venerdì 23 giugno 2017

Emergenza acqua
Esopo o Don Ferrante?




Ieri sera, dopo l’irruzione nei telegiornali della “grande siccità”,  il nostro pensiero maliziosamente è subito andato  alla sociologia dell’ "Al lupo! al lupo!",  che rinvia al pastorello burlone di Esopo. Anche perché nelle società welfariste intorno alle “emergenze” girano molti soldi pubblici. Infatti come riporta  “La Stampa” :

Le prime misure approvate dal Consiglio dei ministri di ieri toccano le province di Parma e Piacenza che sembrano le più colpite dalla siccità. Nelle due zone confinanti è stato dichiarato lo stato di calamità «in conseguenza della crisi idrica in atto, dovuta a un lungo periodo di siccità a partire dall’autunno 2016, aggravato dalle elevate temperature estive e dai rilevanti afflussi turistici». In arrivo ci sono 8 milioni e 650 mila euro e deroghe per garantire che nei Comuni siano assicurate forniture regolari di acqua potabile. Soddisfatto il governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini: «Abbiamo ottenuto dal governo quanto avevamo chiesto per far fronte ad una situazione eccezionale». l grande caldo e l’assenza di precipitazioni sta mettendo in ginocchio l’intera Europa. In Italia le temperature sono 1,9 gradi in più rispetto alla media stagionale. Dal 1971 nel nostro Paese si è avuta la terza primavera più asciutta con un calo di precipitazioni di quasi il 50% rispetto alla media. All’orizzonte non c’è una nube, anche se da domenica il grande caldo potrebbe attenuarsi.


Insomma, due gradi in più rispetto alla media stagionale e  subito sono scattati i rimborsi per una specie di Sahel italiano prossimo venturo, stando almeno ai toni esasperati dei mass media.  E più a monte, va sottolineato,  pascola anche la Mucca Europea  per l’agricoltura,  da mungere.  Una vera manna.   L’Emilia Romagna  è un  feudo elettorale del Pd.  Quando si dice il caso…
Lasciamo però  perdere il complottismo politico e veniamo al punto sociologico.  Le emergenze, insegnano i maestri del pensiero sociale, da Spencer a  Sorokin,  determinano un giro di vite nelle libertà individuali. Insomma, contribuiscono all'accentramento  del  potere nelle mani delle pubbliche istituzioni, sottraendolo ai cittadini. Detto altrimenti,  nelle mani  di coloro che decidono.  
Il massimo esempio è rappresentato dalla guerra. Ma anche le crisi economiche non sono da meno. Per non parlare delle catastrofi naturali. L’emergenza, rinvia allo stato d' eccezione, e lo stato d'eccezione alle conseguenti decisioni “politiche” che devono essere prese subito e  implementate rapidamente.  
Ma chi stabilisce e soprattutto  distingue  ciò che è emergenza da ciò che emergenza non  è?  Certo, una guerra, un terremoto sono fatti evidenti di per sé. Mentre una crisi economica è già  qualcosa di meno palpabile, particolarmente sul piano soggettivo  Ovviamente, e non solo per l’economia,  esistono protocolli decisionali, basati scalarmente su medie  statistiche,  cioè dati del passato (il certo) proiettati nel futuro (l’incerto), confidando,  su un fatto che non è assolutamente scontato, che il futuro (l’incerto) sia uguale al passato (il certo). Una specie di lotteria.  
A dire il vero,  come insegna  la sociologia,   è emergenza ciò che  l’uomo ritiene tale,  ossia ciò che l’uomo crede sia tale: una casa non brucia, ma appena si sparge la voce delle fiamme, sul luogo del presunto incendio  convergono vigili del fuoco e  volontari, mettendo in moto  il circuito sociologico  dell’emergenza con le conseguenze di cui sopra, ovviamente in  scala più piccola. Ma, attenzione,  il concetto non cambia.
Si dirà, tutto vero, tutto molto bello,  però in virtù  del  cosiddetto “principio di  precauzione” si deve intervenire, a prescindere.   Giustissimo.  Dal momento che  all’altro capo del filo sociologico, al rischio dell’ "Al lupo! al lupo!"  si oppone  quello del “Don Ferrante” manzoniano che negava l’esistenza della  peste a Milano, fino al punto di  non prendere precauzioni, contrarla, ammalarsi e morirne.  Di qui,  come si sostiene, la necessaria  pianificazione delle emergenze,  che però non  esclude, allarmismi,  sprechi, giri di vite.    
Che fare allora?  Boh… La questione è politica non sociologica.
Di regola,  il principio di precauzione piace alla sinistra e agli statalisti; il “lasciar fare, lasciar passare” ai liberali  e a chi teme più del  diavolo l’intrusione del pubblico nel privato.  
Senza però  dimenticare che  sullo sfondo -  di  ogni decisione politica -   si staglia  la  figura  del “popolo sovrano”. Pensiamo a quelle persone che ogni giorno ognuno di noi, mescolandosi, incontra in metro, al supermercato, in fila davanti a uno sportello.  Uomini e donne, presi dalle proprie preoccupazioni, più o meno reali. Persone predisposte, più al credere che al capire,  addirittura antropologicamente  predisposte,  secondo alcuni studiosi.       
C’è altro da aggiungere? No,  almeno per il sociologo.  Hic sunt leones.

Carlo Gambescia