Quando capita di accennare al rapporto tra tecnica, cultura e società, molte persone non capiscono. Sembra che il tema sia molto astratto, quindi lontano dalla realtà.
Non è così. Si pensi alla diffusione collettiva degli smartphone e delle tecnologie connesse alla comunicazione digitale di informazioni. Un fenomeno quest’ultimo che ha assunto negli ultimi anni proporzioni così ampie da incidere su costumi e stili di vita. Introducendo nuove forme di differenziazione sociale legate alle differenti capacità umane di apprendimento delle nuove tecnologia, capacità, inevitabilmente, collegate all'età.
Perciò, sintetizzando si ha: 1) un’innovazione tecnologica (il digitale, semplificando); 2) una transizione culturale (legata al processo di alfabetizzazione digitale delle persone); 3) una ricaduta sociale del fenomeno (ad esempio le differenziazioni cognitive legate all’età). Tecnica, cultura e società, come dicevamo.
Perciò non si parla cose astratte. Basta fare un fila alla posta, davanti a una banca, davanti a un ufficio pubblico privato, per accorgersi (una banalità, si pensi al sistema delle prenotazioni digitali, che impone alcune conoscenze e manualità minime non alla portata di tutti), che, penalizza, ad esempio, gli anziani (diciamo dopo i sessantacinque anni ), e premia invece i cosiddetti nativi digitali e le generazioni più giovani e quindi più recettive.
Ora, anche una fila davanti alla posta, può essere utile all’analista sociale per dimostrare come la tecnologia, non sia poi così neutrale politicamente, perché l’innovazione e la sua diffusione, soprattutto in una società di massa, hanno delle inevitabili ricadute sociali, economiche e politiche.
Si pensi all’anziano in fila, magari per ore, che si vede scavalcato da altre persone, più giovani e digitalmente alfabetizzate. Ne nasce una condizione psico-sociale di esclusione che va magari ad aggiungersi ad altre forme di penalizzazione sociale legate al reddito, alle differenze culturali, alla salute, a un incipiente isolamento sociale, eccetera.
Ciò che però è ancora più interessante scoprire è la risposta politica al fenomeno. Risposta che rinvia alle diverse concezioni sociali oggi prevalenti. Si ricordi che siamo in Italia. Immaginiamo, ora, le possibili le reazione dei partiti.
La sinistra, che crede nelle lotte e nella forza dell’istruzione, punterebbe sul sindacato come strumento, di rappresentanza e di pedagogia sociale. L’anziano, si direbbe, va difeso istituendo degli appositi operatori sociali “dedicati” (per aiutare gli anziani, non “alfabetizzabili”) , e istruito, fin dove possibile, introducendo dei corsi sociali di digitalizzazione. Il tutto ovviamente a spese dello stato.
La destra, che crede anch’essa nella forza dell’istruzione, ma anche nell’iniziativa individuale rispetto a quella collettiva, punterebbe sui buoni sociali da spendere per istruirsi digitalmente, presso istituti privati a scelta. E, sempre la destra, non sarebbe neppure contraria a introdurre, come la sinistra, operatori sociali “dedicati”, ovviamente non di estrazione sindacale o statale ma privata. Il tutto, anche qui, a spese dello stato, sebbene in forma indiretta, via buoni sociali e finanziamenti mirati.
Quale potrebbe essere invece la risposta liberale? Lasciar fare, lasciar passare.
Per un verso la sfida con i più giovani, potrebbe diventare per molti anziani un punto d’onore (di riscatto sociale). Si potrebbe trasformare in forte stimolo per l’alfabetizzazione, individuale e spontanea dell’anziano, diciamo tra i sessantacinque e i settantacinque anni. Certo, per gli anziani-anziani, in assenza di un aiuto familiare, amicale e di eventuali reti sostegno non sarebbe facile colmare il gap digitale.
Però - e non ci si accusi di cinismo - sarebbe il tempo a risolvere il problema. In che modo? Nel più semplice. Come confermano gli studi previsionali nel quadro temporale di una generazione, forse anche meno, l’intera società si sarà autoalfabetizzata. Di qui, il venire meno dei contrasti, delle esclusioni, eccetera, eccetera. Quindi lasciar fare, lasciar passare...
Del resto, dove conducono l’assistenzialismo sociale sposato dalla destra e dalla sinistra? A una moltiplicazione di spese e strutture pubbliche, poi difficilmente riducibili e eliminabili perché fonte di rendite di posizione difese fino alla morte dagli stessi sindacati. Perché metterle in piedi per la soluzione di un problema in realtà destinato a risolversi da solo? Grazie alla mano invisibile del tempo?
Certo, l’anziano-anziano - non tutti ovviamente - diverrebbe la vittima predestinata di una trasformazione tecnologica e sociale. Però, non si dimentichi mai, di una trasformazione inevitabile.
Esiste una definizione che a molte anime belle non piace: quella del prezzo da pagare al progresso. In realtà, il prezzo da pagare riguarda la nostra libertà, perché l’assistenzialismo implica elevati costi economici. Ciò significa che ogni euro sottratto all’economia privata è un euro in meno di libertà individuale. Però, sempre per le anime belle, mescolare soldi e libertà è indecente.
Cerchiamo allora di capire meglio. In Italia il prezzo del progresso sarebbe pagato da sette milioni di anziani-anziani (oltre i settantacinque anni). Poco più del dieci per cento della popolazione. Non tutti soli, non tutti a basso reddito, non tutti privi di reti sociali e amicali di assistenza. Diciamo che la questione del “prezzo” potrebbe riguardare la metà di questi anziani, circa tre milioni e mezzo, forse anche meno.
Ovviamente, si potrebbero fare delle comparazioni di costi, tra gli investimenti sociali per l’assistenza agli “irrecuperabili all’alfabetizzazione” e il controllo della spesa pubblica. Quindi individuare un punto di trad off: il punto di equilibrio tra il benessere di tutti e il benessere di un gruppo sociale, nel caso quello degli anziani-anziani. Tecnicamente si chiama "ottimo paretiano".
Però, ai costi normali andrebbero sommati, e non sono facilmente calcolabili, quelli di eliminazione o riconversione delle strutture di assistenza, quando, da qui a dieci-quindici anni, la società, sarà completamente digitalizzata.
Valuti il lettore.
Certo, si tratta di chiedere un ulteriore sacrificio a una generazione di anziani-anziani, che di sacrifici ne ha fatti tanti nel secondo dopoguerra, e che ha favorito la ricostruzione dell’Italia. E verso i quali l’Italia avrebbe un debito di riconoscenza.
Quindi dal punto di vista dell’etica principi, non andrebbero “lasciati soli” o “indietro”. Mentre da quello dell’etica dei mezzi, o se si preferisce delle responsabilità, le cose stanno diversamente.
Si potrebbe infatti rispondere con Churchill, il quale disse a proposito dei piloti della Raf, impegnati nella difesa dello spazio aereo britannico, “Mai così tanti dovettero così tanto a così pochi”. Certo la battaglia contro l’assistenzialismo, non può essere paragonata a quella contro Hitler. Però.
Carlo Gambescia
(*) Per quadro generale, tratto dalle fonti Istat, si veda qui: https://www.tuttitalia.it/statistiche/popolazione-eta-sesso-stato-civile-2020/
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