Innanzitutto due citazioni.
La prima.
«Generosa ma non accomodante. Si schernirebbe e, a questo punto, mi inviterebbe alla sobrietà! Però è giusto ricordare come con Achille Ardigò, e tanti altri, scelse una branca della Sociologia vicina alle marginalità, che per certi versi verifica e corregge le decisioni degli economisti, certi tagli alla spesa, ad esempio, con conseguenze spesso lasciate a chi viene dopo, perché vede il mondo a partire dai poveri e non viceversa» (*).
Così il Cardinale Zuppi, nell’ omelia in occasione delle esequie di Flavia Franzoni Prodi.
La seconda.
«Da Preside della Facoltà di Sociologia e Scienze della Comunicazione de “La Sapienza” – prosegue la nota – aveva dimostrato di essere sempre dalla parte dei più deboli e dei giovani, il suo chiodo fisso. Le nostre condoglianze vanno alla sua famiglia e alla comunità di Ravello, comune della costiera amalfitana, che aveva apprezzato negli anni il suo attivismo culturale e il suo impegno sociale »(**).
Così in una nota della delegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo stilata in occasione della scomparsa di Domenico De Masi.
Riassumendo: l’omelia di Zuppi risale a giugno. Ieri è mancato De Masi. E abbiamo letto più o meno le stesse cose, rilanciate, non da un prete, ma dal laicissimo Movimento 5 Stelle. Due indizi possono costituire una prova? Forse. Anche perché la letteratura sociologica corrente sembra andare nella stessa direzione culturale così apprezzata dal Cardinale Zuppi e dal Movimento 5 Stelle: quella di una sociologia vicina a marginali e poveri, ma in realtà braccio armato, culturalmente armato, del welfare state.
Parole forti, le nostre, ma necessarie. Infatti, oggi, la via disciplinare è stretta: la sociologia o si occupa del visuale, dei gesti e del linguaggio, addirittura degli odori, o di assistenza sociale.
Nelle università gli studenti non studiano più classici (ad esempio, Comte, Spencer, Durkheim, Simmel, Pareto, Weber). Ci si concentra sull’immaginario contemporaneo: la sociologia appone sul proprio ombelico l’etichetta realtà.
Al centro di questo immaginario, da un lato c’è il povero, dall’altro il diverso, entrambi visti come marginalizzati, vittime della società attuale, quindi da idealizzare. Sicché la sociologia finisce per occuparsi di come recuperarli, sostenerli, integrarli. Perciò, come detto, la sociologia si comporta come braccio armato del welfare state: fornisce al burocrate truppa intellettuale e munizioni cognitive.
Un laureato in sociologia, oggi come oggi, al di là degli spazi, spesso poco praticabili, nell’insegnamento e nella ricerca a vari livelli, può trovare lavoro, abbastanza facilmente, nell’assistenza sociale o comunque in attività sociali di recupero, sostegno e integrazione a poveri, immigrati, portatori di deficit, persone sole. Le istituzioni pubbliche, formali e informali, tendono sempre più a "consumare" sociologi e psicologi in quantità crescenti.
Quanto all’ambito teorico, o se si preferisce della ricerca, i cordoni della borsa pubblica si aprono solo per ricerche legate alle dinamiche assistenziali.
Il sociologo è visto, soprattutto dai politici, alla stregua dello psicologo in divisa che collabora con le forze di polizia quando vi è necessità di sostegno psicologico alle vittime. Sotto questo aspetto, si dice, il sociologo deve occuparsi delle “vittime” prodotte dalle dinamiche di mercato. Si potrebbe parlare della sociologia come necessario supplemento di dolcezza alle presunte durezze del mercato.
La sociologia storicamente parlando (ovviamente semplifichiamo) è passata attraverso tre fasi: 1) quello di scienza della società, grosso modo fino alla prima guerra mondiale; 2) di scienza della rivoluzione, dal 1917 al 1968, inglobando i moti studenteschi e favorendo in alcune sue frange estreme il terrorismo; 3) in scienza del welfare state, come scienza dell’assistenza sociale.
A nostro modesto avviso riteniamo si debba invece recuperare la sociologia come scienza della società. La sociologia non deve mai porsi al servizio di nessuno: né dei forti né dei deboli.
Non è detto che una brava persona sia anche un bravo sociologo. Il sociologo può anche essere una brava persona, ma deve restare innanzitutto un sociologo: nel senso dell' analista che studia le cose come sono e non come dovrebbero essere. Ad esempio, la sociologia scienza della società insegna che in una società lavorista si devono seguire principi lavoristi, e che di conseguenza, il numero degli assistiti non può superare quello dei lavoratori, o comunque la quantità di risorse accumulabili con il lavoro. Il welfare state, a differenza di quanto sosteneva Flavia Franzoni Prodi, ha un punto limite, di saturazione, oltre il quale ci si avvia al galoppo verso la crisi fiscale dello stato.
Lo stesso discorso vale per il principio del non lavoro, del cosiddetto “diritto all’ozio”, propugnato da Domenico De Masi. In realtà, la sola idea della sua introduzione in una società lavorista ricorda la classica bomba a orologeria.
Che Zuppi e i politici del Movimento Cinque Stelle ragionino in base a principi non lavoristi, per quanto discutibile, può anche essere compreso. Per contro, il fatto che un sociologo si trasformi in prete e profeta politico non può assolutamente essere compreso né accettato. La sociologia è scienza non profezia.
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://www.chiesadibologna.it/wd-document/omelia-per-il-funerale-di-flavia-franzoni-prodi/ .
(**) Qui: https://www.agi.it/cronaca/news/2023-09-09/morto-sociologo-domenico-de-masi-22957098/ .
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