giovedì 18 giugno 2020

Intellettuali e società
Che c'è di male nella  libertà di bersi una birra?


L'intellettuale  è un uomo  colto,  nel senso di "coltivato" alle idee,  che legge e scrive: il  suo mestiere è osservare, scoprire e combinare idee. Spesso il suo sapere sconfina imprendibile fin sulle vette dell' erudizione. 
Di regola, l’intellettuale, termine che viene dal latino  intellectualis (come ciò che riguarda l’intelletto),  tiene in poco o nessun conto  chiunque svolga attività pratiche, dunque non intellettuali. Di conseguenza, è piuttosto raro rilevare  sul piano storico  un intellettuale capace di apprezzare la realtà per quello che la realtà è.
Cosa vogliamo dire?  Pensiamo a  un semplice fatto sociale:  che di massima la maggioranza degli esseri umani  può fare tranquillamente  a meno dei libri, e di conseguenza degli intellettuali.  E vivere felice, o quasi. 
Ovviamente, in tutte le età storiche, escluse ma non del tutto le primitive, gli uomini hanno invece avuto necessità  sociale dei "portatori" di saperi pratici: dagli artigiani agli ingegneri, dai mercanti agli imprenditori, dagli sciamani ai medici.  Ma non di chi deridesse sistematicamente  l’ “ignoranza del volgo”.   Il che spiega, dal punto di vista  storico-antropologico, il disprezzo dell’intellettuale per chi regolarmente  lo deride:  verso   l’uomo pratico, la gente comune, insomma.
Sotto questo aspetto la modernità (uno  strano  esperimento sociale  frutto di inintenzionali “aggiustamenti”), che scorge nella pratica un valore collettivo,  non è  mai stata ben vista dall’intellettuale.  Di conseguenza,  in particolare  la libertà moderna  che consta  quasi esclusivamente di conquiste pratiche, negate per secoli ma oggi socialmente apprezzate,  è fonte di  disprezzo intellettuale.

Secondo  i nemici del mondo pratico, della modernità insomma,  di cui pure essi  vivono, libertà non  è poter bere una birra, andare al cinema, fare ginnastica nei parchi, comprarsi una giacca, eccetera, eccetera.   Sicché, ad esempio,   il Lockdown avrebbe privato gli italiani di libertà minori, addirittura false libertà,  alle quali si poteva e si può rinunciare in vista della salvezza di un bene maggiore, nel caso specifico la vita. 
In sé, ammessa e non concessa la gravità dell’epidemia, la tesi potrebbe avere un fondamento condizionale (legato alle particolari condizioni del momento). Tuttavia appare  molto pericolosa  la premessa dell’argomentazione stessa:  che ciò che costituisce la libertà in senso concreto per milioni di persone, non sarebbe libertà,  ma qualcosa  senza alcuna  importanza, qualcosa   addirittura  di ostacolo alla  vera libertà.  
E quale sarebbe allora  la "vera libertà"?  Su questo punto i nemici della modernità, della vita concreta  elevata a valore, tesi però negata per secoli, hanno ricette differenti, ma tutte di stampo romantico, al fondo autoritario,  e soprattutto contrarie all’economia di mercato:  quella  gallina dalle uova d’oro,  inconsapevole invenzione su larga scala  dei moderni, giudicata invece dagli intellettuali fondamentalisti, tradizionalisti, ecologisti, neocomunisti, neofascisti come il peggiore nemico dell’uomo.
Di qui,  l’ entusiastica adesione dell'intellettuale  anticapitalista  e antiliberale  -   salvo dopo  pentirsi per subito ricominciare sotto altre vesti  -   alle varie utopie positive o negative,  ben riassunte dall' idea costruttivista di educazione o rieducazione del popolo, ovviamente dall'alto,   alle più alte forme di libertà. 
Il punto sociologico  è che la gente comune non la pensa così. Vuole bersi una birra,  andare al cinema, fare ginnastica nei parchi, comprarsi una giacca, una automobile, eccetera, eccetera. Si chiama libertà dei moderni.  E rinvia, ma in positivo,  alla  libertà di Pastrufazio, l'ironico non luogo di gaddiana memoria, contraddistinto da una libertà "pasticciona e inguardabile", disordinata e  materialista.  L’unica  però  che abbiamo e che in qualche misura, per la prima volta nella storia,  ci unisce tutti, colti e incolti, coltivati e non coltivati...  
Perché sia chiaro, anche all’intellettuale, ovviamente con le debite eccezioni, piace bersi una birra, eccetera, eccetera.  Solo che non vuole ammetterlo. Sicché, pur di  seguire rigorosamente le proprie idee,  diffonde veleno. Salva la sua anima, condannando  le altrui... 

Carlo Gambescia