martedì 16 gennaio 2018

Il "lapsus" di Attilio Fontana
Tempi duri per la  “razza bianca”



Storia e  sociologia insegnano che i fenomeni sociali  hanno un ritmo oscillatorio-oppositivo.  Ad esempio,  l’individualismo, per reazione, produce il collettivismo, e quest’ultimo, a sua volta, per contrasto,  favorisce l’individualismo. Semplificando: il primo indica la prevalenza della parte (l'individuo)  sul tutto (la società);  il secondo, per essere più specifici,   del tutto, ossia della società, come sfera delle decisioni collettive,  sulla parte, cioè  sulle  scelte di ogni  singolo. Diciamo che il collettivismo esprime un'istanza costruttivista, di controllo dall'alto della società, mentre l'individualismo accoglie  l'idea spontaneista,  della libera interazione  sociale, quindi dal basso, tra individui. Per metterla sul piano storico, il collettivismo romano,   favorì l’individualismo cristiano, che, per reazione, produsse il collettivismo cattolico, dal quale, a sua volta,  scaturì, l’individualismo protestante e illuminista.   
Sono però macro-fenomeni, come nel caso della coppia individualismo-collettivismo,  che possono convivere nella stessa epoca:  si pensi all’opposizione ottocentesca tra l’individualismo francese e il collettivismo tedesco. Addirittura,  da alcuni studiosi, di sociologia storica comparata,  Hitler è descritto come il culmine della reazione tedesca all’individualismo. E non solo francese.
Ci scusiamo per la lunga premessa, a nostro avviso però  necessaria per comprendere il senso profondo delle  dichiarazioni di Attilio Fontana, sul rischio per la  "razza bianca"  di  “essere cancellata”: "un’ uscita"  che ha immediatamente   mandato  in fibrillazione il già nevrotico universo politico italiano (*). 
Contrariamente, a quel che si ritiene, non è una questione di politicamente corretto. Fontana esprime concetti collettivisti che una cultura individualista non può non respingere.  Il vero  problema è se le rozze  dichiarazioni  del candidato del centrodestra alla Regione Lombardia siano aderente ai fatti, che, di regola, come ogni serio  sociologo sa bene,   non sono né  interamente  individualisti né completamente collettivisti.
In effetti, il rischio di sparire c’è. Come provano i differenti coefficienti demografici. Ai quali va a sommarsi l'inadeguato controllo dei flussi migratori. Ovviamente, per la cultura individualista dominante, dove, per usare un'espressione alla moda,  uno vale uno, il grado di  civiltà non è correlato al colore della pelle.  Il che è una mezza verità che urta con una parte della realtà, altrettanto vera: perché è innegabile  che il colore della pelle, non abbia  nulla a che vedere con il quoziente intellettivo, però è altrettanto innegabile il contributo determinante  che la  “razza”,  o se si preferisce l’ etnia  “bianca” della penisola europea, ha dato  allo sviluppo delle civiltà.  Da questa negazione, tipicamente individualistica del concetto di cultura - concetto collettivista per eccellenza -  discende la sottovalutazione  del destino della “razza bianca”. E il tratto curioso dell'intera questione  è che proprio l'individualismo  ha rappresentato il principale  motore della cosiddetta "conquista europea",  in tutti i sensi, del mondo.   
La totale  negazione  del momento collettivista rischia però  di provocare, per quel ritmo oscillatorio di cui sopra  - e l’affermazione di Fontana ne è il campanello  d’allarme -   reazioni di tipo collettivista, pronte a privilegiare, il tutto ( la "razza bianca")  sulle parti (gli individui di  altre razze), trasformando una mezza verità ( il contributo  determinante)  in una  verità assoluta che può essere così riassunta:  "Dove non c’è il  'bianco',  non c’è  'civiltà' ".   
Insomma, il rischio più grave, semplificando, è quello di cadere dalla padella individualista nella brace collettivista. 
Qualcuno si chiederà:   esiste un giusto mezzo tra individualismo e collettivismo?  Diciamo che la fusione è sempre storica. Dipende dagli uomini, quindi dai singoli, in particolare da élite capaci di misurarsi, senza abusarne, con i criteri individualisti e collettivisti prevalenti in quel determinato momento storico. Ad esempio,  l’individualismo cristiano ci mise almeno quattro secoli per trasformarsi nel collettivismo della chiesa cattolica, convivendo con l' individualismo "pagano", prima forte, poi in ritirata.  L’individualismo moderno, nacque contro la Chiesa e impiegò alcune centinaia di anni per imporsi al collettivismo chiesastico.  Il Novecento, per contro, con i suoi totalitarismi, può essere definito, in buona parte, come il secolo del collettivismo. Anche lo stesso welfare state è una diramazione, per alcuni non armata, ma non meno pericolosa,  del collettivismo novecentesco.
Riassumendo, l’individualismo, difeso dai fustigatori della "razza bianca", è una reazione ai miti del  collettivismo nazional-totalitario (anche sovietico).  E perciò ha un suo fondamento storico. Pertanto sarà difficile -  e non è neppure auspicabile, come provano le vergognose leggi collettiviste del 1938 -   che  si acquisisca a breve  una  consapevolezza  di segno contrario.    
Però, come detto,   Fontana probabilmente  ha ragione:  il pericolo di  sparire, per i popoli  peninsulari esiste. Certo,  non per ora. Però se non sarà domani, sarà dopodomani.  Quindi,   forse,  sarebbe meglio, cominciare a riflettere seriamente sulla cosa.   

Carlo Gambescia