Intellettuali e società
Che c'è di male nella libertà di bersi una birra?
L'intellettuale è un uomo colto, nel senso di "coltivato" alle idee,
che legge e scrive: il suo mestiere è osservare, scoprire e
combinare idee. Spesso il suo sapere sconfina imprendibile fin sulle vette dell' erudizione.
Di
regola, l’intellettuale, termine che viene dal latino intellectualis (come ciò che riguarda l’intelletto), tiene in poco o nessun conto chiunque svolga attività pratiche, dunque non
intellettuali. Di conseguenza, è piuttosto raro rilevare sul piano storico un intellettuale capace di apprezzare la
realtà per quello che la realtà è.
Cosa
vogliamo dire? Pensiamo a un semplice fatto sociale: che di massima la
maggioranza degli esseri umani può fare tranquillamente a meno dei libri, e di conseguenza degli
intellettuali. E vivere felice, o quasi.
Ovviamente,
in tutte le età storiche, escluse ma non del tutto le primitive, gli uomini
hanno invece avuto necessità sociale dei "portatori" di saperi pratici: dagli artigiani agli ingegneri, dai mercanti agli
imprenditori, dagli sciamani ai medici. Ma
non di chi deridesse sistematicamente l’
“ignoranza del volgo”. Il che spiega,
dal punto di vista storico-antropologico, il disprezzo
dell’intellettuale per chi regolarmente lo deride: verso l’uomo pratico, la gente comune, insomma.
Sotto
questo aspetto la modernità (uno strano esperimento sociale frutto di inintenzionali “aggiustamenti”), che scorge nella pratica un valore collettivo, non è mai stata ben vista
dall’intellettuale. Di conseguenza, in particolare
la libertà moderna che consta quasi esclusivamente di conquiste pratiche,
negate per secoli ma oggi socialmente apprezzate, è fonte di disprezzo intellettuale.
Secondo i nemici del mondo pratico, della modernità
insomma, di cui pure essi vivono, libertà non è poter bere una birra, andare al cinema,
fare ginnastica nei parchi, comprarsi una giacca, eccetera, eccetera. Sicché,
ad esempio, il Lockdown avrebbe privato gli italiani di libertà
minori, addirittura false libertà, alle quali si poteva e si può rinunciare in vista della salvezza di un
bene maggiore, nel caso specifico la vita.
In sé, ammessa e non concessa la gravità
dell’epidemia, la tesi potrebbe avere un
fondamento condizionale (legato alle particolari condizioni del momento). Tuttavia appare molto pericolosa la premessa
dell’argomentazione stessa: che ciò che costituisce la libertà in senso concreto per
milioni di persone, non sarebbe libertà, ma qualcosa senza alcuna importanza, qualcosa addirittura di ostacolo alla vera libertà.
E
quale sarebbe allora la "vera libertà"? Su
questo punto i nemici della modernità, della vita concreta elevata a valore, tesi però negata per secoli,
hanno ricette differenti, ma tutte di stampo romantico, al fondo autoritario, e soprattutto contrarie all’economia di mercato: quella gallina dalle
uova d’oro, inconsapevole invenzione su larga scala dei moderni, giudicata invece dagli
intellettuali fondamentalisti, tradizionalisti, ecologisti, neocomunisti, neofascisti come il peggiore nemico
dell’uomo.
Di qui, l’ entusiastica adesione dell'intellettuale anticapitalista e antiliberale - salvo dopo pentirsi per subito ricominciare sotto altre vesti - alle
varie utopie positive o negative, ben riassunte dall' idea costruttivista di educazione o rieducazione del popolo, ovviamente dall'alto, alle più alte forme di libertà.
Il punto sociologico è che la gente comune non la pensa così. Vuole bersi una birra, andare al cinema, fare ginnastica nei parchi, comprarsi una giacca, una automobile, eccetera, eccetera. Si chiama libertà dei moderni. E rinvia, ma in positivo, alla libertà di Pastrufazio, l'ironico non luogo di gaddiana memoria, contraddistinto da una libertà "pasticciona e inguardabile", disordinata e materialista. L’unica però che abbiamo e che in qualche misura, per la prima volta nella storia, ci unisce tutti, colti e incolti, coltivati e non coltivati...
Perché sia chiaro, anche all’intellettuale, ovviamente con le debite eccezioni, piace bersi una birra, eccetera, eccetera. Solo che non vuole ammetterlo. Sicché, pur di seguire rigorosamente le proprie idee, diffonde veleno. Salva la sua anima, condannando le altrui...
Carlo Gambescia