mercoledì 7 giugno 2017

Farid Ikken,  l’attentatore di Notre Dame,  sarebbe dottore di ricerca e giornalista
Sul ponte sventola bandiera bianca




Oggi l’Ansa, come altri media, evidenzia che Farid Ikken,  l’attentatore di Notre Dame,

sarebbe un ricercatore, laureato in scienze sociali (…), sposato con una svedese (…),dottorando in giornalismo, con una tesi sui media, in particolare quelli del Nord Africa. Lo ha dichiarato il presidente dell'Università di Lorena, Pierre Mutzenhardt, alla radio France Bleu. Il rettore ha confermato che Ikken studia dal 2014 per un dottorato in giornalismo al CREM, il Centro di ricerca sulle mediazioni. All'università affermano che Ikken era giornalista in Algeria.


Quindi, secondo il punto di vista occidentale, persona evoluta, “integrabilissima”.  Non è il primo ( e purtroppo non sarà l’ultimo), ovviamente.  Il terrorismo islamista, come è provato,  “pesca” nelle seconde generazioni, se non nella terze, tra studenti, laureati, persone  in larga parte istruite e  “inserite”.    
Allora?  Dove vogliamo andare a parare, con questo nostro ragionamento? Che, dispiace ammetterlo, talvolta il conoscere per deliberare  non basta.  Soprattutto tra opposte visioni del mondo.  Come nel caso  del  conflitto in atto -  perché di conflitto  si tratta -  che   riguarda  due concezioni radicalmente opposte. Concezioni della vita, cosa ancora più importante, non semplicemente religiose. Siamo davanti a qualcosa di più grosso: un conflitto di civiltà, per dirla con  Samuel Huntington.
Infatti, oltre alla conoscenza della cultura occidentale, da parte degli attentatori,  fatto che  depone in favore  della tesi del  rifiuto  ex post  dell’integrazione culturale,  c’è dell’altro:  mancano, cosa ancora più grave,  lo  stupore e il rispetto davanti alla grandezza e diversità delle edificazioni culturali. Se si vuole, la sen-si-bi-li-tà co-no-sci-ti-va.
Il nostro ragionamento non è etnocentrico. Quando parliamo di stupore e rispetto, pensiamo  allo  stesso stupore e rispetto che noi europei, ad esempio,  proviamo, davanti alle grandi manifestazioni delle culture  non occidentali. Tutte. Al fondo di questa (nostra)  sensibilità conoscitiva,  c'è un amore per la storia, quindi per la diversità.   
E qui veniamo al punto.  Si pensi alla distruzione di musei e  monumenti da parte dei  Talebani e della soldataglia dell'Isis.  Cosa c'è dietro?  Non c’è solo la volontà di cancellare ogni traccia lasciata dalle religioni pre e post islamiche, ma la protervia di distruggere  ciò che resta di quelle civiltà. Del senso storico stesso.  Di più:  si vuole cancellare il concetto di civiltà in quanto tale, quindi come evoluzione, trasformazione, varietà di esperienze, dinamica e dunque storia.  Non solo religione.  E qui vanno ricordati, sempre sul piano dell’odio esteso,  gli attentati, a quella che si  potrebbe definire, semplificando, la “movida” dell’Occidente: concerti musicali, incontri sportivi, vita notturna,  viaggi, vacanze e shopping, anche culturale.  Riflettiamo.  In fondo, si tratta del  nostro  presente storico... Al quale siamo giunti attraverso un processo di sviluppo. Sempre storico.      
Per contro, l’universo jihadista, pur tra le divisioni,  punta alla distruzione della cultura in generale e della cultura occidentale, in particolare.  Si vuole riportare l'umanità al grado zero:  alla fine di ogni diversità, cognitiva e sociale. E dunque della storia, come processo di formazione di quelle diversità, del passato come del presente, che di quel passato è il portato. 
Sicché, l'universo islamista  non  cerca  alcuna mediazione . Ma neppure esiste - crediamo -   volontà di integrazione sociale da parte islamica.  Il basso profondo dell'islamismo tout court, con forti estensioni collettive,  è dettato da un atteggiamento di negazione verso qualsiasi cultura di orientamento diverso. Qualcosa, insomma, che è lì da sempre.
Ciò  indica  un Dna culturale, probabilmente un'antropologia collettiva che si prolunga in un  riflesso incondizionabile,  non solo religioso,  carico di aggressività, che, purtroppo, va oltre, o meglio forse precede,  l'estremismo jihadista.  Il che dipinge  foschi scenari futuri che l’Occidente  finge però  di non vedere.      
Non per nulla, sono attaccati  -  insieme ai luoghi turistici -   i turisti stessi: coloro che, curiosi e stupiti, viaggiano, consapevoli  o meno,   per ammirare le bellezze artistiche del passato, in nome della diversità e bellezza delle tradizioni di civiltà: il riflesso, però creativo,  dell'Occidente.  Un supplemento di  stupore del mondo che è alle origini della vita sociale stessa. Non solo del nostro mondo.  Che invece il terrorista  vuole distruggere. Insieme all'idea stessa - attenzione - di senso storico, che di quello stupore, secondo un processo cognitivo circolare,  è punto di arrivo e di partenza.
L’immagine del turista con le braccia piegate dietro la testa, al di là delle immediate necessità di ordine pubblico,  rappresenta vividamente  la nostra  condizione  attuale.  Per dirla con il grande Franco Battiato:  sul ponte sventola bandiera bianca.  Il grado zero della socialità. Quello della sopravvivenza.  Dopo la sconfitta. 

Carlo Gambescia