Hong Kong, tra Cina e Gran Bretagna
"Tutti britannici", la mossa di Boris Johnson (alla luce del realismo politico)
Consigliamo la lettura dell’articolo uscito su "Formiche" di Giancarlo Elia Valori, testo - in sintesi - in cui si illustrano i vantaggi di una politica di appeasement verso la Cina, dando quasi per scontata la sconfitta dell'Occidente in caso di guerra (1).
Il taglio realista
dell’autore, come ogni buon realismo politico a
quo, guarda all’immediato, al rischio di una guerra, ponendo in secondo
piano le prospettive future, in termini di realismo ad quem, imperniato invece sull’idea di non consentire che la
potenza cinese cresca fino
al punto di mettere in
pericolo le libertà occidentali, politiche, economiche, culturali.
Il realismo a
quo è immerso nel presente e guarda alle conseguenze immediate; il realismo ad quem, guarda invece al futuro
e alle conseguenze di lunga durata. Semplificando: il realismo a quo rinvia all’etica
della responsabilità, quello ad
quem all’etica dei principi,
per dirla weberianamente. Il realismo a
quo guarda alle distribuzione
quantitativa delle forze in campo, il realismo ad quem alla distribuzione qualitativa, ma non solo, come poi vedremo (2).
Boris Johnson, ovviamente, pur con i limiti insiti nel curioso
personaggio, ha invece
minacciato, se la Cina non cambierà linea verso Hong Kong, di concedere la
cittadinanza britannica all’intera popolazione. Quindi sembra muoversi lungo le
linee di un realismo ad quem, qualitativo, in difesa della
libertà.
"Spero non si arrivi a questo", scrive Johnson in un
editoriale pubblicato dal Times e dal quotidiano
di Hong Kong South China Morning Post, "il Regno Unito
non vuole altro che Hong Kong prosperi nell’ambito del principio
“un Paese, due sistemi”. Spero che la Cina voglia lo stesso". Tuttavia,
qualora Pechino non dovesse cedere sulla nuova legge che secondo i suoi critici
segnerà la fine dell'autonomia di Hong Kong, in teoria garantita fino al 2047
in base
agli accordi del 1997, "verrà consentito ai 350 mila residenti di
Hong Kong che hanno un passaporto britannico e agli altri 2,5 milioni
che possono chiederlo di venire nel Regno Unito per un periodo rinnovabile
di 12 mesi e ottenere ulteriori diritti di immigrazione, incluso il diritto al
lavoro, che potrebbe metterli sulla strada per la cittadinanza", ha
sottolineato Johnson. "Ciò equivarrebbe a uno dei maggiori cambiamenti
nel nostro sistema di visti nella storia britannica", ha continuato
il premier. "Se sarà necessario, il governo britannico farà questo passo e
lo farà volentieri. Non volteremo le spalle agli abitanti di
Hong Kong che temono la stretta autoritaria cinese".
Durissima la replica di Pechino.
Durissima la replica di Pechino.
"Consigliamo alla Gran Bretagna di allontanarsi dal
baratro, abbandonare la mentalità da Guerra Fredda e coloniale e riconoscere
e rispettare il fatto che Hong Kong sia tornata alla Cina",
ha affermato Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri cinese,
invitando Londra a "smettere immediatamente di interferire negli
affari di Hong Kong e negli affari interni della Cina, o questo
sicuramente gli si ritorcerà contro" (3).
Come si può capire, sono
in gioco anche interessi concreti, economici, “nondimanco” un valore fondamentale come
quello della libertà, che
l’Occidente difese con le
armi contro Hitler, valore che
per la Cina sembra non essere tale .
Semplificando i concetti, Giancarlo Elia Valori pare sostenere, come in passato i difensori dell’appeasement verso Hitler, che l’Occidente da una contesa militare con la Cina - in particolare gli
Stati Uniti che potrebbero schierarsi a fianco della Gran
Bretagna - uscirebbe sconfitto. In qualche misura, Valori si
muove sul piano “quantitativo”. Ascoltiamolo.
