Tra le numerose ovvietà - dispiace dirlo ma così è - rilanciate ieri dal Presidente Mattarella all'assemblea dell’Anci, ne va sottolineata una. Per quale ragione? Perché particolarmente grave nelle sue conseguenze per la libertà di pensiero.
Lasciamo subito la parola al Presidente.
«”In queste ultime settimane manifestazioni non sempre autorizzate hanno tentato di far passare come libera manifestazione del pensiero l'attacco recato al libero svolgersi delle attività - ha aggiunto Mattarella -. Accanto alle criticità per l'ordine pubblico, sovente con l'ostentata rinuncia a dispositivi di protezione personale e alle norme di cautela anticovid, hanno provocato un pericoloso incremento del contagio. Le forme legittime di dissenso non possono mai sopraffare il dovere civico di proteggere i più deboli: dobbiamo sconfiggere il virus, non attaccare gli strumenti che lo combattono”» (*).
Il problema non è il comportamento, a dir poco sopra le righe, dei cosiddetti “No Green pass”, "No Vax", eccetera, ma il principio in nome del quale il Presidente Mattarella giustifica, in generale, l’eventuale repressione di una minoranza dissenziente che, autorizzata o meno, si proponga di manifestare in piazza il proprio pensiero in modo più o meno rumoroso.
Di che principio parliamo: del “dovere civico di difendere i più deboli”.
Innanzitutto, ricordiamo l’origine religiosa del principio, che nella tradizione occidentale rinvia al cristianesimo. Nietzsche di scemenze ne ha dette tante, però la critica dell’etica cristiana come etica del risentimento dei più deboli verso i più forti ha un certo fondamento.
Nel senso, che il “dovere civico di difendere i più deboli”, oltre che fondarsi, come appena detto sul risentimento (cioè su un atteggiamento di animosità verso qualcuno per un affronto ricevuto), pone il debole, come chiunque si schieri dalla sua parte, su una specie di sacro piedistallo.
Detto in modo brutale, si mette il debole nella botte di ferro teologica delle verità incontestabili. Chi oserà mai opporsi al volere di dio, un dio che è dalla parte dei più deboli? I suoi figli prediletti? Come non amare i più deboli? Più ovvio di così.
Tuttavia, l’introduzione del principio di “dovere civico”, tramuta il concetto, laicizzandolo, da teologico a ideologico. Il che non significa che perda forza. Anzi, come ogni prolungamento politico di concetti teologici, il principio del “dovere civico” assume una forza devastante. Perché in pratica, al posto di “dio” mette il “debole”, e un conseguente dovere che è verso qualcosa che riguarda l’aldiquà, non più l’aldilà. Perciò qualcosa che si può perseguire, e in questo mondo, usando i mezzi di questo mondo.
Esageriamo? In fondo i “deboli” a chi fanno male? Perché prendersela con malati, poveri, sfortunati, eccetera? Perché criticare, ciò che oggi è da tutti accettato? Qualcosa di ovvio, insomma.
In realtà, la questione è un’altra. Il “debole teologizzato” è uno schermo retorico per imporre politiche limitative della libertà.
Il vero punto della questione non è la manifestazione non autorizzata o violenta, che può essere, giustamente, prevenuta o repressa, ma il principio che opera dietro le misure di polizia. Non questo o quell’articolo di legge, qualcosa che può essere sempre emendato dal parlamento, ma il fatto che la legge - attenzione - debba essere al servizio del più debole. E, come si ripete, per ragioni di principio. Ontologiche, per parlare difficile.
Ora, chiunque abbia un minimo di dimestichezza con il pensiero liberale, sa benissimo che le pubbliche istituzioni, devono mantenersi neutrali: non essere al servizio né del più debole, né del più forte.
Per capirsi. Hitler difendeva i più forti, Mattarella i più deboli, ma la forma mentis, del padre del nazismo e di un autorevole democristiano di sinistra, è identica, perché rinvia a una comune visione delle stato interventista, oppressivo e illiberale.
Alle origini della teologizzazione politica del più debole come del più forte, c’è un potentissimo substrato totalitario. Del quale oggi nessuno sembra più accorgersi. Del resto, come ci si può accorgere, proprio perché tale, dell' ovvio?
Dicevamo all’inizio del risentimento del debole, che vive la forza dell’altro, come un affronto. Ma la stessa cosa si potrebbe dire del disprezzo del più forte verso il debole, magari talvolta temperato dalla magnanimità. Disprezzo che a sua volta affonda le radici nelle teologizzazione politica del pensiero schiavistico precristiano, di natura deistica. Un pensiero basato sulla gaia scienza morale olimpica della pura forza, idealizzata da Nietzsche, in chiave anticristiana.
Piaccia o meno, ma il risentimento e il disprezzo, fanno parte, del bagaglio umano, come il perdono, la tolleranza, l’apprezzamento e l’amicizia. Gli uomini sono fatti così.
Parliamo di sentimenti, che, quando portati all’eccesso, possono essere socialmente molto pericolosi. Ad esempio, persino l’ apprezzamento rischia di farsi dolciastra e fastidiosa adulazione, come l’amicizia di tramutarsi in soffocante intromissione nella vita altrui.
Figurarsi quando si pretende di istituzionalizzare i sentimenti. In fondo - si rifletta - il welfare state, in ultima istanza, non è altro che l’istituzionalizzazione del risentimento dei deboli verso i forti.
Per non parlare del comunismo, in particolare nella sua versione sovietica. Proprio, come, sull'altra sponda ideologica, lo stato totalitario nazifascista rappresenta l’istituzionalizzazione del disprezzo dei forti verso i deboli.
Perciò, concludendo, le ovvietà del Presidente Mattarella, sono pericolose, molto pericolose per la nostra libertà.
Carlo Gambescia
(*) Qui per un sintesi dell’intervento:
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