Il tempestoso dibattito mediatico sul futuro del Covid
Tutti contro tutti
L’onesto
articolo di Paolo Giorgi (AGI) mette
chiaramente in luce il corto circuito in
atto tra scienza e giornalismo a
proposito delle previsioni contrastanti sul “futuro” del Covid (*). Un impazzimento che, per ricaduta, sfocia sul piano collettivo nell’esatto contrario del
dibattito pubblico liberale. Insomma, nel tutti contro tutti. E ferocemente.
Ci
spieghiamo meglio: se per deliberare è
necessario conoscere, spettatori e cittadini, dopo uno dei tanti arroventati
programmi e dibattiti televisivi di
questi giorni, non sono più grado né di conoscere né di deliberare… Ma solo, se ci si passa l'espressione, "di menare".
Ieri
parlavamo di caos calmo (*). Il flusso
di dati contrastanti, usati come proiettili dagli esperti, e amplificati dai media, rafforza l’ immagine di una anormalità normale,
ossia di un caos, gestito in mondo (autoritario) calmo, dalle autorità politiche,
che - ecco il punto - allo scontro giornalistico-scientifico sulle differenti interpretazione circa la natura e gli effetti del
Covid, risponde applicando estesamente il principio di precauzione (altro
pericoloso strumento politico-concettuale).
Per capirsi: “ Io Governo, Io Stato, nell’incertezza scientifica, chiudo
tutto”. Pertanto quanto più si dibatte, tanto più cresce il rischio dell’autoritarismo politico. Il Leviatano, se si vuole, che in cambio di obbedienza fornisce protezione.
Paradossalmente,
il massimo di libertà
può condurre al massimo di illibertà. Per evitare, ciò che si può chiamare il "paradosso della libertà", servirebbe invece un
grande senso di responsabilità da parte di politici, scienziati, giornalisti. E soprattutto la consapevolezza che il
dibattito scientifico è una cosa, quello giornalistico un’ altra, la decisione politica un’ altra ancora.
Purtroppo
le società hanno regole proprie, metapolitiche, e vivono di conflitti, sicché per trasformare l’avversario in nemico, basta
un attimo, soprattutto quando manchi nelle classi dirigenti (politici, scienziati, giornalisti) senso di responsabilità.
Responsabilità. In politica sembra quasi una parola magica: tutti la evocano, nessuno sa cosa
sia di preciso. In realtà, non è molto
difficile definirla: ha senso di responsabilità chiunque sia in grado di
valutare le conseguenze delle proprie azioni. Ora, per un verso, è vero, che
tutte le azioni hanno conseguenze, di regola, non prevedibili sul piano dell’effetto
ricaduta collettivo. Ad esempio,
iscriversi al partito nazista, poteva
essere giustificato per un ex soldato disoccupato a causa del Trattato di Versailles, però l’iscrizione in massa di ex soldati, avrebbe
favorito, la nascita di un movimento politico, che condusse alla morte per guerra o per fame dei figli dell’ex soldato.
Ma, per un altro verso, è altrettanto vero, che il possesso del senso di responsabilità sul piano politico non può essere disgiunto dalla conoscenza, indispensabile per un politico, della lezione della storia e della sociologia. E che cosa insegnano queste discipline? Una cosa fondamentale: che è difficile, se non impossibile, prevedere le conseguenze delle decisioni politiche. Insomma, il senso
di responsabilità rappresenta l’esatto contrario del principio di precauzione.
Insomma, un politico responsabile governa il meno possibile.
E
invece che cosa sta succedendo? Che si vuole governare il più possibile, affidandosi al
parere della scienza, che, proprio perché tale, non può non essere falsificabile (in senso popperiano), quindi di mutare idee in ipotesi in continuazione: altrimenti dovremmo parlare di religione e non di scienza. E quel che è
peggio, i pareri contrastanti degli
scienziati (e ripetiamo non potrebbe
essere diversamente) sono usati come risorse mediatiche per “emotivizzare”,
(come impone la logica comunicativa) il discorso pubblico. Per non parlare di quel che accade, e di peggio, sui Social...
Un
disastro, insomma. Altra acqua al mulino del caos calmo… Il che spiega - nuova prova dell’eterogenesi
dei fini sociali - la crescita dell’autoritarismo politico in nome del principio
di precauzione, presentato, probabilmente anche in buona fede, come strumento per difendere la nostra libertà, che però, come si aggiunge in modo sibillino,
non può essere mai disgiunta dalla
sicurezza…
Riassumendo, il corto circuito mediatico tra scienziati e giornalisti porta alla decisione dei politici di puntare sul "precauzionalismo". Il che però mette a rischio la nostra libertà.
Come
uscirne? Mostrando senso di responsabilità. E come? Governando il meno possibile.
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://www.agi.it/cronaca/news/2020-06-24/coronavirus-appelli-insulti-querele-caos-esperti-8984976/