martedì 2 giugno 2020

Riflessioni
Il Manifesto di “Nuova Costituente”,  sottoscriverlo   o meno?


Oggi Festa della Repubblica, quindi  non per  puro caso,   desidero parlare del progetto denominato  Nuova Costituente: A difesa dei territori Democrazia, libertà, federalismo (1), concretizzatosi nel  Manifesto  ideato  e sottoscritto da un gruppo di intellettuali  e studiosi di formazione liberale, animato, credo, dal filosofo Carlo Lottieri,  proprio per riformare radicalmente la nostra Repubblica.
Quali sono le tesi del Manifesto? Grosso  modo  tre,  con una premessa.

Parto da quest’ultima: «L’emergenza ha investito un paese con istituzioni debolissime e libertà individuali quanto mai fragili, con una classe politica delegittimata e un debito pubblico e pensionistico alle stelle”».  E per quale ragione?:  nel 1946 « I cittadini furono chiamati alle urne per votare i nuovi “padri costituenti”, ma ogni successivo passo ebbe luogo all’interno della ristretta élite dei capi di partito. In effetti, il popolo fu convocato, diede la propria sanzione al processo, ma poi fu subito accantonato con il ruolo di spettatore muto. Non soltanto l’esito finale dei lavori non fu sottoposto al voto dei cittadini, ma soprattutto non si accettò l’idea di segnare una compiuta discontinuità».  La riprova di ciò   «è che le realtà locali non ebbero alcun ruolo in quel processo politico costituente, che era già in larga misura predefinito nei suoi esiti. Nacque così una democrazia dimezzata e malata che subito Luigi Sturzo attaccò con forza quando parlò delle “male bestie” dello statalismo italiano, della partitocrazia e dello spreco del denaro pubblico».

Come uscirne? E qui veniamo alle tre tesi, rimedi o  idee di fondo.  

La prima, Democrazia diretta: « Per ripartire bisogna allora costruire un ordine veramente democratico. Non soltanto è necessario ridare ai cittadini il potere costituente, convocandoli affinché votino i loro rappresentanti, ma bisogna egualmente far sì che le popolazioni dei vari territori possano esprimersi su qualunque questione. La costituzione vigente ha poco di democratico e ben lo si vede quando esclude la possibilità di far ricorso al voto popolare su imposte, relazioni internazionali o questioni di bilancio. È opportuno, allora, guardare al modello di democrazia integrale proprio della Svizzera, un paese che non a caso uscirà molto meglio di noi da questa catastrofe sanitaria ed economico-sociale, ed è necessario comprendere che non c’è affatto bisogno che a decidere siano i rappresentanti quando lo possono fare in prima persona i cittadini».
La seconda, Libertà: «È inoltre necessario che le libertà dei singoli vengano rispettate e per fare questo è indispensabile che le giurisdizioni siano piccole e numerose, come lo sono i cantoni svizzeri, e che ognuna sia costretta a competere con tutte le altre. Solo se ogni entità territoriale sarà chiamata a vivere delle proprie risorse potremo avere amministrazioni che non sprecano, non coltivano clientele, non costruiscono cattedrali nel deserto. La stessa crisi sanitaria di queste settimane ci ha insegnato, tra l’altro, che soltanto chi vive in un determinato territorio ha le informazioni e le motivazioni necessarie ad assumere le decisioni corrette».
La terza, Federalismo: «Il patto sociale da costruire, infine, deve basarsi sulla libera adesione delle singole comunità. Quella che si deve costruire è una nuova casa, non una prigione. Ecco perché è necessario che la nuova costituzione sia federale a ogni livello e risulti dal voto popolare di tutte le realtà locali e da ognuna di esse. Si dovrà discutere su quali debbano essere le regole che governeranno il nuovo edificio, ma alla fine dovrà abitare il nuovo palazzo solo chi giudicherà che quell’esito non è penalizzante, non pone le premesse per sfruttamenti territoriali o altre ingiustizie, non è all’origine di quei meccanismi perversi che hanno causato tante conseguenze disastrose in varie regioni d’Italia».


