Farid Ikken, l’attentatore di Notre Dame, sarebbe dottore di ricerca e giornalista
Sul ponte sventola bandiera bianca
Oggi l’Ansa, come altri
media, evidenzia che Farid Ikken, l’attentatore di Notre Dame,
sarebbe un
ricercatore, laureato in scienze sociali (…), sposato con una svedese (…),dottorando in
giornalismo, con una tesi sui media, in particolare
quelli del Nord Africa. Lo ha dichiarato il presidente dell'Università di
Lorena, Pierre Mutzenhardt, alla radio France Bleu. Il rettore ha confermato
che Ikken studia dal 2014 per un dottorato in giornalismo al CREM, il Centro di
ricerca sulle mediazioni. All'università affermano che Ikken era giornalista in
Algeria.
Quindi,
secondo il punto di vista occidentale, persona evoluta,
“integrabilissima”. Non è il primo ( e
purtroppo non sarà l’ultimo), ovviamente.
Il terrorismo islamista, come è provato,
“pesca” nelle seconde generazioni, se non nella terze, tra studenti,
laureati, persone in larga parte istruite e “inserite”.
Allora? Dove vogliamo andare a
parare, con questo nostro ragionamento? Che, dispiace ammetterlo, talvolta il conoscere per deliberare non basta. Soprattutto tra opposte visioni del mondo. Come nel caso del conflitto in atto - perché di conflitto si tratta - che riguarda due concezioni radicalmente opposte. Concezioni della vita, cosa ancora più importante, non semplicemente religiose. Siamo davanti a qualcosa di più grosso: un conflitto di civiltà, per dirla con Samuel Huntington.
Infatti, oltre
alla conoscenza della cultura occidentale, da parte degli attentatori, fatto che
depone in favore della tesi del rifiuto
ex post dell’integrazione culturale, c’è dell’altro: mancano, cosa ancora più grave, lo stupore e il rispetto davanti alla grandezza e diversità delle edificazioni culturali. Se si vuole, la sen-si-bi-li-tà co-no-sci-ti-va.
Il
nostro ragionamento non è etnocentrico. Quando parliamo di stupore e rispetto,
pensiamo allo stesso stupore e rispetto che noi europei, ad
esempio, proviamo, davanti alle grandi
manifestazioni delle culture non occidentali. Tutte. Al fondo di questa (nostra) sensibilità conoscitiva, c'è un amore per la storia, quindi per la diversità.
E qui veniamo al punto. Si pensi alla distruzione di musei e monumenti da parte dei Talebani e della soldataglia dell'Isis. Cosa c'è dietro? Non c’è solo la volontà di cancellare ogni traccia
lasciata dalle religioni pre e post islamiche, ma la protervia di distruggere ciò che resta di quelle civiltà. Del senso storico stesso. Di più: si vuole cancellare il concetto di civiltà in quanto tale, quindi come evoluzione,
trasformazione, varietà di esperienze, dinamica e dunque storia. Non solo religione. E qui vanno
ricordati, sempre sul piano dell’odio esteso, gli attentati, a quella che si potrebbe definire, semplificando, la “movida” dell’Occidente: concerti
musicali, incontri sportivi, vita notturna,
viaggi, vacanze e shopping, anche culturale. Riflettiamo. In fondo, si tratta del nostro presente storico... Al quale siamo giunti attraverso un processo di sviluppo. Sempre storico.
Per contro, l’universo
jihadista, pur tra le divisioni, punta
alla distruzione della cultura in generale e della cultura occidentale, in particolare. Si vuole riportare l'umanità al grado zero: alla fine di ogni diversità, cognitiva e
sociale. E dunque della storia, come processo di formazione di quelle diversità, del passato come del presente, che di quel passato è il portato.
Sicché, l'universo islamista non cerca alcuna
mediazione . Ma neppure esiste - crediamo - volontà di integrazione sociale da parte islamica. Il basso profondo dell'islamismo tout court, con forti estensioni collettive, è dettato da un atteggiamento di negazione verso qualsiasi cultura di orientamento diverso. Qualcosa, insomma, che è lì da sempre.
Ciò indica un Dna culturale, probabilmente un'antropologia collettiva che si prolunga in un riflesso incondizionabile, non solo religioso, carico di aggressività, che, purtroppo, va oltre, o meglio forse precede, l'estremismo jihadista. Il che dipinge foschi scenari futuri che l’Occidente finge però di non vedere.
Ciò indica un Dna culturale, probabilmente un'antropologia collettiva che si prolunga in un riflesso incondizionabile, non solo religioso, carico di aggressività, che, purtroppo, va oltre, o meglio forse precede, l'estremismo jihadista. Il che dipinge foschi scenari futuri che l’Occidente finge però di non vedere.
Non
per nulla, sono attaccati - insieme ai
luoghi turistici - i turisti stessi: coloro
che, curiosi e stupiti, viaggiano, consapevoli o meno, per ammirare le bellezze artistiche del
passato, in nome della diversità e bellezza delle tradizioni di civiltà: il riflesso, però creativo, dell'Occidente. Un supplemento di stupore del mondo che è alle origini della vita sociale stessa. Non solo del nostro mondo. Che invece il terrorista vuole distruggere. Insieme all'idea stessa - attenzione - di senso storico, che di quello stupore, secondo un processo cognitivo circolare, è punto di arrivo e di partenza.
L’immagine
del turista con le braccia piegate dietro la testa, al di là delle immediate necessità di ordine pubblico, rappresenta
vividamente la nostra condizione
attuale. Per dirla con il grande
Franco Battiato: sul ponte sventola bandiera bianca. Il grado zero della socialità. Quello della sopravvivenza. Dopo la sconfitta.
Carlo Gambescia