mercoledì 21 giugno 2017

Oggi si parte con  la prova di italiano
Il mito della maturità


Come ogni anno, allo scoccare dell’estate, si ripete il rito degli esami di maturità. Sociologicamente parlando, il concetto di esame  rinvia a  un sistema  di formazione e  selezione delle persone.  La questione però  è che in questo caso la selezione  non esiste, perché, di regola, più del 90 per cento degli studenti supera la prova. E' vero che un'altra selezione, più dura,  avviene invece all'atto dell' iscrizione all’ università,  che riguarda solo  un terzo  dei cosiddetti maturi, diciamo il 30 per cento. Tra questi ultimi, giungerà alla laurea, grosso modo, meno del 10 per cento. Tra quei laureati, troverà lavoro, nei due anni successivi,  più o meno il  4 per cento. 
Va premesso  che  il grosso della selezione, rispetto a un percorso di studi liceali e universitari, si registra alla fine della scuola dell’obbligo, dove più della  metà dei licenziati non si iscrive alle scuole superiori o viene bocciata al primo anno.  
Cosa  dire? Che la quota finale  di laureati occupati, e soprattutto con lavoro  consono al titolo specifico conseguito,  riflette, in uguale  proporzione, la distribuzione del reddito, dei ceti sociali e delle professioni prestigiose o meno: solo pochi possono giungere in alto. Non è la scuola a deciderlo ma la selezione sociale. Si tratta di una  realtà sociologica  - si chiama  ferrea  legge delle oligarchie -  con la quale hanno dovuto fare conti, pagandone le conseguenze economiche, anche i regimi socialisti, che per accontentare tutti,  moltiplicavano diplomati,  laureati e posti pubblici.  Insomma, la società, come la verità,  si vendica sempre: il  "setaccio sociale" alla fin fine - a parte gli sfortunatissimi e i fortunatissimi -  nella media,  dà a ciascuno ciò che merita.  Che poi gli uomini si lamentino fa parte del "gioco sociale".        
La differenza con  le società pre-democratiche, è che in quelle democratiche, l’accesso agli studi è formalmente  aperto  a tutti.  Insomma, tutti si possono permettere di acquistare un  biglietto della lotteria della vita. Quindi, in linea di principio, si favorisce, il ricambio sociale.  Saranno, poi fortuna, intelligenza e volontà, distribuite assai inegualmente, a decidere il posto di ognuno  nella scala sociale. Fermo restando, come detto,  che i posti in alto  sono patrimonio di pochi, a prescindere dal tipo di regime politico.    
Un'altra caratteristica  delle società democratiche è quella di credere nella stretta relazione tra conoscenza e virtù,  morali e politiche: più si studia - si dice -  più si diventa brave persone e cittadini esemplari.  In realtà, le statistiche sui livelli di criminalità tra i colletti bianchi e gli alti tassi di astensionismo elettorale provano il contrario.  Eppure il mito  persiste.
Del resto, la contraddizione di fondo della scuola democratica rinvia al conflitto tra due esigenze opposte: da un lato  la necessità formativa  di rendere i suoi  contenuti  alla portata  di tutti (altrimenti che scuola di  massa sarebbe?), dall’altro  la  necessità di selezione (altrimenti perché introdurre un sistema per esami?). Tuttavia, più i contenuti sono semplici, meno gli studenti sono preparati. Attenzione: non è un problema che rinvia al curriculum  e alla motivazione  degli insegnanti, bensì rimanda  alla logica interna,  profondamente contraddittoria, che innerva la scuola democratica. Un'istituzione  che,  altro nodo importante,  è  strumento di consenso sociale e politico, nel senso che il diploma e la laurea gratificano moralmente il cittadino e giustificano la sua fedeltà politica.  Pertanto, la necessità del consenso elettorale interferisce con i  meccanismi di selezione, soprattutto all’interno della scuola dell’obbligo  e superiore.  Il che spiega quel 90 per cento di promossi,  cui accennavamo  all’inizio.
Tutto sbagliato? Tutto da rifare?  No. La scuola democratica, come osservato, ha posto le persone su  un piede di parità formale.  Il che è un fatto positivo.  Che però ha precedenti, tra gli altri,  nella  storia amministrativa della Chiesa e nel sistema Mandarino cinese.  
Insomma, sta  al singolo impegnarsi e sfidare la fortuna.  Tenendo presente che, a prescindere dal tipo di regime, più si vuole salire in alto, più la lotta si fa accanita.  Perciò, per dirla con i giovani di oggi (e di ieri), servono le palle. Che però nessuna scuola democratica o meno, può fornire chiavi in mano. O si hanno o non si hanno.

Carlo Gambescia