martedì 30 giugno 2020

“Batosta” per Macron alle  muncipali
L’elettore autolesionista

Al netto del voto di protesta contro Macron, quel che emerge dalle  municipali  francesi, è l’autolesionismo non solo dell’elettore francese, ma di tutti gli altri elettori,  ovunque vincano, e sembra capitare sempre più spesso, forze politiche ecologiste, verdi come si dice.  
L’elettore comune sembra ignorare che le politiche ambientaliste implicano leggi, regolamenti, divieti, nuove tasse. Per inciso, in Francia, anche Macron, liberale di sinistra, non è insensibile al tema ambientalista, tutt’altro... Ad esempio,  alle origini della protesta dei gilet gialli ritroviamo  la sua severa politica fiscale ambientalista.    
Insomma, comunque la si metta, ecologismo significa  meno libertà per tutti. E in nome di  che cosa? Dell’utopismo, pericolosissimo, a sfondo costruttivista, di liberare  l’intero pianeta, mediante l’introduzione dall’alto  di una rigida legislazione, come spesso si legge,    dai danni ambientali   e dagli sprechi causati invece dall’unico sistema economico, capace di garantire un livello di vita storicamente senza precedenti: il capitalismo.  
La gente comune, in particolare in Occidente,   non si rende conto  che quanto più crescono i costi delle politiche “verdi”, tanto più le nostre economie  si fanno  meno competitive.  Il che significa  meno ricchezza,  meno  benessere.  
Chiunque voti verde, vota contro se stesso. E in primis  la  regola  vale per quei  gilet gialli  che votando per il  sindaco ecologista  si sono  scavati la fossa (fiscale)  da soli.

Si dirà che si tratta di un concetto semplice. Eppure, l’elettore medio sembra non comprendere.  Per quale ragione? Perché  anni e anni di propaganda  politico-mediatica  alimentata dai tradizionali nemici dell' economia di mercato (verdi, per l’appunto, ma anche socialisti, comunisti, fascisti, liberali di sinistra, tradizionalisti religiosi e non), hanno prodotto e  veicolato  una  retorica capillare, inculcata nelle scuole  fin dalla più tenera età.
Un mantra, ormai annidatosi  nella mente dell’elettore, che si fa forte della falsa  idea  che un capitalismo regolamentato sotto il profilo ecologico  funzioni meglio: lo si chiama, in attesa di debellarlo,  "capitalismo sostenibile", come se fosse una malattia cronica...  Inoltre si promuove, soprattutto sui social, la romantica fantasia che le tasse ecologiche, unite ai divieti, favoriscano il ritorno a una specie di mondo edenico, dove il lupo e l’agnello, eccetera, eccetera.   
Utopie che invece rendono  la vita delle persone impossibile,  e da subito. E per una semplice ragione:  l’ecologismo impone controlli, i controlli necessitano di burocrazie,  e le burocrazie, finanziate con ogni genere di imposte e  tasse (ovviamente  crescenti),  sono per antonomasia il ritratto dello spreco e dell'inefficienza sociale. Detto brutalmente:  il cittadino paga  per vivere in prigione, o meglio per finanziare i suoi carcerieri.  Autolesionismo allo stato puro.


Non abbiamo accennato alla questione ecologica in sé, dal momento che secondo gli studiosi più seri  in pratica  non esiste: si tratta semplicemente della continuazione della guerra al capitalismo con altri mezzi, quelli dell’arrogante e predatorio  statalismo “postfascista” e  “postcomunista”. E della  relativa retorica politica, uguale persino nei dettagli.
Purtroppo, come si può intuire,  le spiegazioni razionali sembrano lasciare indifferente  la gente comune che invece mostra di  dare credito alla favola ecologista.  E votare di conseguenza.  Come è noto però, il sonno della ragione, eccetera, eccetera. 

Carlo Gambescia