Le fontanelle
di Roma a secco
Il “nasone”
e i suoi nemici
I
romani ne hanno viste di tutti i colori. Sia i
Veri (le famose sette-otto generazioni), ormai pochissimi, sia gli Adottivi,
la stragrande maggioranza, dai calabresi a quelli, più a Est, del
Bangladesh.
Nella Città Eterna, il vivi e lascia vivere
e anche certa strafottenza, si respira nell’aria. Dopo un po’ che si risiede nella città tra le
più antiche e belle dell’ "orbe terracqueo", e sottolineo acqueo, si diventa romani a tutti gli
effetti. Il Bangra, l’immigrato ormai proverbiale gestore del negozietto di ortofrutta, non è
strafottente, come ritengono i fascio-razzisti, perché non italiano, ma perché romano. E quindi se non ti
conosce - come il novanta per certo
degli esercenti romani non “ti caca” (pardon). Se però "torni" e frequenti, sono sorrisi, risate e
battute, lauree conferite ad honorem (dottore, professore, avvocato). La noncuranza
si tramuta in simpatia e la strafottenza in divertenti sfottò sportivi. Roma è così.
Di
conseguenza ai romani, per venire al punto acqueo della chiusura dei "nasoni", le famose fontanelle col becco ricurvo, che, secondo Claudio
Rendina, stimato studioso di cose romane, fanno di Roma
una “rarità mondiale”, della chiusura dicevo, imposta dai pentecatti, “non gliene può fregare
di meno”… E questo è il risvolto negativo, o se si vuole eufemizzare "non positivo", della romanità. Tradotto: il tirare a
campare.
Il Comune, via Acea, ha cominciato a chiuderle nel luglio scorso, evocando le solite pentascemenze decresciste, immediatamente derise dagli esperti
(*), ma tant’è, ora siamo a fine gennaio, e i “nasoni” , non fanno più sentire la loro bella voce. Non cantano più alla luna, come verseggiava il Poeta. E quel che è più brutto, neppure al sole e tra l'indifferenza pressoché totale dei romani, Veri e Adottivi. Si tira avanti, tramutando con nonchalance le defunte colonnine in minicassonetti.
Sarò
pure uno degli ultimi romantici, ma per
me la "bevuta" alla fontanella, si componeva di due momenti fondamentali: il
dissertarmi, facendo saltellare lo schizzo
d’acqua da un buchetto sulla canna, tenendomi a distanza per evitare la
doccetta, e subito dopo, visto che si tira
su la testa, lo sguardo al cielo,
quell’Azzurro di Roma, che ti incenerisce e intenerisce, celebrato da una montagna di scrittori.
Ecco,
ogni nasone chiuso è un pezzetto di cielo in meno. Quindi a differenza dei miei concittadini non
riesco a rassegnarmi. Evidentemente, un Bangra è più romano di me. Meglio così.
Tutte le vie continuano a portare a Roma.
Carlo Gambescia
(*) https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2017/07/06/chiudere-fontanelle-nasoni-roma