martedì 2 gennaio 2018

La protesta contro il regime teocratico
Buone notizie dall’Iran?


Non millantiamo alcuna approfondita conoscenza delle questioni mediorientali. Non sia mai: la  prima regola, spesso ignorata sui Social, è  commentare solo ciò  che si conosce, perché frutto di  studio. Diciamo però che  quel che sta accadendo in Iran, apre alcune interessanti questioni  dal punto di vista della dinamica  sociologica  delle rivoluzioni. 
Si dice che la protesta abbia ragioni economiche e che l’età media dei manifestanti sia piuttosto bassa. Il fatto che  l’economia iraniana sia crisi, e non interessa qui perché (sanzioni e/o espansionismo militare),  rinvia a questioni strutturali, legate a un'economia chiusa e monoculturale (petrolio), non risolte dal regime degli ayatollah, dove si discute,  per giunta seriamente,  se vendere o meno la coca cola agli iraniani.  Lo stesso si potrebbe dire per l’alto livello di corruzione, che non rende diverso il regime teocratico da quello della dinastia Pahlavi.  Il fatto, inoltre, che la protesta riguardi le fasce giovani della popolazione indica che la propaganda religiosa, quantomeno per alcuni gruppi di contestatori,  non solo ha scarso appeal ma provoca rigetto politico e culturale. E parliamo di un paese in crescita demografica, dove i giovani rappresentano un gruppo sociale numericamente rilevante.   
Quindi siamo davanti a tre  questioni strutturali: 1) secolarizzazione, 2) corruzione,  derivante da un'  economia, 3) a forte presenza pubblica,  uno "statalismo" che risale ai tempi dello Scià, allora con venature di clientelismo familiare, oggi di tipo  politico-religioso.
Riuscirà la protesta  a conquistare  altre fasce di popolazione?  Le forze armate e di polizia saranno disposte a difendere i teocrati  fino in fondo? Scontrandosi con i cani da guardia del regime, le Guardie della Rivoluzione?  E soprattutto, in caso di caduta del regime teocratico, quali possono essere le  alternative? Esiste  un ceto medio  iraniano, laico, liberale,  produttivo, privatamente produttivo (sganciato dallo stato), in grado di fornire una nuova classe dirigente  (politica, economica, culturale)?  
Come si può vedere non sono questioni da poco. Insomma, le  ragioni strutturali ricordate, a causa della complessità delle variabili politiche, rischiano di non condurre a riposte univoche. Tutto è possibile: anche il riassorbimento della protesta. Salvo poi ripresentarsi, se e quando  la situazione economica dovesse precipitare del tutto.
Un’ultima questione, non di carattere sociologico, ma geopolitico:  è preferibile, dal punto di vista dell’Occidente, un Iran, espansionista, ma unitario, in grado di opporsi  al nemico sunnita?  Oppure un Iran, in transizione “democratica”,  debole,  disunito, fuori dal gioco politico mediorientale per un numero imprecisato di anni?
Il fatto che Trump soffi sul fuoco e che l’Europa freni (Putin ancora non ha parlato e neppure Israele a dire il vero...), indica che l’Occidente, come al solito,  risulta  diviso.   Ma su che cosa?  Su una buona o cattiva notizia?  Lasciamo la risposta agli amici lettori.

Carlo Gambescia   

                           

Nessun commento: