Fra poche ore sarà staccata la spina
Je suis Charlie (Gard)
In
Italia la notizia non è stata “coperta” adeguatamente,
se non dai media cattolici,
neppure tutti. Parliamo della vicenda di Charlie Gard, il bimbo britannico di appena dieci mesi, affetto da una malattia
incurabile. Tra poche ore sarà staccata
la spina. La Corte Europea dei diritti dell'uomo ha recepito le precedenti sentenze delle
“domestic courts” che ordinavano lo stop alle cure e il divieto di
qualsiasi altra terapia sperimentale, anche all’estero a spese dei genitori. Sancendo
come si legge, sull’ottimo blog di
Marina Castellaneta, professore associato di diritto internazionale, che
"rientra nel margine di apprezzamento degli Stati la decisione di
sospendere la ventilazione artificiale e di non consentire l’accesso a cure sperimentali
delle quali non è stata dimostrata l’efficacia. L’articolo 2 della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo, che assicura il diritto alla vita, non può
essere interpretato nel senso di affermare un obbligo per gli Stati di fornire
farmaci e cure non autorizzate a livello nazionale" (1) .
Sotto il profilo del diritto positivo la decisione è ineccepibile:
procedure rispettate, più livelli di giudizio, grande attenzione al corposo
combinato disposto, rispetto della sovranità giuridica dello stato-nazionale, eccetera, eccetera. Tuttavia c’è qualcosa di non convincente, non tanto nella sentenza in sé,
quanto nei meccanismi sociologici
che sono dietro il funzionamento, anche quando “fisiologico”, della “macchina” giudiziaria. Per dirla brutalmente: riteniamo che il “dogma legalistico” - nel senso dell’applicazione, addirittura
scrupolosa, delle procedure, introdotte
dal diritto positivo - sia, potenzialmente, una “macchina”, per “fabbricare” ingiustizie. Dicesi, eterogenesi dei fini.
Ricordiamo sempre con timore e tremore alcune inquietanti ma illuminanti pagine di Guido Fassò, dedicate alla pericolosa “riduzione giuspositivistica di tutto il diritto a legge dello stato”, riduzione che “servì ottimamente al fascismo per realizzare i suoi fini” (2). Fassò si riferiva alle “rivoluzioni legali”, tra le due guerre, ben valorizzate, sul piano politico, da un giurista, come Carl Schmitt, simpatizzante nazionalsocialista. Il quale fu il primo a parlare della cosiddetta “motorizzazione” del diritto, opera di certo liberalismo sociale, welfarista, come strumento, criticabile ma utile, per realizzare una “rivoluzione legale” a sfondo totalitario.
Ricordiamo sempre con timore e tremore alcune inquietanti ma illuminanti pagine di Guido Fassò, dedicate alla pericolosa “riduzione giuspositivistica di tutto il diritto a legge dello stato”, riduzione che “servì ottimamente al fascismo per realizzare i suoi fini” (2). Fassò si riferiva alle “rivoluzioni legali”, tra le due guerre, ben valorizzate, sul piano politico, da un giurista, come Carl Schmitt, simpatizzante nazionalsocialista. Il quale fu il primo a parlare della cosiddetta “motorizzazione” del diritto, opera di certo liberalismo sociale, welfarista, come strumento, criticabile ma utile, per realizzare una “rivoluzione legale” a sfondo totalitario.
Non a caso abbiamo citato due studiosi di sponde opposte. Fassò opponeva al “dogma
legalistico” il giusnaturalismo cristiano, puntando sulla "creaturalità" della
persona, antecendente al diritto positivo, quale riflesso di una imago Dei che trascende le miserie umane. Schmitt,
invece, prospettava l’ ulteriore politicizzazione del diritto positivo, frutto
di un
ordine concreto, emergente, che scorgeva nella persona il
prolungamento di un destino
storico che si fondeva, attraverso il culto del capo, nella naturalistica triade stato-movimento- popolo (3).
Trascendenza contro immanenza del diritto. Da un lato (Fassò), la scelta di vivere o morire è
rimessa a Dio, dall’altro (Schmitt), attribuita al Fürher. L’uomo, insomma, viene comunque ritenuto incapace di scegliere liberamente. Deve sempre appoggiarsi a qualcosa di più grande: Dio, il capo carismatico oppure - ecco la nostra "provocazione" - stati e super-stati sovrani, tribunali e leggi, come nel caso di Charlie.
