venerdì 22 settembre 2023

Antitaliano a chi? La guerra delle razze (con altri mezzi)

 


Il termine antitaliano è un portato della storia risorgimentale. Chiunque allora fosse contro il processo di unificazione in chiave liberale, veniva liquidato  come nemico dell’Italia: austriacanti, filoborbonici, papalini.

Il fascismo, con Mussolini, restrinse l’appellativo agli antifascisti, rovesciandone però il senso politico in chiave antiliberale: chi era contro il fascismo, quindi anche un liberale, non era italiano, ergo era antitaliano (*).

Come si può intuire siamo davanti a un' ideologia, a una certa visione dell’Italia e dell’Antitalia, tesa, di volta in volta, alla delegittimazione dell’avversario. Alla sua trasformazione in nemico. Accuse, che una volta caduto il salutare correttivo liberale, come nel caso del fascismo, possono sempre condurre, come nel 1943-1945, alla guerra civile.

A questo, tristemente, pensavamo, a proposito dell’accusa di “antitalianismo” lanciata dalla Lega contro il direttore del Museo Egizio di Torino: Christian Greco. Accusato di favorire i “non italiani”, praticando sconti sui biglietti di ingresso. In particolare, si dice, Greco avrebbe favorito i visitatori di religione islamica. Di qui l’accusa di “razzismo” verso gli italiani. In quest’ultimo caso siamo dinanzi a una interessante variante ideologica, per quanto grossolana e biasimevole. Che merita una riflessione.

Perché? Per la semplice ragione che l’accusa di razzismo contro gli italiani implica in coloro che la lanciano un razzismo superiore a quello (presunto) del direttore del Museo Egizio. Perché presuppone la credenza nell’ esistenza di una razza: quella italiana.

Qui si faccia attenzione: non si tratta neppure della celebrazione della  razza “ariana” racchiusa nel  famigerato Manifesto  fascista del 1938. Siamo addirittura oltre il fantapolitico arianesimo razziale.  Si attesta l’esistenza di ciò che scientificamente, sotto l’aspetto genetico, non esiste: una razza italiana (**).

Ovviamente ciò non significa che se gli italiani fossero una razza, l’accusa di razzismo sarebbe giustificata.

Un passo indietro. Non esiste posizione ideologica peggiore di quella della guerra delle razze, frutto velenoso di un preciso portato sociologico che rimanda a due dannose scelte politiche,con ripercussioni sul piano legislativo. Vediamole.

O si introduce una gerarchia (razzismo), si pensi all’apartheid sudafricana, o si vara un meccanismo compensativo, diciamo di welfare, per parificare, sulla base di gerarchie dei torti subiti (quindi di nuovo gerarchie, ma “antirazziste”…), le varie “razze”, se proprio si vuole usare questo termine.

Sotto il secondo aspetto (quello della gerarchia morale dei torti subiti), se si deve fare una critica al direttore del Museo Egizio, lo si può accusare di welfarismo compensativo. Cioè, lo stato, si assume l’onere di colmare la distanza tra il biglietto scontato e il biglietto a prezzo pieno per favorire per "ragioni morali" un determinato gruppo sociale. Detto altrimenti: si persegue l’uguaglianza attraverso la disuguglianza.

Però esiste un problema: che sulle "ragioni morali" (ne parliamo in generale: non desideriamo entrare nel merito) non vi è e non vi sarà mai accordo. Ogni individuo ha una sua idea di giustizia, incluso il direttore del Museo Egizio e i leghisti che lo attaccano. Il che, si badi non significa che per chi scrive razzisti e antirazzisti pari siano. A noi interessa evidenziare la questione sociologica: che gli uni e altri, pur per "ragioni morali" differenti, nobili o meno, ripropongono comunque una gerarchia sociale che inevitabilmente non è condivisa da tutti i contendenti.

Di qui i conflitti e la continuazione della guerra tra le razze con altri mezzi: quelli dello stato etico che ritiene di conoscere alla perfezione il fine ultimo a cui devono tendere le azioni dei singoli individui come prolungamento della realizzazione del bene universale. Lo si potrebbe anche chiamare stato totalitario.

Esiste un rimedio? Sì. Far pagare a tutti lo stesso biglietto. Prezzo unico, in base alla legge della domanda e dell'offerta  di cultura (che, piaccia o meno,  non per tutti è un patrimonio né mai lo diverrà).  E soprattutto, cosa fondamentale: lasciare le valutazione morali fuori dai musei.

Carlo Gambescia

(*) Su questi aspetti rinviamo a G. Belardinelli, L. Cafagna, E. Galli della Loggia, G. Sabbatucci, Miti e storia dell’Italia unità, il Mulino, Bologna 1999, pp. 53-62.

(**) Sul punto si vedano le recenti ricerche di Donata Luiselli e Davide Pettener dell’Università di Bologna. Qui una rapida sintesi: https://bolognamedicina.it/wp-content/uploads/2020/09/Storia-Genomica_DIARIO-2018.pdf .

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