giovedì 4 giugno 2020

Hong Kong, tra  Cina e Gran Bretagna
  "Tutti britannici",  la mossa  di Boris Johnson (alla luce del realismo politico)


Consigliamo la lettura  dell’articolo uscito su "Formiche" di Giancarlo Elia Valori,  testo - in sintesi -  in cui si illustrano i vantaggi di una politica di  appeasement   verso la Cina,  dando quasi  per scontata la sconfitta dell'Occidente in caso di guerra (1). 
Il taglio  realista dell’autore, come ogni buon realismo politico a quo, guarda all’immediato, al rischio  di una guerra, ponendo in secondo piano  le  prospettive  future, in termini di realismo ad quem,  imperniato invece  sull’idea di non consentire che la potenza cinese cresca  fino al  punto di mettere in pericolo le libertà occidentali, politiche, economiche, culturali.
Il realismo  a quo  è immerso nel presente  e guarda alle conseguenze immediate;  il realismo ad quem,  guarda  invece al futuro e alle conseguenze di lunga durata.  Semplificando: il realismo a quo  rinvia all’etica della responsabilità, quello ad quem all’etica dei principi, per dirla weberianamente.  Il realismo a quo guarda alle distribuzione quantitativa delle forze in campo,  il realismo ad quem alla distribuzione qualitativa, ma non solo, come poi vedremo (2).

Boris Johnson, ovviamente, pur con i  limiti insiti nel curioso personaggio,  ha invece minacciato, se la Cina non cambierà linea  verso Hong Kong,  di concedere la cittadinanza britannica all’intera popolazione. Quindi sembra muoversi lungo le linee di un realismo ad quem, qualitativo, in difesa della libertà. 


"Spero non si arrivi a questo", scrive Johnson in un editoriale pubblicato dal Times e dal quotidiano di Hong Kong South China Morning Post, "il Regno Unito non vuole altro che Hong Kong prosperi nell’ambito del principio “un Paese, due sistemi”. Spero che la Cina voglia lo stesso". Tuttavia, qualora Pechino non dovesse cedere sulla nuova legge che secondo i suoi critici segnerà la fine dell'autonomia di Hong Kong, in teoria garantita fino al 2047 in base agli accordi del 1997, "verrà consentito ai 350 mila residenti di Hong Kong che hanno un passaporto britannico e agli altri 2,5 milioni che possono chiederlo di venire nel Regno Unito per un periodo rinnovabile di 12 mesi e ottenere ulteriori diritti di immigrazione, incluso il diritto al lavoro, che potrebbe metterli sulla strada per la cittadinanza", ha sottolineato Johnson. "Ciò equivarrebbe a uno dei maggiori cambiamenti nel nostro sistema di visti nella storia britannica", ha continuato il premier. "Se sarà necessario, il governo britannico farà questo passo e lo farà volentieri. Non volteremo le spalle agli abitanti di Hong Kong che temono la stretta autoritaria cinese". 

Durissima  la replica  di Pechino.

"Consigliamo alla Gran Bretagna di allontanarsi dal baratro, abbandonare la mentalità da Guerra Fredda e coloniale e riconoscere e rispettare il fatto che Hong Kong sia tornata alla Cina", ha affermato Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri cinese, invitando Londra a "smettere immediatamente di interferire negli affari di Hong Kong e negli affari interni della Cina, o questo sicuramente gli si ritorcerà contro" (3). 

Come si può capire,  sono in gioco anche interessi concreti, economici,  “nondimanco”   un valore fondamentale come quello della libertà,  che l’Occidente  difese con le armi contro Hitler, valore  che per   la Cina  sembra non essere tale .

Semplificando i concetti, Giancarlo Elia Valori pare sostenere, come in passato i difensori dell’appeasement  verso Hitler,   che l’Occidente da una  contesa militare con la Cina -  in particolare gli Stati Uniti che potrebbero schierarsi a fianco della Gran Bretagna - uscirebbe  sconfitto. In qualche misura, Valori  si muove sul piano “quantitativo”. Ascoltiamolo.

