimentico quindi della ciclicità delle persecuzioni, da quella anticristiane a quelle cristiane, ha tentato, in modo ammirevole e con sforzo titanico, di erigere intorno all'immaginario un sistema di regole comportamentali, fondate sul rispetto reciproco, per sublimare il nemico e attenuare l’intensità del conflitto in chiave procedurale. Purtroppo nel Novecento, anche il liberalismo, vistosi aggredito dai totalitarismi, non ha potuto non riplasmare il suo immaginario collettivo in chiave spiccatamente antitotalitaria, sfiorando talvolta la panpoliticità. Ciò spiega, al di là del momentaneo clamore mediatico, la comune tolleranza delle battute di Gene Gnocchi, frutto di una convergenza iperpolitica in nome dell’antifascismo.
Il che
però spiega pure come sia difficile esercitare l’arte della tolleranza e del
rispetto: sia da parte di chi fa le
battute, sia da parte di chi le critica, sia da parte, infine, di chi desideri
introdurre tolleranza e rispetto nelle relazioni umane.
Purtroppo, esiste negli uomini - ecco la lezione cognitiva - un riflesso carnivoro, in chiave collettiva, pre-razionale, che necessita di un nemico, e che sopravvive allo scorrere dei secoli e dell'incivilimento. Nel bene come nel male. E dunque, ripetiamo, a prescindere dai meriti o demeriti morali di Claretta Petacci.
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Non sono consentiti nuovi commenti.