Un war game condotto dalla Rand Corporation nei primi di
marzo di quest’anno 2020,
ha decretato
peraltro che, in un conflitto armato, gli Usa perderebbero, sia contro la Cina che contro la Federazione Russa. Separati, intendo. Sul piano
neo-tecnologico, e quindi anche dottrinale, gli Usa sono indietro alla Cina, lo
dicono gli analisti Usa stessi, per quanto riguarda le armi di precisione
strategiche e missilistiche, i sistemi ipersonici, i sistemi di guida per tutte
le armi balistiche di teatro. Mentre gli Usa sono ancora superiori nell’ambito
delle armi tattiche e di quelle convenzionali a medio-alta tecnologia. Anche
loro hanno sofferto l’impasse concettuale
della “guerra fredda”.Anche l’F-35 potrebbe essere un’arma, peraltro ottima, di
supremazia aerea, ma potrebbe, lo ha detto ancora un analista Usa, essere
bombardato a terra. Dai cinesi o da Mosca. Altri war games, sempre
accuratissimi e aggiornati, condotti dagli analisti statunitensi, ci
riferiscono che gli Usa sarebbero nettamente sconfitti anche nel Pacifico
meridionale, o dalla Russia nel Baltico, ma certamente la Cina vincerebbe in uno scontro regionale
per prendersi Taiwan, mentre sia i russi che i cinesi stanno lavorando, con
qualche buon successo, mi si dice, alle nuove armi anti-access/area
denial (A2A).
Se nel 1940 Churchill, grande realista politico ad quem, avesse fatto esclusivamente questi ragionamenti quantitativi,
avrebbe inevitabilmente ceduto alle proposte di pace di Hitler, favorendo la sua vittoria totale in Occidente, dalle conseguenze inquietanti. Il politico, come essenza sociologica, in chiave freundiana, si muove
invece lungo una
dinamica, certo non sempre lineare, tra scambio, minaccia, decisione. Perciò, non è buon inizio, per un uomo politico, ritenersi sconfitto - quantitativamente - in
partenza.
Boris
Johnson sembra per ora seguire le orme di Churchill,
statista al quale, tra l’altro, egli ha dedicato un saggio non banale (4). Certo, la Cina di oggi non sembra essere come la Germania di Hitler. "Nondimanco" i cinesi come i nazisti hanno in dispregio la libertà. E la cosa non può essere
sottovalutata. Qualitativamente sottovalutata.
Ovviamente, al di là del "tipo ideale" anche il realismo politico ad quem non trascura gli interessi.
Tuttavia non sembra disgiungerli dai valori, che sono considerati, alla stregua degli
interessi, come una risorsa politica di lungo periodo. Perché si ritiene determinino
- si pensi al
valore-libertà - costumi
e tenore di vita, fenomeni sociali di lunga durata, non negoziabili, con effetti di ricaduta, spesso rilevanti, sugli interessi politici, economici e sociali. Ecco, in breve, ciò che ad esempio distingue l'approccio qualitativo di Churchill
(realismo ad quem), da
quello quantitativo di Kissinger (realismo a quo). Si faccia a tale
proposito, una lettura parallela, della Storia
dei popoli di lingua inglese (Churchill)
e di Diplomazia della
Restaurazione (Kissinger)
(5). Ovviamente, due superbe analisi della realtà politica, a prescindere.
Comunque sia, anche le tesi di Giancarlo Elia Valori risultano interessanti. Soprattutto perché - merito non secondario del realismo a quo - pongono in ultima istanza una questione quantitativa che non può mai essere ignorata. Quale? La Gran Bretagna, gli Stati
Uniti, l’Occidente, sono disposti, come ci si domandò per Danzica, a
morire per Hong Kong?
Carlo Gambescia
(2) Ho approfondito l’argomento ne Il grattacielo e il formichiere.
Sociologia del realismo politico, Edizioni Il Foglio, Piombino (LI) 2019.
(3) Qui (per i due passi citati): https://www.repubblica.it/esteri/2020/06/03/news/johnson_hong_kong_gran_bretagna-258363357/ .
(4) Boris Johnson, The Churchill Factor:
How One Man Made History, Hodder &
Stoughton, London 2014.