Come sociologo la prima domanda che mi sono posto è quale sia  l’ idea di società  sottostante  alle tre tesi e quanto quest’ idea  sia realistica, cioè in sintonia con la realtà sociale. Insomma, con le cose come sono dal punto di vista  delle regolarità metapolitiche (2)  - del mondo reale, dunque -  e non delle cose  come dovrebbero essere dal punto di vista morale e ideale.
Veniamo allora alle regolarità. Insomma, al confronto tra idee e realtà.
Libertà. La sociologia insegna che  il controllo sociale  è sempre  più stringente sul piano micro che macro.  La comunità,  specie se micro, non è mai sinonimo di  libertà. Quindi tra le ridotte dimensioni delle comunità sociali  e politiche  e l’esercizio della libertà  individuale c’è,  sociologicamente parlando,  un rapporto sfavorevole:  più lo spazio sociale  è ridotto più l’individuo è prigioniero di una fortissima pressione sociale.          
Democrazia.  Se è vero che  la democrazia diretta può essere una risposta alla partitocrazia,  è altrettanto vero, che sul piano sociologico rinvia ai fenomeni di folla, cui si unisce l’effetto moltiplicatore  giocato dall’ emotività identitaria insita nelle culture comunitarie: condizione psicologica, quest'ultima,  tanto più spiccata quanto più lo spazio sociale si riduce.
Federalismo. In realtà, il federalismo, soprattutto se  municipale,  non riduce i conflitti ma li moltiplica per quante sono le  unità politiche in interazione. Il fenomeno sociologico del sociocentrismo, tipico del municipalismo,  implica la riattivazione di una logica del conflitto intercomunitario, anche a livello municipale,  che non differisce affatto da quella  internazionale tra stati sovrani.  Anzi, spesso la rende più acuta.
La Svizzera, citata dagli autori come esempio (di libertà, democrazia, federalismo), ha dietro di sé una orografia particolare, nonché  una secolare  storia di conflitti locali, poi religiosi, quindi una storia non proprio pacifica, come prova da ultima, seppure meno violenta di altre, la guerra del Sònderbund (1847, lega che riuniva i cantoni cattolici). Sicché la  neutralità politica ed  economica sono il prodotto, oltre che di una particolare congiuntura internazionale, collegata alle rivoluzioni liberali ottocentesche,  di  vicende geopolitiche secolari, che,  come detto,  fanno della Svizzera  un caso a se stante.  Certo, esiste sempre il miraggio del costruttivismo politico: della mimesi politica nei riguardi del processo sociale e politico eletto a modello.   Verso il  quale ogni buon liberale deve però  procedere in modo circospetto.  
Purtroppo -  perché la cosa non entusiasma neppure  chi scrive - come prova la  magnifica  storia universale, del grandissimo Jacques Pirenne, storico liberale (3)  - opera negletta,  trascurata addirittura dal pensiero liberale -   lo stato, come incarnazione della decisione politica,  fin  dalla più remota antichità  ha sempre favorito, favorendo  ovviamente il  suo sviluppo (non per altruismo, insomma),  la nascita e la maturazione  delle libertà individuali, di contro quelle feudali e guerriere;  dell'economia aperta, del  commercio e del denaro, di contro,  l’economia, chiusa,  naturale e il servaggio.  Si vedano le acute pagine di Pirenne dedicate al "liberalismo" egiziano dell'Antico Impero,  al "liberalismo" babilonese,  ateniese, e così via fino ai nostri giorni, illustrando, sulla base di cicli storici fondati sulla dinamica storica e sociologica tra forze politiche centrifughe e centripete, il rapporto  tra nascita dello stato  e sviluppo della libertà cittadine e individuali, come del resto  il relativo  declino delle stesse libertà nelle fasi di smembramento feudale.     
Il che non significa  idealizzare lo stato, che “naturalmente”,  come  tutte le istituzioni sociali,  quando non trova ostacoli (quindi altre istituzioni),  tende a estendere  il suo potere  in  chiave egemone, centripeta.  Assolutamente no.
Anche perché il fenomeno centripeto spiega,  storicamente  e sociologicamente parlando,  l'altrettanto  naturale  reazione  delle varie istituzioni sociali, e ovviamente degli individui che le innervano:  reazione, ripeto,  in chiave centrifuga,  alla soffocante  morsa di uno  stato,  bulimico di potere,  che tende sempre tramutarsi in assoluto, fino  a  comprimere se non cancellare le stesse  libertà in precedenza promosse.  
Ecco, il Manifesto della Nuova Costituente,  rappresenta una reazione centrifuga, per ora intellettuale,  all’assolutismo welfarista.  Pertanto il Manifesto  ha  una sua giustificazione sociologica nell’ambito  di una dinamica conflittuale, da intendere come regolarità metapolitica,  tra forze centrifughe e centripete del potere.   
Il che però non significa che il Manifesto, sempre sociologicamente parlando, sia la  soluzione finale  dei nostri problemi.  O comunque che non abbia controindicazioni, altrettanto pericolose o spiacevoli per la libertà individuale. Sottoscriverlo o meno è  perciò  scelta morale, non sociologica.
Oltre queste riflessioni, per ora,  non mi spingo.  Come dire?  Hic sunt leones… 

Carlo Gambescia


2) Per l’analisi delle  terminologie e dei  concetti in argomento,  rinviamo al nostro, Metapolitica. L’altro sguardo sul potere,  Edizioni Il Foglio, Piombino (LI) 2009.       
(3) Jacques Pirenne,  Les grands courants de l'histoire universelle, voll. 7  Edtions de la Baconnière, Neuchâtel,1948-1959 (ediz. it. Id., Le grandi correnti della storia universale,  Sansoni, Firenze 1972, sulla terza edizione  il lingua originale  riveduta e  aggiornata).

Nessun commento: