Un (quasi) elogio dell'evasore fiscale
L' alfiere dell'eticità prossima ventura
di Teodoro Klitsche de la Grange
C’è un discorso-tipo, che fa parte del
cerchiobottismo nazionale e di cui (anche) la recente apertura dell’anno
giudiziario ha offerto (qualche) ripetizione: quando si parla, specie in
discorsi ufficiali, di corruzione che si associa immediatamente all’evasione.
Così si collegano due tipi di comportamenti
illeciti che non hanno, sul piano fattuale,
nulla in comune (anzi sono l’opposto, più che il diverso). Come se si
associassero stupro e pesca di frodo, estorsione e atti osceni, furto e abuso
edilizio.
Perché dei due comportamenti l’uno richiede un
pubblico ufficiale, l’altro chiunque; il primo consiste nella condotta del
funzionario che percepisce (per lo più) denaro altrui per compiere un atto del
proprio ufficio; il secondo in chi non da denaro proprio allo Stato; la
corruzione richiede un corrotto ed un corruttore mentre l’evasione si può
consumare in solitario.
In termini politologici, il primo è reato del
governante (e tassatore), il secondo del governato (e tassato). Ciò stante - e data la diversità - è bene spiegare il
perché della (quasi) costante associazione (da parte degli oratori “ufficiali”)
e se - a prescindere che ambedue fanno parte della classe “reato” – tra i due
comportamenti non vi sia alternatività ed opposizione piuttosto che (la
evocata) vicinanza e simiglianza.
Quanto alle ripetute associazioni questa
risponde all’esigenza di accomunare governanti e governati, se non nella virtù almeno nei vizi. Si è uguali, gli uni e gli altri, non solo per Costituzione
(art. 3), ma più ancora, per conformazione
etica. Tutti peccatori e tutti
bisognosi di espiazione. Solo che ai primi compete la funzione non tanto (e non
solo) di dare l’esempio, ma ancor più quella di cambiare le cose – almeno per
la classe politica e i massimi livelli della burocrazia - ragione per cui hanno
il potere. E non sembra, a parte qualche legge – manifesto, che ardano della
voglia di esercitarlo.
Governanti e governati uniti dalla facoltà di
trasgredire, sono opposti in quella di comando: gli uni comandano, gli altri
obbediscono. Con le conseguenze che ne derivano, specie in rapporto alla
responsabilità.
Quanto al secondo aspetto: è vero che l’evasore
sottrae risorse alle casse pubbliche, ma quelle costituiscono il grosso della
torta che i corrotti si dividono.
Per funzionare eticamente (e contabilmente) il
ragionamento criticato avrebbe bisogno di “purgare” il primo termine: ad una
pubblica amministrazione corretta (e non corrotta), l’evasore trasgredisce
perché fa mancare il carburante. Ma se si accompagna la deprecazione contro
l’evasione a quella contro la corruzione, il tutto diventa intrinsecamente
contraddittorio.
Perché in uno Stato sgangherato, con una
burocrazia inefficiente e corrotta, l’evasore non è più un manigoldo, ma è lo
strumento, ad un tempo, di riequilibrio
etico ed economico.
Economico perché mantenere una repubblica
inefficiente è spreco di risorse:
come le miniere di carbone in Inghilterra, i telai a mano o i carretti trainati
dagli asini. Sul piano etico poi sottrarre denaro (o altro) significa toglierlo,
in buona parte, proprio ai corrotti (e ai loro accoliti e beneficiati). In
questo senso l’evasore non è più un reo, ma uno strumento di giustizia
(distributiva e retributiva): della prima perché, in genere, chi evade è meno
ricco di chi è corrotto; ma soprattutto della seconda, perché, quasi sempre,
chi evade fa un lavoro retribuito sul mercato, e quindi utile a chi lo
retribuisce; chi governa decide da se il denaro da prelevare, a chi e come
destinarlo, prescindendo – per definizione – dalle esigenze di mercato.
Nel primo caso c’è consenso, nel secondo comando
e quindi imposizione.
In definitiva se Adam Smith scriveva che il
contrabbandiere è il martire del libero commercio, l’evasore, in una situazione
decomposta come quella italiana, potrebbe diventare l’alfiere dell’eticità
prossima ventura.
Teodoro
Klitsche de la Grange
Teodoro Klitsche de la Grange è avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura
politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo
specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il
Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003),
L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009), Funzionarismo (2013).
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