Drammatizziamo troppo? O peggio, il ragionamento è scorretto? Tutto questo giro vizioso di parole, per far passare, furbamente, il concetto che la Corte Europea (dopo), le "domestic courts (prima), il top istituzionale del liberalismo giuridico, negando la libertà
di scelta si muovono contro Dio e contro gli uomini? Su Dio sospendiamo il giudizio, sono questioni di fede, individuali. Quanto agli uomini, il discorso invece si fa collettivo e sociologico. Quindi va affrontato.
All’inizio, abbiamo parlato di “macchina” giuridica. Il punto è
proprio questo, le istituzioni, il passaggio dal dire al fare: “la macchina”, insomma. Che in quanto tale ha una sua propria logica interna, finissima ed evoluta, quanto si voglia, ma 1) conchiusa in se stessa; 2) iterativa;
3) conflittuale. Ci spieghiamo meglio
Dal punto di vista sociologico, dove c’è una procedura, c’è una
burocrazia che la applica, che quindi innesca, come dire, “in automatico”, dinamiche routinarie, ma anche di competizione per le risorse; competizione, che si muove su due piani: a) quello della
vitalità di una funzione, nel caso
quella giudiziaria, costretta a
giustificare se stessa, la propria specificità, attraverso il funzionamento e i "risultati"; b) quello delle risorse, anche
simboliche, per poter funzionare; risorse contese, palmo a palmo, alle altre istituzioni ( si pensi solo ai
ricorrenti conflitti, tra ordine giudiziario e legislativo, per non parlare dei conflitti interni alle istituzioni stesse, divise, a loro volta, in sub-culture, eccetera). In sintesi, una “macchina”, con vita propria che decide della “vita altrui”. Dal punto di vista
di una specie di grado zero sociologico, siamo a davanti a una vera e propria lotta per l'esistenza.
Si dirà, tutte stupidaggini. Romanticismo sociologico. Non possiamo tornare all’amministrazione della
giustizia sotto il fico. I cittadini sono tutelati proprio dalle forme del diritto positivo e in prospettiva, dall’interazione tra diritto positivo e
diritto vivente, interazione della quale il
giudice e i legislatori sono i migliori interpreti e veicoli. Perché criticare una bellissima
conquista del liberalismo moderno?
Giusto. Però, proprio per
le ragioni che abbiamo spiegato, il carattere di “macchina” dell’istituzione concreta
giustizia, è indiscutibile. Una “macchina” che
tende ad essere invasiva, e non per ragioni ideali, ma di sopravvivenza
sociologica,
Come contrastarla? In chiave liberale, of course. Perché non lasciare all’individuo, il diritto
di decidere, liberamente, come curarsi, come vivere, come morire? Senza interferire: basterebbe una scrittura privata, depositata presso un notaio. Perché non
opporsi, una volta per tutte, all’
insopportabile e illiberale ansia welfarista di dover tutelare a ogni costo l’uomo dalla culla alla
tomba? Per poi, in realtà opprimerlo, perseguitandolo perfino nel letto di un ospedale, estendendo il potere di burocrazie, giudiziarie o meno, che pensano solo a
giustificare la propria esistenza.
Per tutte queste ragioni, noi stiamo con Charlie. E soprattutto con i
suoi genitori. Che forse hanno commesso un errore, dovevano difendersi, come dire, non "nel" processo, ma "dal" processo. Si chiama disobbedienza civile. Ed è la più alta forma di liberalismo. Che vola alta, ben al di sopra di tribunali e stati.
Carlo Gambescia
1) Si legga qui: http://www.marinacastellaneta.it/blog/la-decisione-di-sospendere-le-cure-a-un-bambino-colpito-da-una-malattia-a-prognosi-infausta-non-e-contraria-alla-convenzione-europea.html . Sullo
stesso blog è possibile anche prendere visione della sentenza della Corte
Europea dei diritti dell’uomo: http://www.marinacastellaneta.it/blog/wp-content/uploads/2017/06/GARD-AND-OTHERS-v.-THE-UNITED-KINGDOM.pdf
(2) Guido Fassò, Storia delle filosofia del diritto, vol. III. Ottocento e Novecento, il Mulino, Bologna 1972, p. 378.
(3) Carl Schmitt, Principii politici del nazionalsocialismo, a cura di Delio Cantimori, Sansoni, Firenze 1935.