Non desideriamo infilarci nei meandri della strage di Ustica. Da anni diventata per la sinistra una battaglia politica.
Si grida che si vuole giustizia, agitando il fantasma del complotto di militari e politici, stati stranieri, eccetera, tra l’altro pasticcioni, perché il famigerato missile contro Gheddafi avrebbe colpito un aereo civile italiano. E sia. Diamo per buona la versione di Giuliano Amato (condivisa anche da Cossiga): fu strage. Morirono 81 persone.
Ora però dobbiamo dire alcune cose controcorrente. Diciamo metapolitiche. Chi desidera, può anche smettere subito di leggere.
1) Come detto, diamo per certa la tesi che il missile fosse francese e contro Gheddafi, come sembra confermare Giuliano Amato. Per contro, le cause del perché abbia parlato solo ora, la figura umana e politica di Amato, i giochi e i giochini, nascosti, contro questo contro quello, sono tutte cose che qui non interessano. Diamo per scontato, ovviamente in linea ipotetica ( dal momento che sussistono altre ipotesi), che le cose siano andate così. Punto.
2) Si tratta quindi di omicidio politico. La storia ne è piena, come conferma il ciclo politico, ossia quel processo di conquista, conservazione e perdita del potere: una regolarità di cui si occupa la metapolitica. Da ultimo ne ha fatto la spese Prigozhin , trascurato dall’Occidente. Sandro Pertini, il presidente partigiano di Cutugno, nell’aprile del 1945, dinanzi al Cardinale Schuster, evocò il “bagno di sangue” contro i fascisti. E attuò. Probabilmente Mussolini, spietato dittatore, quella fine se la meritava. Non meritava invece il pubblico ludibrio successivo. Ma questa è un’altra storia.
3) Quel missile, se si accetta, ripetiamo, la tesi che piace alla sinistra, era diretto contro Gheddafi. Opera meritoria. Da abbracciare i francesi per tutta la vita. Se lo avessero tolto di mezzo prima, oggi la Libia sarebbe pacificata da un pezzo. Stesso discorso per Mussolini. Probabilmente militari italiani di stampo franchista, non un giornalista socialista e mattoide assurto a dittatore, avrebbero evitato l’ Asse, la guerra e la successiva guerra civile. Diciamo il modello spagnolo, con successiva intelligente transizione alla democrazia, eccetera, eccetera.
4) Il missile però, invece di colpire l’aereo di Gheddafi, avvisato sembra addirittura da Craxi (così adombra Amato), altro socialista come Pertini ma dal cuore tenero verso i dittatori, colpì un aereo civile. Una strage.
5) L’omicidio politico, soprattutto dopo lo sviluppo dell’etica democratica, che entro certi limiti resta sostanzialmente pacifista e umanitaria, non viene più rivendicato pubblicamente, come accadeva nei secoli di Bisanzio o tra i monarcomachi (cattolici e protestanti) della prima età moderna, idealizzandolo, come giusta eliminazione di un sovrano tirannico, incapace, irreligioso, eccetera. La violenza, piaccia o meno, ripetiamo fa parte del ciclo politico: si può mitigare, limitare, imbrigliare, ma non eliminare del tutto.
6) Ora i francesi cosa avrebbero dovuto fare? Farsi carico di un omicidio politico fallito sfociato in una strage? Oppure fare finta di niente eccetera, eccetera? La rivendicazione di un’operazione segreta fallita per giunta di tipo omicida è un’arma nella mani del nemico, che può usarla per seminare divisioni in campo avverso. Perciò ammettere significa consegnarsi mani e piedi legati ai nemici. Quindi, democrazia o meno, per ragioni di realismo politico si deve tacere. E qui ciò che colpisce è il silenzio di Gheddafi. Che avrebbe potuto usare la strage contro i francesi e gli americani (sembra anch’essi coinvolti). Probabilmente li avrà ricattati in segreto. Difficile sapere.
7) Conclusioni. Le “intenzioni” politiche dei francesi e degli americani erano buone: si trattava di eliminare un pericoloso nemico dell’Occidente, un elemento di disordine, un sobillatore. L’esecuzione del piano meno, perché fu condotta in modo dilettantesco. Se fosse andato in porto l’omicidio politico, non sarebbero morte ottantuno persone e la pace ne avrebbe comunque guadagnato.
Post Scriptum. Come detto diamo per scontata, ovviamente in via ipotetica, la versione di Amato. Che utilizziamo come base cognitiva per un’analisi metapolitica dell’intera vicenda. Altre versioni ipotetiche, arricchite o meno, esulano dalla base osservativa del nostro ragionamento. Quindi inutile proporle alla nostra attenzione. Ci si attenga ai contenuti della nostra riflessione.
Carlo Gambescia
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