Enrico Letta sembra condividere quella che forse è la critica più dura alla democrazia parlamentare. Ascoltiamolo:
« “Di Quirinale si parlerà a gennaio, anche perché io non ho mai visto in questi decenni un presidente della Repubblica scelto con mesi d'anticipo. Quindi quello che accade in questi giorni è solo un chiacchiericcio che distrae dalle cose importanti”» (*).
Per un liberale, un vero liberale non esiste il “chiacchiericcio”. Esiste invece la discussione. Nella cui forza, come fattore sostitutivo delle pallottole e della caccia al dissenziente, o si crede o non si crede.
Come ogni tipo di regime politico, anche quello liberal-democratico, è fondato, su un pregiudizio, che, in termini di teologia politica, può essere definito un atto di fede, diciamo laico.
Resta interessante ricordare che il principale critico del liberalismo nel XX secolo, Carl Schmitt, in uno scritto del 1923, andò alle radici del problema, sviluppando la lezione di Donoso, pensatore controrivoluzionario.
Schmitt ravvisa nel principio della discussione, che secondo i liberali avrebbe dovuto contrastare “la forza e il potere come fatti bruti”, qualcosa di totalmente irrealizzabile. Perché, a suo avviso, il vero potere resta ben fuori dai parlamenti. Sicché la discussione non è che un volgare chiacchiericcio, per coprire con un velo di inutile verbosità, la debolezza costitutiva delle istituzioni parlamentari (**).
Schmitt ammette ma non concede che le origini del principio della discussione pubblica debbano essere giustamente ravvisate nell’opposizione liberale alla segretezza, anch’essa, fattore costitutivo ma delle monarchie assolute.
In sintesi: se il principio, per così dire operativo, dei regimi liberal-democratici è la discussione pubblica, quello dei regimi politici assolutisti rimanda alla segretezza.
Schmitt sostiene, e con ragione, che la dinamica sociologica insegna che a decidere, prescindendo dal tipo di regime. sono sempre in pochi. Però sottovaluta un fatto: che la liberal-democrazia ha introdotto il principio di tolleranza e di riconoscimento paritario dell’avversario.
Nella pur civile e “democratica” Atene l’avversario politico veniva esiliato o giustiziato. I regimi assolutisti successivi non furono da meno. Come prova, per quanto simbolicamente, la presa della Bastiglia.
Pertanto, il principio liberale della discussione tra pari rappresenta una novità storica assoluta: si può dissentire, e pubblicamente, senza finire in prigione.
Principio di cui però gli uomini abusano. Pertanto le critiche di Schmitt, il quale, tra l’altro, non offre soluzioni se non il rafforzamento semidittatoriale dell’esecutivo, si riferiscono agli abusi.
E in che cosa consistono questi abusi? Nella trasformazione,come nel caso di Letta, del principio della discussione in una risorsa politica.
Cosa vogliamo dire? Quando Letta accusa, gli altri (gli avversari politici), di chiacchiericcio, pur sapendo che anche tra i suoi parlamentari si “chiacchiera” a proposito del prossimo presidente della Repubblica, riduce il principio della discussione a mezzo politico, quindi a risorsa, da impiegare, contro l’avversario. Come? Applicando a un principio, quello della discussione, una duplice verità, diciamo di comodo.
Quale? Semplificando: quando chiacchierano "i nostri", si deve parlare di nobile principio della discussione, quando chiacchierano "i loro", si tratta invece di vili e inutili chiacchiere.
Il che va nella direzione opposta alla neutralizzazione di un principio di discussione che invece dovrebbe essere accettato da tutti, come una specie di “atto di fede” A prescindere dalla provenienza politica.
Letta, che tra l’altro insegna scienze politiche, dovrebbe conoscere a memoria gli effetti devastanti sugli elettori della denigrazione reciproca tra i membri dei Parlamenti.
Gli elettori, infatti, non si fanno troppi problemi. La logica è quella elementare dell' eliminazione del male alla radice. Ne consegue l'inevitabile richiesta di giustizia sommaria dei cosiddetti nemici del popolo, che secondo un noto stereotipo reazionario vivrebbero lussuosamente a spese degli elettori.
Purtroppo, si è persa nel tempo, a destra come a sinistra, la consapevolezza politica dell’unicità storica dell’esperimento liberale. Una coscienza presente in un grande politico liberale dell’Ottocento come Guizot, tra l’altro rispettato da Schmitt.
Ovviamente, la dinamica politica sociale ha necessità di un nemico, e ciclicamente cerca di imporsi ai disegni umani di “normalizzazione”. Nessuno lo nega.
Pertanto il liberalismo ha un risvolto triste, tragico se si vuole, che a molti uomini politici sembra sfuggire: da un lato, la realtà spinge - per semplificare - verso la “denigrazione reciproca”, dall’altro la ragione liberale, tenta di resistere, per la prima volta nella storia, alla vulcanica forza della lotta per il potere.
Carl Schmitt sosteneva che non c’era nulla da fare: i regimi liberal-democratici erano condannati a perire per ragioni sociologiche e storiche.
Tuttavia il suo realismo politico, se non lo spinse (del tutto) tra le braccia di Hitler, denigrando il principio della discussione, ne favorì l’ascesa.
E anche queste sono cose che Letta dovrebbe sapere.
Carlo Gambescia
(*) Per il passo citato cfr. qui: : https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2021/11/12/quirinale-letta-mai-visto-un-presidente-scelto-in-anticipo_19204d86-7c63-4e42-8693-699b6223e6ad.html .
(**) Si veda C. Schmitt, “Parlamento e democrazia”, Marco Editore, Lungro di Cosenza 1998, pp. 40-42.
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