Il governo prende tempo. Si deciderà a dicembre se chiudere o meno tutto.
Resta significativa la cautela, mostrata dai virologi, alle cui parole il governo è appeso fin dall’ 8 marzo del 2020, quando imitando i cinesi, un sopraffino esempio di liberal-democrazia, si chiuse a quattro mandate l’Italia in casa con 6387 positivi e 650 casi in terapia intensiva ...
I positivi di ieri sono 115.212 (4.553 in più rispetto al giorno prima) mentre i ricoverati in intensiva 453, (8 casi in più rispetto al giorno passato).
Se tornasse a prevalere lo “spirito” di marzo 2020 il governo non potrebbe non chiudere tutto di nuovo.
Il problema è proprio lo “spirito” di marzo, “spirito” maligno. Che crediamo sempre vivo. E che può essere condensato in una frase dolciastra: “Italiani fate i bravi, obbedite, restate a casa, affinché il sistema sanitario non vada in sofferenza”... Si evoca una ragione organizzativa, particolarmente sentita in Italia dove il sistema sanitario è pubblico e dove è ancora viva e lotta insieme a noi una visione patriarcale dello stato.
Pertanto l’unico dato che finisce per contare è quello dei ricoverati in intensiva. Quando nel marzo del 2020 si chiuse tutto, lo si fece perché preoccupava il dato crescente delle intensive. Per capirsi, se l’epidemia non avesse, affollato questi reparti, la cosiddetta onda epidemica, pardon pandemica, sarebbe passata inosservata come altre volte.
Sul perché dell’ “affollamento” le interpretazioni sono numerose e differenti. Resta però un fatto: che un paese moderno si è visto privare dei diritti più elementari di libertà per una questione organizzativa collegata a sua volta a una questione morale. Anzi a un ricatto morale: che se l’epidemia si fosse diffusa i quattro-cinquemila posti disponibili (ora sembra siano diventati diecimila), non sarebbero bastati a curare tutti.
In un sistema sanitario pubblico, quindi senza via d’uscita per il cittadino, una dichiarazione del genere suona come una condanna a morte differita. Il che spiega il silenzio obbediente degli italiani. Celebrato astutamente dal governo come senso civico.
Si noti anche un’altra cosa. Qual è il più forte elemento di propaganda pro vaccinazioni? Che nelle intensive finiscono coloro che non si sono vaccinati. Ora, ammesso che i dati comprovino, eccetera, eccetera, resta il fatto che la libertà individuale rimane legata alla capienza delle intensive, quindi a una questione organizzativa e al conseguente ricatto morale del "se non vi vaccinate, eccetera, eccetera".
Per dirla in parole povere, ciò che dovrebbe far indignare la gente è il collegamento tra libertà e posti letto. E invece non accade nulla.
Si preferisce credere alla favola della miracolosa moltiplicazione dei pani, dei pesci e dei letti.
In realtà, nessun pasto è gratis. Ammesso e non concesso, che si possa risolvere la questione moltiplicando per 60 milioni di italiani i letti nelle intensive, come vi si arriverebbe? Tassando a morte i cittadini e riorientando l’economia nel senso di una specie di socialismo sanitario. Sarebbe la fine di ogni libertà individuale.
Invece il problema è un altro. Si tratta di accettare coraggiosamente un fatto preciso: che la difesa della libertà individuale implica inevitabilmente il rischio di morire. Al di là delle parole, la prova del nove, politica è sociale, è rappresentata da quanto ognuno di noi sia disposto a perdere la propria vita per difendere la libertà.
Non parliamo di moti sociali e “piazze” piene di rivoltosi, ma di normale accettazione di un rischio individuale. Dal momento che la libertà è sempre misteriosa sommatoria di tanti rischi individuali: accettati e condivisi, ripetiamo, individualmente, nella vita di tutti i giorni. Senza alzare la voce. Con quella calma virtù dei forti (per dire una banalità) che deriva dalla consapevolezza del rischio.
E qui purtroppo, come si diceva un tempo, “casca” l’asino. Perché l’essere umano, soprattutto nella sua versione sociale, alla libertà preferisce la sicurezza. Quindi le radici dell’obbedienza politica, come intuì bene Hobbes, sono nella protezione fornita dai governi. Un “do ut des” che ha trovato nel welfare state e nell’assistenza sanitaria pubblica il suo traguardo storico. Per non pochi glorioso.
Concludendo, è vero che il governo, come detto, tituba, però esita perché i posti letto a disposizione nelle intensive sono ancora numerosi. Quindi la logica organizzativa delle decisioni non è mutata: posti letto in cambio di libertà.
Perciò l’unico dato da tenere sott’occhio è quello delle intensive. Il che fa intuire, quanto sia ridicolo tutto l’apparato previsionale e disciplinare, basato su tamponi, tassi, colori, messo su negli ultimi due anni.
Si potrebbe anche riderne, se non fosse però riso amaro.
Carlo Gambescia
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