Francesco e Pio XIII
Il Papa Alitalia e
il Papa di Sorrentino
Il Papa Alitalia
di Roberto Buffagni e Carlo Gambescia
Papa Francesco è di nuovo in
viaggio. Ancora un volta è tornato in America Latina. Il punto però non è
geografico, bensì motorio… Anzi, psico-motorio… Si pensi invece al Pio XIII di Sorrentino: parliamo di The Young Pope, serie che
nell'insieme ci è piaciuta.
Sorrentino è molto intelligente, e anche
molto furbo. Ha colto il punto della questione (dal pdv di uomo di spettacolo,
ininfluente che non sia credente): la Chiesa che "si aggiorna" fa un
colossale flop, un fiasco epocale, perché getta via il suo asset
principale, che è il mistero e il carisma del mistero, in altri termini il
sacro.
Due passaggi in particolare: il primo,
quando Pio XIII gela una suora anziana, cuoca dei papi, troppo friendly col nuovo arrivato al Soglio
pontificio, asserendo che “ci vogliono rapporti formali, perché questi generano
i riti, e i riti producono ordine”. Il secondo, quando “il giovane Papa”,
con una lucidità degna di Augusto Del Noce, dichiara al suo Segretario di
Stato (parafrasiamo): “Si deve cambiare. Non dobbiamo andare noi
verso i fedeli” assumendo pose mediatiche accattivanti, “sono
invece i fedeli che devono venire verso di noi”, ispirati dal senso
di mistero e ordine che la Chiesa “deve incarnare e dettare”.
Tradotto nel linguaggio dello spettacolo:
se tu hai, per dire, Catherine Deneuve a venticinque anni, non le metti un
sacco in testa e non le fai recitare la parte dell'impiegata alle poste che si
innamora del postino. In termini di spettacolo, la cosa è semplicissima, è così
e basta.
L’esatto contrario di quel che fa Papa
Francesco. Ci si perdoni la caduta di stile, perché pur sempre di un papa
si tratta: ma Francesco deve recitare il ruolo più impegnativo del mondo,
quello del Vicario di Cristo, perché lo gradisca o no, lo creda o no, quello è
il suo ruolo nel theatrum
mundi. E invece che fa? Si mette un sacco in testa e recita la parte
dell’ impiegato delle poste progressista, in nome di un cristianesimo
dolciastro, user-friendly,
da medico (dell’anima) senza frontiere. O se si preferisce, da cappellano
aggiunto della secolarizzazione: un
Papa Alitalia (che poi l'Alitalia vada male come la Chiesa , è un altro segnale
interessante: due decadenze, certo di tipo diverso, che però si abbracciano...), dicevamo un Papa Alitalia,
sempre sul piede di partenza che rincorre i fedeli per tutto il
pianeta. Specialista in civettuole conferenze stampa a
quindicimila metri, invece disdegnate, come i voli a gogò, dal
Pio XIII di Sorrentino.
In realtà, il Papa dovrebbe fare il Papa,
nel silenzio. Anche se a dire il vero, Pio XII, parlava, parlava,
parlava… Si inventò il radio-messaggio. Nonostante
ciò, Sorrentino ha giustamente vincolato il suo Young
Pope, per ovvie similitudini dottrinarie all’ eredità
dell’ultimo Papa romano: sugli
aspetti dogmatici, ma anche rituali, Pio XII era un duro.
Pertanto, l’idea di Sorrentino
è giusta. E ha un suo valore: diremmo addirittura un piacevolissimo retrogusto sociologico,
che ci fa capire che proprio in una società che si dice pluralista,
se il Papa si mette a ripetere le stesse cose che sono sulla bocca di
tutti gli altri, il pluralismo, visto che siamo in argomento, va a farsi benedire. O no?
Inoltre, per “buttarla” ancora sul sociologico, la dialettica movimento-istituzione - come conflitto tra dover essere ed essere delle cose sociali, tra ideali, teologici o meno e vita istituzionale - non è patrimonio esclusivo della Chiesa, ma rinvia alla natura delle "istituzioni" sociali, che essendo tali, non possono non assolvere le loro funzioni specifiche, "normalizzatrici" degli ideali e delle ideologie "movimentiste" e quindi dei conflitti. Ciò, nel caso della Chiesa, rimanda alla produzione sociale del sacro, quale funzione "normalizzata" o "istituzionalizzata" del trascendente, di cui, come istituzione, è storicamente "specialista". Se però la Chiesa non produce sacro ( semplificando: trascendente normalizzato), essa si trasforma in un'istituzione filantropica in competizione con tutte le altre istituzioni filantropiche e sociali, come sta avvenendo. Tuttavia le società hanno necessità di sacro. Quindi, poiché le società non ammettono il vuoto istituzionale, tale funzione sarà svolta da altre istituzioni, ovviamente senza alcun riferimento (almeno a livello di rischio) al trascendente normalizzato, che è tipico della Chiesa. Di qui, il pericolo di quei totalitarismi profani che hanno terribilmente e tristemente "movimentato" il Novecento.
