Lasciamo volentieri agli storici la valutazione definitiva dell’uomo politico Giorgio Napolitano, scomparso ieri. Però, in tutta onestà, qualche cosina si può già dire.
Sostanzialmente un moderato, “migliorista” secondo il lessico operaista, impregnato di cultura costituzionale e resistenziale. Di sicuro un democratico. Però con salde radici comuniste. Mai stato un liberale, come alcuni questa mattina lo presentano. Forse lo era rispetto all’ex fascista Ingrao, però dal punto di vista della dialettica interna.
Perciò sul punto avremmo da obiettare. Nel 1956, pur tra “gravi tormenti” spirituali, sull’Ungheria, Napolitano, trentenne, giovane parlamentare del Pci, appoggiò la linea Togliatti. Comunque, politicamente parlando, va onestamente riconosciuto che Napolitano era una spanna sopra i politici della Seconda Repubblica.
Ma non è di questo che desideriamo parlare. La figura di Napolitano, e ci riferiamo in particolare al doppio mandato come Presidente della Repubblica, va studiata dal punto di vista strutturale.
Cioè la vera domanda è cosa ha rappresentato Napolitano all’intero di un doppio processo politico, strutturale, che si potrebbe riassumere sotto due aspetti: 1) lo sviluppo di un presidenzialismo informale all’interno di una repubblica formalmente parlamentare; 2) il suicidio politico del Partito democratico che ha consegnato il Paese prima ai populisti di Cinque Stelle, poi alla destra neofascista, o comunque estrema.
I due aspetti purtroppo sono collegati, perché tra il 2006 e il 2015, il Partito democratico, grazie all’ombrello quirinalizio di Napolitano ha dormito sonni fin troppo tranquilli. Dal momento che ha visto succedersi un governo di destra (Berlusconi), un governo tecnici non sgradito alla sinistra (Monti), due governi di sinistra (Letta e Renzi).
Le radici del suicidio vanno ravvisate in un parallelo e galoppante processo di “estremizzazione” della politica, che dal Buen Retiro del Quirinale e del Partito democratico è stato sottovalutato. Attenzione: non ignorato ma sottovalutato.
Un processo che invece ha favorito a sinistra lo sviluppo del Movimento Cinque Stelle. E in seguito quello di Fratelli d’Italia: una crescita che allora sembrava meno prevedibile e pericolosa.
Cosa è accaduto? Che l’ “adunata” dei moderati di centro e di sinistra intorno a Napolitano, per alcuni osservatori necessaria dal punto di vista europeista e dei bilanci in ordine (si fa per dire), ha favorito la deriva verso una sinistra pauperista, assistenzialista, antiliberale che, di rimbalzo, o comunque attraverso un processo di azione-reazione per estreme, ha condotto al governo, dopo ottant’anni, i neofascisti capitanati da Giorgia Meloni.
Il che è stato ulteriormente favorito, come ogni processo strutturale – tale, perché più forte della stessa volontà degli uomini – dalla doppia presidenza di Mattarella, che si sta muovendo più o meno lungo la strada segnata da Napolitano.
Però ecco il punto, che come tutti gli effetti perversi delle azioni sociali e politiche ha aspetti ironici: la comprensibile volontà, di lottare contro l’antipolitica ha favorito la vittoria dell’antipolitica dei partiti di natura antisistemica: Fratelli d’Italia, come detto, è al governo, Cinque Stelle regge bene all’opposizione e condiziona pesantemente il Partito democratico da decenni in grave crisi di identità, fattore prodromico di ogni suicidio anomico.
Partito, ora nella mani di Elly Schlein, neppure troppo salde. Figura, per alcuni di secondo piano, che tuttavia non disdegna l’antipolitica a partire dai violenti toni usati in pubblico.
L’ironia storica è nel fatto che Napolitano (e ora Mattarella), puntando sulla la difesa della società aperta (il bene), giustamente vittoriosa nel 1945, si sono però arroccati su una sorta di linea politica quirinalizia: un combinato disposto di assistenzialismo, euroburocratismo, fiscalismo, a attendismo politico. L’esatto contrario dei fattori di libertà che distinguono la società aperta. Di qui però le contraddizioni tra il dire e il fare e la vittoriosa sollevazione antipolitica, anche elettorale, delle estreme, a destra come a sinistra (il male). Partiti che hanno avuto gioco facile contro i temporaggiamenti quirinalizi, promettendo tutto e il contrario di tutto.
Ciò non significa che Napolitano non dovesse opporsi all’antipolitica serrando le fila intorno al Quirinale. Diciamo che togliattianamente vi ha creduto troppo, scambiando il centralismo democratico del vecchio Partito comunista con il centralismo del Quirinale nei riguardi dell’Italia. Ma l’Italia non poteva essere il Partito comunista. Con gli elettori liberi di votare, a diffierenza degli iscritti al Pci, non poteva non vincere l’antipolitica. E così è stato.
Un liberale queste cose le conosce benissimo, e sa fin dove spingersi, un comunista, post o ex che sia, no.
Carlo Gambescia
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