Oggi si parte con la prova di italiano
Il mito della maturità
Come
ogni anno, allo scoccare dell’estate, si ripete il rito degli esami di
maturità. Sociologicamente parlando, il concetto di esame rinvia a
un sistema di formazione e selezione delle persone. La questione però è che in questo caso la selezione non esiste, perché, di regola,
più del 90 per cento degli studenti supera la prova. E' vero che un'altra selezione, più dura, avviene
invece all'atto dell' iscrizione all’ università, che riguarda solo un terzo dei cosiddetti maturi, diciamo il 30 per
cento. Tra questi ultimi, giungerà alla laurea, grosso modo, meno del 10 per
cento. Tra quei laureati, troverà lavoro, nei due anni successivi, più o meno il 4 per cento.
Va
premesso che il grosso della selezione, rispetto a un
percorso di studi liceali e universitari, si registra alla fine della scuola
dell’obbligo, dove più della metà dei
licenziati non si iscrive alle scuole superiori o viene bocciata al primo anno.
Cosa dire? Che la quota finale di laureati occupati, e soprattutto con lavoro consono al titolo specifico conseguito, riflette, in uguale proporzione, la distribuzione del reddito, dei
ceti sociali e delle professioni prestigiose o meno: solo pochi possono
giungere in alto. Non è la scuola a deciderlo ma la selezione sociale. Si
tratta di una realtà sociologica - si chiama ferrea
legge delle oligarchie - con la
quale hanno dovuto fare conti, pagandone le conseguenze economiche, anche i regimi socialisti, che per accontentare tutti, moltiplicavano diplomati, laureati e posti pubblici. Insomma, la società, come la verità, si vendica sempre: il "setaccio sociale" alla fin fine - a parte gli sfortunatissimi e i fortunatissimi - nella media, dà a ciascuno ciò che merita. Che poi gli uomini si lamentino fa parte del "gioco sociale".
La
differenza con le società pre-democratiche,
è che in quelle democratiche, l’accesso agli studi è formalmente aperto a tutti. Insomma, tutti si possono permettere
di acquistare un biglietto della
lotteria della vita. Quindi, in linea di principio, si favorisce, il ricambio sociale. Saranno, poi fortuna, intelligenza e volontà, distribuite assai inegualmente, a decidere il posto di ognuno nella scala sociale. Fermo restando,
come detto, che i posti in alto sono
patrimonio di pochi, a prescindere dal tipo di regime politico.
Un'altra caratteristica delle società
democratiche è quella di credere nella stretta relazione tra conoscenza e
virtù, morali e politiche: più si studia
- si dice - più si diventa brave persone e cittadini esemplari. In realtà, le statistiche sui livelli di criminalità tra i
colletti bianchi e gli alti tassi di astensionismo elettorale provano il contrario. Eppure il mito persiste.
Del
resto, la contraddizione di fondo della scuola democratica rinvia al conflitto tra due esigenze opposte: da un
lato la necessità formativa di
rendere i suoi contenuti alla portata
di tutti (altrimenti che scuola di massa sarebbe?), dall’altro la necessità di selezione (altrimenti perché introdurre un sistema per esami?). Tuttavia, più i
contenuti sono semplici, meno gli studenti sono preparati. Attenzione: non è
un problema che rinvia al curriculum e
alla motivazione degli insegnanti, bensì rimanda alla logica interna, profondamente contraddittoria, che innerva la scuola
democratica. Un'istituzione che, altro nodo importante, è strumento di consenso sociale e
politico, nel senso che il diploma e la laurea gratificano moralmente il cittadino
e giustificano la sua fedeltà politica.
Pertanto, la necessità del consenso elettorale interferisce con i meccanismi di selezione, soprattutto
all’interno della scuola dell’obbligo e
superiore. Il che spiega quel 90 per
cento di promossi, cui accennavamo all’inizio.
Tutto
sbagliato? Tutto da rifare? No. La
scuola democratica, come osservato, ha posto le persone su un piede di parità formale. Il che è un fatto
positivo. Che però ha precedenti, tra gli altri, nella storia amministrativa della Chiesa e nel sistema Mandarino
cinese.
Insomma, sta al singolo impegnarsi e
sfidare la fortuna. Tenendo presente che, a prescindere dal tipo di regime, più
si vuole salire in alto, più la lotta si fa accanita. Perciò, per dirla con i giovani di oggi (e di
ieri), servono le palle. Che però nessuna scuola democratica o meno, può
fornire chiavi in mano. O si hanno o non si hanno.
Carlo Gambescia