Emergenza acqua
Esopo o Don Ferrante?
Ieri
sera, dopo l’irruzione nei telegiornali della “grande siccità”, il nostro pensiero maliziosamente è subito andato alla sociologia dell’ "Al lupo! al lupo!", che
rinvia al pastorello burlone di Esopo. Anche perché nelle società welfariste
intorno alle “emergenze” girano molti soldi pubblici. Infatti come riporta “La Stampa ” :
Le prime misure approvate dal Consiglio dei
ministri di ieri toccano le province di Parma e Piacenza che sembrano le più
colpite dalla siccità. Nelle due zone confinanti è stato dichiarato lo stato di
calamità «in conseguenza della crisi idrica in atto, dovuta a un lungo periodo
di siccità a partire dall’autunno 2016, aggravato dalle elevate temperature
estive e dai rilevanti afflussi turistici». In arrivo ci sono 8 milioni e 650
mila euro e deroghe per garantire che nei Comuni siano assicurate forniture
regolari di acqua potabile. Soddisfatto il governatore dell’Emilia Romagna,
Stefano Bonaccini: «Abbiamo ottenuto dal governo quanto avevamo chiesto per far
fronte ad una situazione eccezionale». l grande caldo e l’assenza di
precipitazioni sta mettendo in ginocchio l’intera Europa. In Italia le
temperature sono 1,9 gradi in più rispetto alla media stagionale. Dal 1971 nel
nostro Paese si è avuta la terza primavera più asciutta con un calo di
precipitazioni di quasi il 50% rispetto alla media. All’orizzonte non c’è una
nube, anche se da domenica il grande caldo potrebbe attenuarsi.
Insomma,
due gradi in più rispetto alla media stagionale e subito sono scattati i rimborsi per una specie di Sahel italiano prossimo venturo, stando almeno ai toni esasperati dei mass media. E più a monte, va sottolineato, pascola anche la Mucca Europea per
l’agricoltura, da mungere. Una vera manna. L’Emilia Romagna è un feudo elettorale del Pd. Quando si dice il caso…
Lasciamo
però perdere il complottismo politico e
veniamo al punto sociologico. Le emergenze,
insegnano i maestri del pensiero sociale, da Spencer a Sorokin,
determinano un giro di vite nelle libertà individuali. Insomma,
contribuiscono all'accentramento del potere nelle mani delle pubbliche istituzioni,
sottraendolo ai cittadini. Detto altrimenti, nelle mani di coloro che decidono.
Il
massimo esempio è rappresentato dalla guerra. Ma anche le crisi economiche non
sono da meno. Per non parlare delle catastrofi naturali. L’emergenza, rinvia
allo stato d' eccezione, e lo stato d'eccezione alle conseguenti decisioni
“politiche” che devono essere prese subito e
implementate rapidamente.
Ma
chi stabilisce e soprattutto distingue ciò che è emergenza da ciò che emergenza non è? Certo, una guerra, un
terremoto sono fatti evidenti di per sé. Mentre una crisi economica è già qualcosa di meno palpabile, particolarmente sul piano soggettivo Ovviamente, e non solo per l’economia, esistono protocolli decisionali, basati scalarmente su medie statistiche,
cioè dati del passato (il certo) proiettati nel futuro (l’incerto),
confidando, su un fatto che non è
assolutamente scontato, che il futuro (l’incerto) sia uguale al passato (il
certo). Una specie di lotteria.
A dire il vero, come insegna la sociologia, è
emergenza ciò che l’uomo ritiene
tale, ossia ciò che l’uomo crede sia tale: una casa non brucia, ma
appena si sparge la voce delle fiamme, sul luogo del presunto incendio convergono vigili del fuoco e volontari, mettendo in moto il circuito sociologico dell’emergenza con le conseguenze di cui
sopra, ovviamente in scala più piccola.
Ma, attenzione, il concetto non cambia.
Si
dirà, tutto vero, tutto molto bello, però in virtù del cosiddetto “principio di precauzione” si deve intervenire, a
prescindere. Giustissimo. Dal momento che all’altro capo del filo
sociologico, al rischio dell’ "Al lupo! al lupo!" si oppone quello del “Don
Ferrante” manzoniano che negava l’esistenza della peste a Milano, fino al punto
di non prendere precauzioni, contrarla, ammalarsi e morirne. Di
qui, come si sostiene, la necessaria pianificazione delle emergenze, che però non esclude, allarmismi, sprechi, giri di vite.
Che
fare allora? Boh… La questione è
politica non sociologica.
Di
regola, il principio di precauzione
piace alla sinistra e agli statalisti; il “lasciar fare, lasciar
passare” ai liberali e a chi teme più del diavolo l’intrusione del pubblico nel privato.
Senza però dimenticare che sullo sfondo -
di ogni decisione politica - si staglia la figura del “popolo sovrano”. Pensiamo a quelle persone che ogni giorno ognuno di noi, mescolandosi, incontra in metro, al supermercato, in fila davanti a uno sportello. Uomini e donne, presi dalle proprie preoccupazioni, più o meno reali. Persone predisposte, più al credere che al capire, addirittura antropologicamente predisposte, secondo alcuni studiosi.
C’è altro da aggiungere? No, almeno per il sociologo. Hic
sunt leones.
Carlo Gambescia