La protesta
contro il regime teocratico
Buone notizie dall’Iran?
Non
millantiamo alcuna approfondita conoscenza delle questioni mediorientali. Non
sia mai: la prima regola, spesso
ignorata sui Social, è commentare solo ciò che si conosce, perché frutto di studio. Diciamo però che quel che sta accadendo in Iran, apre alcune
interessanti questioni dal punto di vista della dinamica sociologica delle
rivoluzioni.
Si
dice che la protesta abbia ragioni economiche e che l’età media dei
manifestanti sia piuttosto bassa. Il fatto che l’economia iraniana sia crisi, e non interessa
qui perché (sanzioni e/o espansionismo militare), rinvia a questioni
strutturali, legate a un'economia chiusa e monoculturale (petrolio), non risolte dal regime degli ayatollah, dove si discute, per giunta seriamente, se vendere o meno la coca cola agli iraniani. Lo stesso si potrebbe dire
per l’alto livello di corruzione, che non rende diverso il regime teocratico
da quello della dinastia Pahlavi. Il
fatto, inoltre, che la protesta riguardi le fasce giovani della popolazione
indica che la propaganda religiosa, quantomeno per alcuni gruppi di contestatori, non solo ha scarso appeal ma provoca rigetto politico e culturale. E parliamo di un paese in crescita demografica, dove i giovani rappresentano un gruppo sociale numericamente rilevante.
Quindi
siamo davanti a tre questioni
strutturali: 1) secolarizzazione, 2) corruzione, derivante da un' economia, 3) a forte presenza pubblica, uno "statalismo" che risale ai tempi dello Scià, allora con venature di clientelismo familiare, oggi di tipo politico-religioso.
Riuscirà la protesta a conquistare altre fasce di popolazione? Le forze armate e di polizia saranno disposte a difendere i teocrati fino in fondo? Scontrandosi con i cani da guardia del regime, le Guardie della Rivoluzione? E soprattutto, in caso di caduta del regime teocratico, quali possono essere le alternative? Esiste un ceto medio iraniano, laico, liberale, produttivo, privatamente produttivo (sganciato dallo stato), in grado di fornire una nuova classe dirigente (politica, economica, culturale)?
Riuscirà la protesta a conquistare altre fasce di popolazione? Le forze armate e di polizia saranno disposte a difendere i teocrati fino in fondo? Scontrandosi con i cani da guardia del regime, le Guardie della Rivoluzione? E soprattutto, in caso di caduta del regime teocratico, quali possono essere le alternative? Esiste un ceto medio iraniano, laico, liberale, produttivo, privatamente produttivo (sganciato dallo stato), in grado di fornire una nuova classe dirigente (politica, economica, culturale)?
Come
si può vedere non sono questioni da poco. Insomma, le ragioni strutturali ricordate, a causa della complessità delle variabili politiche, rischiano di non condurre a riposte univoche. Tutto è possibile: anche il riassorbimento della protesta. Salvo poi ripresentarsi, se e quando la situazione economica dovesse precipitare del tutto.
Un’ultima
questione, non di carattere sociologico, ma geopolitico: è preferibile, dal punto di vista dell’Occidente,
un Iran, espansionista, ma unitario, in grado di opporsi al nemico sunnita?
Oppure un Iran, in transizione “democratica”, debole, disunito, fuori dal gioco politico
mediorientale per un numero imprecisato di anni?
Il
fatto che Trump soffi sul fuoco e che l’Europa freni (Putin ancora non ha
parlato e neppure Israele a dire il vero...), indica che l’Occidente, come al solito, risulta diviso. Ma su che cosa? Su
una buona o cattiva notizia? Lasciamo la risposta agli amici lettori.
Carlo Gambescia
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