Il "lapsus" di Attilio Fontana
Tempi duri per la “razza bianca”
Storia e sociologia insegnano che i
fenomeni sociali hanno un ritmo
oscillatorio-oppositivo. Ad
esempio, l’individualismo, per reazione,
produce il collettivismo, e quest’ultimo, a sua volta, per contrasto, favorisce l’individualismo.
Semplificando: il primo indica la
prevalenza della parte (l'individuo) sul tutto (la società); il secondo, per essere più specifici, del tutto, ossia della società, come sfera delle decisioni collettive, sulla parte, cioè sulle scelte di ogni singolo. Diciamo che il collettivismo esprime un'istanza costruttivista, di controllo dall'alto della società, mentre l'individualismo accoglie l'idea spontaneista, della libera interazione sociale, quindi dal basso, tra individui. Per
metterla sul piano storico, il collettivismo romano, favorì l’individualismo cristiano, che, per
reazione, produsse il collettivismo cattolico, dal quale, a sua volta, scaturì, l’individualismo protestante e illuminista.
Sono
però macro-fenomeni, come nel caso della coppia
individualismo-collettivismo, che
possono convivere nella stessa epoca: si pensi
all’opposizione ottocentesca tra l’individualismo francese e il collettivismo tedesco.
Addirittura, da alcuni studiosi, di
sociologia storica comparata, Hitler è
descritto come il culmine della reazione tedesca all’individualismo. E non solo
francese.
Ci
scusiamo per la lunga premessa, a nostro avviso però necessaria per comprendere il senso profondo delle dichiarazioni di Attilio Fontana, sul rischio per la "razza bianca" di “essere
cancellata”: "un’ uscita" che ha immediatamente mandato in fibrillazione il già nevrotico universo politico italiano (*).
Contrariamente,
a quel che si ritiene, non è una questione di politicamente corretto. Fontana
esprime concetti collettivisti che una cultura individualista non può non
respingere. Il vero problema è se le rozze dichiarazioni del candidato
del centrodestra alla Regione Lombardia siano aderente ai fatti, che, di
regola, come ogni serio sociologo sa bene, non sono né interamente individualisti né completamente collettivisti.
In effetti, il
rischio di sparire c’è. Come provano i differenti coefficienti demografici. Ai
quali va a sommarsi l'inadeguato controllo dei flussi migratori. Ovviamente, per la cultura individualista dominante, dove, per usare un'espressione alla moda, uno vale uno, il grado di civiltà non è correlato al colore della pelle. Il che è una mezza verità che urta con una parte della realtà, altrettanto vera: perché è innegabile che il colore della pelle, non abbia nulla a che
vedere con il quoziente intellettivo, però è altrettanto innegabile il
contributo determinante che la
“razza”, o se si preferisce l’ etnia “bianca” della penisola europea, ha dato
allo sviluppo delle civiltà. Da questa negazione, tipicamente individualistica
del concetto di cultura - concetto collettivista per eccellenza - discende la sottovalutazione del destino della “razza bianca”. E il tratto curioso dell'intera questione è che proprio l'individualismo ha rappresentato il principale motore della cosiddetta "conquista europea", in tutti i sensi, del mondo.
La totale negazione del momento collettivista rischia però di provocare, per quel ritmo oscillatorio di cui
sopra - e l’affermazione di Fontana ne è
il campanello d’allarme - reazioni di tipo collettivista, pronte a privilegiare,
il tutto ( la "razza bianca") sulle parti
(gli individui di altre razze),
trasformando una mezza verità ( il contributo
determinante) in una verità assoluta che può essere così riassunta: "Dove non c’è il 'bianco', non c’è 'civiltà' ".
Insomma,
il rischio più grave, semplificando, è quello di cadere dalla padella
individualista nella brace collettivista.
Qualcuno
si chiederà: esiste un giusto mezzo tra
individualismo e collettivismo? Diciamo
che la fusione è sempre storica. Dipende dagli uomini, quindi dai singoli, in particolare
da élite capaci di misurarsi, senza abusarne, con i criteri individualisti e
collettivisti prevalenti in quel determinato momento storico. Ad esempio, l’individualismo cristiano ci mise almeno
quattro secoli per trasformarsi nel collettivismo della chiesa cattolica, convivendo con l' individualismo "pagano", prima forte, poi in ritirata. L’individualismo moderno, nacque contro la Chiesa e impiegò alcune centinaia di anni per imporsi al collettivismo chiesastico. Il Novecento, per contro, con i
suoi totalitarismi, può essere definito, in buona parte, come il secolo del collettivismo. Anche lo stesso welfare
state è una diramazione, per alcuni non armata, ma non meno pericolosa, del collettivismo novecentesco.
Riassumendo,
l’individualismo, difeso dai fustigatori della "razza bianca", è una reazione ai
miti del collettivismo nazional-totalitario (anche sovietico). E perciò ha un suo fondamento storico. Pertanto sarà difficile - e non è neppure auspicabile, come provano le vergognose leggi collettiviste del 1938 - che si
acquisisca a breve una consapevolezza di segno contrario.
Però, come detto, Fontana probabilmente ha ragione: il pericolo di sparire, per i popoli peninsulari esiste. Certo, non per ora. Però se non sarà domani, sarà dopodomani. Quindi, forse, sarebbe meglio, cominciare a riflettere seriamente sulla cosa.
Carlo Gambescia