Un war game condotto dalla Rand Corporation nei primi di marzo di quest’anno 2020, ha decretato peraltro che, in un conflitto armato, gli Usa perderebbero, sia contro la Cina che contro la Federazione Russa. Separati, intendo. Sul piano neo-tecnologico, e quindi anche dottrinale, gli Usa sono indietro alla Cina, lo dicono gli analisti Usa stessi, per quanto riguarda le armi di precisione strategiche e missilistiche, i sistemi ipersonici, i sistemi di guida per tutte le armi balistiche di teatro. Mentre gli Usa sono ancora superiori nell’ambito delle armi tattiche e di quelle convenzionali a medio-alta tecnologia. Anche loro hanno sofferto l’impasse concettuale della “guerra fredda”.Anche l’F-35 potrebbe essere un’arma, peraltro ottima, di supremazia aerea, ma potrebbe, lo ha detto ancora un analista Usa, essere bombardato a terra. Dai cinesi o da Mosca. Altri war games, sempre accuratissimi e aggiornati, condotti dagli analisti statunitensi, ci riferiscono che gli Usa sarebbero nettamente sconfitti anche nel Pacifico meridionale, o dalla Russia nel Baltico, ma certamente la Cina vincerebbe in uno scontro regionale per prendersi Taiwan, mentre sia i russi che i cinesi stanno lavorando, con qualche buon successo, mi si dice, alle nuove armi anti-access/area denial (A2A). 
Se nel 1940 Churchill, grande realista politico ad quem avesse fatto esclusivamente questi  ragionamenti quantitativi, avrebbe inevitabilmente ceduto alle proposte di  pace di Hitler, favorendo la sua  vittoria totale in Occidente,  dalle conseguenze inquietanti.   Il politico, come essenza sociologica, in chiave freundiana,   si muove invece   lungo una dinamica, certo non sempre lineare, tra scambio, minaccia, decisione. Perciò, non è buon inizio,  per un   uomo politico,   ritenersi   sconfitto - quantitativamente -  in partenza.   
Boris Johnson sembra per  ora  seguire le orme di Churchill, statista al quale, tra l’altro, egli ha dedicato un saggio non banale (4).  Certo, la  Cina  di oggi  non  sembra essere come  la Germania di Hitler.  "Nondimanco" i cinesi come i  nazisti   hanno  in dispregio la libertà.  E la cosa non può essere sottovalutata. Qualitativamente sottovalutata.   
Ovviamente, al di là del "tipo ideale" anche il realismo politico ad quem  non  trascura   gli  interessi. Tuttavia  non sembra disgiungerli dai valori, che sono  considerati, alla stregua degli interessi, come una risorsa politica di lungo periodo.   Perché si ritiene determinino -  si pensi al valore-libertà -  costumi e  tenore di vita,  fenomeni sociali di  lunga durata, non negoziabili,  con effetti di  ricaduta, spesso rilevanti,  sugli interessi  politici, economici e sociali.  Ecco, in breve, ciò che ad esempio distingue l'approccio  qualitativo  di Churchill (realismo ad quem), da quello quantitativo di Kissinger (realismo a quo).  Si faccia a tale proposito,  una lettura parallela, della Storia dei popoli di lingua inglese (Churchill) e di Diplomazia della Restaurazione (Kissinger) (5). Ovviamente, due superbe  analisi  della realtà politica, a prescindere.    
Comunque sia, anche le tesi di  Giancarlo Elia Valori risultano interessanti.  Soprattutto perché  - merito non secondario  del realismo a quo -  pongono in ultima istanza una questione quantitativa  che non può mai essere ignorata. Quale? La Gran Bretagna, gli Stati Uniti, l’Occidente, sono disposti, come ci si domandò  per Danzica,  a morire per Hong Kong?  
Carlo Gambescia 

     

(2) Ho approfondito l’argomento ne Il grattacielo e il formichiere. Sociologia del realismo politico, Edizioni Il Foglio, Piombino (LI) 2019. 
 (4) Boris Johnson, The Churchill Factor: How One Man Made History, Hodder & Stoughton, London 2014.

(5) Winston Churchill, Storia dei popoli di lingua inglese, Rizzoli, Milano  2003, 4 volumi, Henry Kissinger, Diplomazia della Restaurazione, Garzanti, Milano,  Milano 1973 ,