domenica 11 gennaio 2015

La scomparsa di Francesco  Rosi
Un compagno di strada


Un compagno di strada; Rosi


Il cinema  di Francesco Rosi, scomparso ieri a novantadue anni,  resta un ottimo esempio di scuola del sospetto in versione cinematografica, naturalmente a senso unico. Perché questo è il punto:  per Rosi le cose erano come sembravano, solo a sinistra… Insomma,  il punto non  è se ciò che diceva con il suo cinema fosse vero o falso (anche se sul cinema come scuola del sospetto ci sarebbe da discutere),  ma il suo strabismo ideologico.  Una cinematografia "del marcio", come scrivono i suoi esegeti,  che però - qualcuno deve finalmente dirlo -   si arrestava davanti alle sezioni  comuniste, dove  la questione “morale”  riguardava d'ufficio solo gli altri: democristiani, socialisti,  missini, eccetera…      
Insomma, il classico “compagno di strada” privo di dubbi sul partito. In pubblico, ovviamente. Del resto nella sua filmografia manca qualsiasi accenno  - dicasi accenno -  alla tragedia sociale e politica  del  socialismo reale. Per non parlare dell’aria irrespirabile che regnava all’interno del Pci, sulla quale Rosi avrebbe potuto girare altrettanti  "bellissimi" film-inchiesta. E invece no.  Al riguardo,  Francesco Maselli (Il sospetto, 1975) e  il giovanissimo Mario Martone (Morte di un matematico napoletano, 1992)   potrebbero  essere considerati registi di estrema destra…
Tecnicamente bravo (su questo la critica è unanime),  ma fazioso.  Diciamo: impegnato,  solo da una parte...  Che dire  infatti di  un regista  affascinato dal  rapporto tra letteratura e cinema (si pensi alla sua ottima riduzione, va riconosciuto, di Cristo si è fermato a Eboli, 1979), che  però ha sistematicamente  ignorato l’opera di Solženicyn sui gulag sovietici?  Per  gettare invece palate di fango pacifista  e  giustizialista ( nel peggiore stile "Kominform per sempre" )  sulla storia d’Italia dal 1915 agli anni  Ottanta?  Arrivando perfino a comprendere se non  giustificare  il terrorismo brigatista, in termini di contrasto generazionale (Tre fratelli, 1981)? Evidentemente, in quest’ultimo caso,  perché faceva comodo trasformare, per renderla più innocua, una scelta ideologica sbagliata  in quasi innocua  ribellione giovanile. Insomma,  il mantra dei giovani compagni che sbagliavano... 
Del resto la sua filmografia  - e qui sarebbe interessante fare uno studio in termini di  sincronia  politica e anche sociologica, perché era regista di successo -  accentua la sua caratura filocomunista negli anni del Centrosinistra, inviso al Pci (Salvatore Giuliano, 1962; Le mani sulla città, 1963),  e negli anni Settanta, quando il Pci era praticamente a  un passo dal potere (Uomini contro, 1970; Il caso Mattei, 1972; Lucky Luciano , 1973; Cadaveri eccellenti, 1976).  
Era organico? Non era organico? Il punto non è  stabilire o meno la  sua affiliazione tecnica al Pci, bensì quella intellettuale, condensata nel suo essere stato, ripetiamo, un ottimo compagno di strada.   Ecco, quando oggi  si parla di egemonia culturale del Pci,  Francesco  Rosi, resta un esempio da  seminario universitario.  Con una seconda  eccezione però,   che non possiamo non  ammettere:  la bellissima riduzione cinematografia di  Se questo è un uomo di Primo Levi (La tregua, 1997).  Magari con qualche bandiera sovietica di troppo.    

Carlo Gambescia           
         

4 commenti:

  1. Ottimo, Hobbes ti ammira ;)

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  2. Caro Carlo, puntuale e preciso nella tua analisi. Purtroppo ancor oggi si finge che non ci sia mai stata l'egemonia culturale (e non solo) della sinistra in Italia. Ma diciamolo, il potere dei comunisti era ed è, sotto forme diverse, ancora al centro della guida dell'Italia, ma detto questo, dov'è la Destra? Che cosa ha fatto l'altra parte del Paese, quella maggioranza silenziosa che ha sostenuto Berlusconi? Il punto è proprio questo. Un paese stufo dei progressisti che se la tiravano da decenni, si è illuso, mi sono illuso a dirla tutta, che mandando al potere il Cavaliere, le cose cambiassero. Macché. A livello culturale oltre drive-in e Amici della De Filippi non siamo andati. La casa editrice Mondadori, in mano a Berlusconi, si è limitata a pubblicare i libri di Veltroni & Co.. Dov'è è andata a finire la cultura conservatrice? Prezzolini, Del Noce, Spirito, Gentile, cito a caso, son rimasti sepolti in biblioteca. Registi diciamo così, di destra, quale contributo hanno dato alla causa. Serra ha sostenuto che l'egemonia della sinistra c'è stata perché non esisteva una cultura di destra. Non ci credo, ma dobbiamo pure dire che senza una cultura politica non esiste una politica culturale. Del resto Berlusconi ha solo gestito un governo, senza possedere il Potere che stava in altre mani, non solo nazionali. I suoi interessi, Mediaset in primis e le mignotte poi, erano al primo posto della sua agenda, quindi di cosa stiamo parlando? Rosi è stato l'alfiere di un comunismo all'italiana, servo di Mosca, bravo come dici tu dal punto di vista tecnico, con qualche guizzo d'arte.
    L'intellettuale organico è una categoria sempre sulla breccia, tranne che per la Destra, che ha sempre visto male chi possiede una mente pensante.
    Tu sei un intellettuale di livello, sociologo fine e arguto, ma ti sei mai domandato perché non hai la giusta rilevanza nel nostro Paese? Non sto a sviolinare, lo penso davvero, e constato invece che oggi, meno vali e più segui l'onda, più spazio ti danno. Il declino dell'Italia sta tutto in questo: la massificazione del pensiero segue l'abbattimento della morale.

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  3. Grazie per il puntuale e preciso commento, Angelo. Memorabile, la tua tacitiana definizione degli interessi del Cavaliere... Quanto a me e a quelli come me, ti rispondo con le parole di un caro amico, che purtroppo non c'è più, il quale alla domanda perché lui così bravo non scriveva sul "Corriere della Sera", rispose, "perché mi piace scrivere quel ' voglio io', non quel 'mi viene ordinato da loro' "...

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