giovedì 25 giugno 2020

Il  tempestoso dibattito mediatico sul futuro del Covid
Tutti contro tutti



L’onesto articolo di  Paolo Giorgi (AGI) mette chiaramente in luce il corto circuito  in atto  tra scienza e giornalismo a proposito delle previsioni contrastanti sul “futuro” del Covid (*). Un impazzimento  che, per ricaduta,  sfocia  sul piano collettivo nell’esatto contrario del dibattito pubblico liberale. Insomma, nel  tutti contro tutti. E ferocemente. 
Ci spieghiamo meglio:  se per deliberare è necessario conoscere, spettatori e cittadini, dopo uno dei tanti arroventati programmi  e dibattiti televisivi di questi giorni, non sono  più grado né di conoscere né di deliberare… Ma solo, se ci si  passa l'espressione, "di menare".
Ieri parlavamo di caos calmo (*).  Il flusso di dati contrastanti, usati come proiettili dagli esperti, e amplificati dai media,  rafforza l’ immagine di una anormalità normale, ossia  di un caos, gestito in mondo (autoritario) calmo, dalle autorità politiche, che - ecco il punto -    allo scontro giornalistico-scientifico sulle differenti interpretazione circa la  natura e gli  effetti del Covid, risponde applicando estesamente il principio di precauzione (altro pericoloso strumento politico-concettuale).  Per capirsi: “ Io Governo, Io Stato, nell’incertezza scientifica, chiudo tutto”. Pertanto quanto più si dibatte, tanto più cresce il rischio dell’autoritarismo politico. Il Leviatano, se si vuole, che in cambio di obbedienza fornisce protezione.
Paradossalmente, il massimo  di   libertà può condurre al massimo di illibertà.  Per evitare, ciò che si può chiamare  il "paradosso della libertà",  servirebbe invece un grande senso di responsabilità da parte di politici, scienziati, giornalisti.  E soprattutto la consapevolezza che il dibattito scientifico è una cosa, quello giornalistico un’ altra,  la decisione politica un’ altra ancora.
Purtroppo le società hanno regole proprie, metapolitiche, e vivono di conflitti, sicché  per trasformare l’avversario in nemico, basta un attimo, soprattutto quando   manchi  nelle classi dirigenti (politici, scienziati, giornalisti)  senso di responsabilità.

Responsabilità.  In politica sembra quasi una parola magica:  tutti la evocano, nessuno sa cosa sia di preciso.  In realtà, non è molto difficile definirla: ha senso di responsabilità chiunque sia in grado di valutare le conseguenze delle proprie azioni. Ora, per un verso, è vero, che tutte le azioni hanno conseguenze, di regola, non prevedibili sul piano dell’effetto ricaduta collettivo. Ad esempio, iscriversi al  partito nazista, poteva essere giustificato per un ex soldato disoccupato a  causa del Trattato di Versailles, però  l’iscrizione in massa di ex soldati, avrebbe favorito, la nascita di un movimento politico,  che condusse  alla  morte per   guerra o per  fame dei figli dell’ex soldato.
Ma, per un altro verso, è altrettanto vero, che  il possesso del senso di responsabilità sul piano politico non può essere disgiunto  dalla conoscenza, indispensabile per un  politico, della lezione della storia e della sociologia.  E che cosa insegnano queste discipline?   Una cosa fondamentale:  che  è difficile, se non impossibile, prevedere le conseguenze delle decisioni politiche.  Insomma, il senso di responsabilità rappresenta l’esatto contrario del principio di precauzione. Insomma, un  politico responsabile  governa il meno possibile.  
E invece che cosa sta succedendo? Che si vuole governare il più possibile,  affidandosi al  parere della scienza, che,  proprio perché tale, non può non essere  falsificabile (in senso popperiano), quindi di mutare idee in  ipotesi  in continuazione:  altrimenti dovremmo  parlare  di religione e non di scienza. E quel che è peggio,  i pareri contrastanti degli scienziati (e ripetiamo non  potrebbe essere diversamente) sono usati come risorse mediatiche per “emotivizzare”, (come impone la logica comunicativa)  il  discorso pubblico. Per non parlare di quel che accade, e di peggio,  sui Social...

Un disastro, insomma. Altra acqua al mulino del caos calmo…  Il che spiega -  nuova prova dell’eterogenesi dei fini sociali -  la crescita dell’autoritarismo politico in nome del principio di precauzione, presentato, probabilmente anche in buona fede, come  strumento per difendere la nostra libertà,  che però, come si aggiunge in modo sibillino,  non può essere mai disgiunta dalla sicurezza…
Riassumendo, il  corto circuito mediatico tra  scienziati e  giornalisti  porta  alla  decisione dei politici di puntare sul  "precauzionalismo". Il che però mette a rischio la nostra libertà.   
Come uscirne? Mostrando senso di responsabilità. E come? Governando il meno possibile.                                                     


Carlo Gambescia