Se si ripercorre la storia del Novecento si scopre che non sono pochi i politici-intellettuali. Non parliamo in particolare dei professori ordinari diventati Presidenti del Consiglio. L’Italia ad esempio nell’ultimo decennio ne ha avuti tre: Monti, Conte, Draghi, con alterni risultati. Parliamo invece di chi ami mettere nero su bianco il proprio progetto politico. Di dire l’ultima parola politica. Più propriamente si potrebbe parlare di politici con pretese intellettuali.
Sul punto la Seconda Repubblica ha esagerato. A dire il vero cominciò Craxi, al crepuscolo della Prima, aiutato, forse anche troppo, da Luciano Pellicani opponendo, Proudhon a Lenin. Il messaggio era per Berlinguer. Che non gradì.
Seguirono Occhetto, D’Alema, Berlusconi, Bossi, Fini, da ultimi Renzi e Calenda, Elly Schlein, e infine Giorgia Meloni, che nel giro di tre anni ne ha scritti addirittura due. Il secondo è in uscita: La versione di Giorgia (Rizzoli), libro intervista a cura di Alessandro Sallusti.
Il valore letterario di queste pubblicazioni (e ne abbiano dimenticate non poche) resta pari a zero. Il valore politico rinvia al messaggio propagandistico che si vuole far passare, anch’esso pari a zero. Va però detto che questi libercoli possono comunque acquisire nel tempo un valore storico, anche sul piano dell’interpretazione. Sotto questo aspetto il saggio su Proudhon di Craxi-Pellicani, resta ancora utile per capire la differenza, tuttora vivissima, tra le due sinistre: riformista e rivoluzionaria.
Senza scomodare l’Ottocento, ad esempio le memorie e le analisi di Bismarck (o ancora più indietro quelle di Guizot e Talleyrand), si pensi agli scritti politici di Churchill, Kissinger (che però era professore), Andreotti (e anche Cossiga). Un altro pianeta storico e intellettuale. Molti fatti, poca propaganda. Sotto questo aspetto, per fare un altro nome importante, le Memorie della mia vita, di Giolitti restano tuttora un modello interpretativo, quanto al clima allora creatosi, per capire il pericoloso collegamento tra interventismo e fascismo.
Per contro i libri di Renzi, Schlein, Meloni (solo per fare tre nomi) sono povera cosa. Rappresentazioni del nulla. Propaganda, pure deboluccia sul piano sintattico.
Non abbiamo ancora letto il libro intervista della Meloni. Abbiamo solo dato un’occhiata ai lanci. In realtà il punto non è leggerlo (incombenza che però ogni onesto osservatore deve assolvere). Del resto sarà più o meno la solita minestra. E allora qual è il punto? Sembra essere la salsa thatcheriana. Si vuole presentare (forse con lo zampino di Sallusti) la Meloni come una nipotina della Lady di Ferro. E la sinistra subito è andata nozze (ad esempio “Il Manifesto”). Sinistra, che come al solito, non ha capito nulla.
Un passo indietro. La Thatcher in pieno consiglio politico scaraventò sul lungo tavolo, intorno al quale erano seduti i suoi ministri, un grosso volume di Hayek, aggiungendo: “Ecco quel che dobbiamo fare. E’ tutto qui, studiate”.
Ora, la Meloni, che secondo la sinistra vorrebbe scimmiottare la signora Thatcher, ignora totalmente chi sia Hayek, come pure la scienza dell’economia, altrimenti non avrebbe mai detto quelle stupidaggini sui tassi attivi e passivi.
La Thatcher, piaccia o meno alla sinistra, aveva letto a fondo Hayek, conosceva bene l’economia, era liberale autentica, e, contro gli americani, che erano contrari, condusse un paese in guerra, riprendendosi armi in pugno le Falkland. "Faceva" , non aveva tempo per imbrattare carta. Su quest’ultimo punto, ma anche su altre questioni secondarie (ad esempio lo sciopero dei minatori, idealizzato dalla sinistra) si leggano invece le eccellenti memorie sugli anni trascorsi a Downing street. Scritte "dopo", non "prima" e "durante".
Invece la Meloni, che a Washington sembrava una miracolata, è rimasta una fascistella ignorante, presuntuosa con i suoi sottoposti (come lo si può essere in un partito di ignoranti: quindi al di sopra di una media molto bassa). Oltre alla capacità di saper dirigere il partito come una casa famiglia, la sua vera fortuna è di avere davanti una sinistra altrettanto impreparata, ignorante, pure stupida, che con la sua stupidità, rischia, nobilitandola, di far circolare a livello mediatico l’idea contraffatta della Meloni-Thatcher. Insomma, il rischio è quello della promozione (immeritata) sul campo. E questo può avvenire perché non pochi italiani, altrettanto ignoranti di storia britannica, pur dividendosi in pro e contro come al solito, crederanno alla panzana della Nuova Lady di Ferro. Si discuterà del nulla.
Ecco a cosa servono in Italia i libri scritti dai politici: a creare inesistenti figure mitologiche, prive di qualsiasi addentellato storico: figurine più che figure da servire a un elettore ridotto allo stato di minus habens. Come del resto ha provato il mediocre dibattito sul recente libercolo del generale Vannacci. Pure lui vuole fare politica, quindi si è dato alla scrittura.
Per tornare alla vendita della Fontana di Trevi Meloni-Thatcher agli italiani, si fa finta di non sapere che Margaret Thatcher proveniva dal partito conservatore e non da un gruppo politico di estrema destra.
Insomma, il partito conservatore britannico era ed è una cosa, il Movimento sociale italiano un’altra. Ma per la sinistra la Thatcher era ed è fascista. Per contro per i fascisti di Fratelli d’Italia l'accostamento non risulta sgradito. Ai parvenus missini i quarti di nobiltà piacciono sempre. E poi in questo modo si può discutere a vanvera di un’isola che non esiste: della Thatcher immaginaria degli italiani... A destra come a sinistra.
Certo, fino a quando a La Russa, in veste di maggiordomo meloniano, non scatterà all’improvviso il braccio destro nel saluto fascista. Confermando così l'antiliberalismo della sinistra che mescola rozzamente liberalismo e fascismo: Thatcher e Meloni.
Comunque sia, Maggie si sta rivoltando nella tomba.
Carlo Gambescia
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