Il libro della settimana: Mauro Pala (a cura di), Narrazioni egemoniche. Gramsci, letteratura e società civile, il Mulino, Bologna 2014, pp. 288, euro 23,00.
https://www.mulino.it/isbn/9788815251275# |
Durante
la lettura di Narrazioni egemoniche (il Mulino), studio curato da Mauro Pala, docente
di Letterature Comparate presso l’Università di Cagliari, il nostro pensiero
è andato a certa estrema destra
italiana, che sulla scia di una intrigante intuizione di
Alain de Benoist, vecchia però di quarant’anni, tuttora si dichiara fautrice
del “gramscismo di destra”, immaginando
chissà quali progetti egemonici da
proiettare sulla “società civile”, in nome di un’ideologia mussoliniana
riveduta e corretta alla luce dell’ecologismo e
dell’anticapitalismo più volgari, magari in compagnia temporanea - in attesa della resa finale dei conti - dell’ attivismo più grossolano di estrema
sinistra. In Francia, sicuramente, si
parlerebbe di commedia all’italiana…
Diciamo
subito che Gramsci, rispetto a questi
rivoluzionari da operetta, resta un
rivoluzionario vero. E un pensatore
politico notevole, ovviamente
all’interno della tradizione marxista. Il che ne costituisce il grande
limite cognitivo. Dal momento che gli aspetti sociologici della sua opera -
quelli ad esempio legati alla cosiddetta
conquista culturale della società
civile - restano di una banalità
sconcertante. Soprattutto per chi abbia formazione sociologica e sappia come
certi meccanismi culturali non fossero per nulla sconosciuti a contemporanei di
Gramsci come Pareto, Mosca, Ferrero, Sorokin, Mannheim (solo per fare qualche
nome tra i più importanti). Cosicché, per farla breve, possono essere distinte due posizioni
critiche: quella di coloro che, all’estrema destra e all’estrema sinistra, insistono nella “scoperta dell’acqua calda”,
ossia continuano a scorgere nella teoria gramsciana idee in
realtà scoperte, indagate e approfondite
molto meglio dal pensiero sociologico di ieri come di oggi; e quella di coloro
che continuano a pestare l’acqua nel mortaio della filologia marxista non
tralasciando di far trasparire, magari con accademica nonchalance, aspirazioni pseudomillenariste. A questa seconda
categoria appartiene il libro curato da Pala. Il che significa una sola
cosa: per passare in rassegna i singoli contributi, si
dovrebbe condividere la prospettiva costruttivista e immanentista che caratterizza
il background degli autori, tutti orfani di Marx (e di Gramsci, of course) . Infatti - una volta
grattata la vernice di un’apparente neutralità accademica - si scopre che per costoro il nemico principale rimane tutto
ciò che si oppone alle sorti progressive dell’umanità. Quindi il libro dal
punto di vista dell’analisi sociologica non
è recensibile perché o vi si dicono banalità (come a proposito dell’importanza
degli aspetti cognitivi dell’agire sociale) o vi si favoleggia - neppure tanto fra le righe - sulla nascita del mondo nuovo, grazie alla
riscoperta del vero Gramsci, ovviamente quello “immaginario” degli autori: un Gramsci riletto alla luce di
un umanesimo marxista postmoderno. Tutto qui.
Naturalmente,
lasciamo agli estimatori del genere (non molti per la verità) i preziosismi della
migliore ( o peggiore, dipende dal punto di vista) scolastica marxista
applicata alla letteratura politica e non: da Rushdie a Williams. Per non
parlare della solita zuppa mista sulla storia d’Italia, ora in salsa
terzomondista (pardon, post-postcoloniale…), vista come orrida mescolanza di trasformismi
politici e rivoluzioni (giacobine)
mancate. Una visione, come è noto,
“smontata” in anteprima da Cuoco,
poi da Croce, Maturi, Romeo, solo per fare alcuni nomi importanti . Eppure
per Pala & Co., sognanti Alici nel Paese delle Meraviglie, l’ora del tè storiografico, sembra essere
passata invano …
Chissà
se nel 1922 o nel 1948 avessero invece
vinto i comunisti come sarebbe finita: avrebbero costruito l’Uomo Nuovo, come
nella Russa Sovietica. Salvo poi chiedere scusa nel 1989… E ritirarsi in buon
ordine nel 1991, lasciando solo macerie morali, sociali e politiche. Visti i
risultati storici, forse sarebbe il caso di dimenticare (anche) Gramsci… Non che il fascismo sia stato
migliore. Ma forse, a livello di storia ipotetica ( postulando paralleli con il franchismo), sarebbe comunque durato meno…
Un’ultima
considerazione. Il pensiero gramsciano
dal punto di vista della filosofia della trascendenza resta quanto di più ostile e contrario alla
visione cristiana. Anche se Gramsci,
amava sorelianamente ( e astutamente) accostare cristianesimo e marxismo,
blandendo, senza nel fondo cedere nulla.
Di qui, talvolta equivoci, spesso storici, anche all’interno di certo mondo cattolico, laicale e non, troppo ingenuo e pauperista. A scopo profilattico
- termine rozzo ma efficace - citiamo
da Gramsci stesso. Si tratta di un passo
in argomento, a dir poco
esemplare, che piacerebbe a Machiavelli:
«Il
partito comunista è, nell’ attuale periodo, la sola istituzione che possa
seriamente raffrontarsi alle comunità
religiose del cristianesimo; nei limiti in cui il Partito esiste già, su scala
internazionale, può tentarsi un paragone e stabilirsi un ordini di giudizi tra
i militanti per la Città
del Dio e i militanti per la
Città dell’uomo; il comunista non è certo inferiore al
cristiano della catacombe. Anzi! Il fine ineffabile che il cristianesimo poneva
ai suoi campioni è, per il suo mistero suggestivo, una giustificazione piena
dell’eroismo, della sete di martirio, della santità; non è necessario entrino
in gioco le grandi forze umane del carattere e della volontà per suscitare lo spirito di sacrificio di chi crede al premio celeste e alla eterna
beatitudine. L’operaio comunista che per settimane, per mesi, per anni,
disinteressatamente, dopo otto ore di lavoro in fabbrica, lavora altre otto ore
per il Partito, per il sindacato, per la cooperativa, è, dal punto di
vista della storia dell’uomo, più grande dello schiavo e dell’artigiano che
sfidava ogni pericolo per recarsi al convegno clandestino della preghiera. Allo
stesso modo Rosa Luxemburg e Carlo
Liebknecht son più grandi dei più grandi santi di Cristo. Appunto perché il fine della loro
milizia è concreto, umano, limitato, perciò i lottatori della classe operaia sono più grandi dei
lottatori di Dio: le forze morali che sostengono la loro volontà sono tanto più
smisurate quanto più è definito il fine proposto alla volontà.
C’è
da aggiungere altro? Cattolico avvisato, mezzo salvato…
Carlo Gambescia
(*) A. Gramsci, Il partito comunista, in “Ordine nuovo”, 4/9/1920, ora in Idem, L’ Ordine nuovo, Einaudi, Torino 1954, pp. 156-157.
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