Inoltre, per “buttarla” ancora sul sociologico, la dialettica movimento-istituzione - come conflitto tra dover essere ed essere delle cose sociali, tra ideali, teologici o meno e vita istituzionale - non è patrimonio esclusivo della Chiesa, ma rinvia alla natura delle "istituzioni" sociali, che essendo tali, non possono non assolvere le loro funzioni specifiche, "normalizzatrici" degli ideali e delle ideologie "movimentiste" e quindi dei conflitti. Ciò, nel caso della Chiesa, rimanda alla produzione sociale del sacro, quale funzione "normalizzata" o "istituzionalizzata" del trascendente, di cui, come istituzione, è storicamente "specialista". Se però la Chiesa non produce sacro ( semplificando: trascendente normalizzato), essa si trasforma in un'istituzione filantropica in competizione con tutte le altre istituzioni filantropiche e sociali, come sta avvenendo. Tuttavia le società hanno necessità di sacro. Quindi, poiché le società non ammettono il vuoto istituzionale, tale funzione sarà svolta da altre istituzioni, ovviamente senza alcun riferimento (almeno a livello di rischio) al trascendente normalizzato, che è tipico della Chiesa. Di qui, il pericolo di quei totalitarismi profani che hanno terribilmente e tristemente "movimentato" il Novecento.
Se poi Sorrentino ci credesse, non
diciamo nel cattolicesimo confessionale, ma nel sacro, come ad esempio ci
credeva il suo esempio/maestro/originale Fellini, sarebbe meglio, perché gli si
complicherebbe il lavoro e ne potrebbe uscire un'opera più interessante,
sorprendente, profonda. Fellini, specie nei suoi primi film, gira gira gira
intorno a un tema antico e straordinariamente fecondo, cioè a dire l'
"inginocchiati e crederai" pascaliano.
In termini di rappresentazione, il tema pascaliano si declina facendo variazioni su un tema antico e bellissimo, che ha trovato la sua prima espressione compiuta in un dramma latino del teatro gesuitico seicentesco, il Phylemon Martyr di Jakob Bidermann, SJ. Storia: in una cittadina di provincia dell'impero romano, al tempo dell'imperatore Costanzo Cloro quindi poco prima di Costantino ma in un periodo in cui ancora vige il "non licet esse christianos", c'è una vivace e folta comunità cristiana, guidata da un intellettuale e notabile della città. Tutto va per il meglio, quando arriva l'ordine imperiale: bisogna venerare la statua dell'imperatore. Il prefetto locale chiarisce ai cristiani che nessuno cerca lo scontro frontale: basta un inchino, una cosetta, e tutto andrà pacificamente avanti come prima: ma il gesto formale va fatto. Reazioni variegate nella comunità cristiana, da chi se la fa sotto a chi dice io mi faccio martirizzare a chi non sa che fare e spera di defilarsi. Il leader cristiano non ha voglia di martirio, ma non ha neanche voglia di abiurare facendo una figuraccia. Gli viene in mente un'idea geniale: assumo un attore pagano che veneri l'imperatore al posto mio. E qui entra in scena Filemone, un suonatore di flauto, attore, simpaticissimo picaro amante solo dello scherzo, del buon mangiare & bere e della topa. La paga è ottima, e dunque Filemone accetta la scrittura. Però...però però, che succede? Succede che mentre prova la parte, Filemone si converte sul serio e diventa cristiano (c'è anche l'intervento diretto di schiere angeliche, con angeloni alati in scena, trabiccoli & carrucole per farli volare, tutto il bell’ambaradan della filodrammatica antica). Filemone si presenta davanti al prefetto, rifiuta di venerare la statua dell'imperatore, si fa martirizzare, e galvanizzati dal suo esempio tutti i cristiani gareggiano per la palma del martirio. Da questo nucleo tematico Rossellini, che con il cattolicesimo aveva un rapporto molto profondo e molto italiano, ha tratto uno dei suoi film più belli, Il generale dalla Rovere, con un immenso Vittorio de Sica come nuovo avatar di Filemone.
Dalla dialettica implicita nel simbolo
cattolico e barocco del theatrum
mundi - maschera/volto,
uomo/attore, profano/sacro, scena/realtà - nascono possibilità molto
interessanti e ricche. Si attiva anche l'algebra teatrale, quella in cui meno x
meno = più: il teatro nel teatro, la rappresentazione all’interno della
rappresentazione dice la
verità (esempio celeberrimo,
la rappresentazione teatrale che nell' Amleto si recita davanti agli assassini del
re).
Pagella finale di Sorrentino: il ragazzo è
intelligente ma non si applica abbastanza, con i suoi mezzi potrebbe fare di
più.
Pagella finale di Papa Francesco: insufficiente. Perché se le cose più acute sul Papa
Alitalia, benché in modo obliquo (anche come inquadrature), le dice un
mezzo ateo come Paolo Sorrentino, e non la melliflua “Famiglia Cristiana”
che, come prevedibile, ha stroncato The
Young Pope, la Chiesa cattolica è messa proprio male. A cominciare dal Papa.
Roberto Buffagni e Carlo
Gambescia