Devo dire che quello di Massimo Maraviglia è un contrattacco in piena regola. Si propone di spostare l’asse della discussione dal fascismo al liberalismo. Molto abile. Chapeau (*).
Grazie anche per le belle parole nei miei riguardi.
Un piccola premessa. Non sono l’avvocato d’ufficio del pensiero liberale. In passato ho scritto un libro sul liberalismo (**). Un testo di sociologia non di storia delle idee in cui sostengo che dal punto di vista del rapporto tra società e stato esistono almeno quattro liberalismi: archico, macro-archico. micro-archico, an-archico. Tra i quali, come anticipato, ne ravviso uno politico, archico, triste, perché realista, nemico dell’utopia, di qualunque colore sia, persino liberale.
E di realtà vorrei parlare. E qui desidero fare subito una distinzione. Nella sua replica Maraviglia gioca su due piani: filosofico e di storia delle idee. Diciamo però che nell’insieme si muove sul terreno normativo. Su ciò che la libertà deve essere ( si pensi alla citazione di Gentile, sulla poi tornerò...).
Non mi pare che Maraviglia si occupi di ciò che la libertà sia in concreto. Parla, sì, di realtà effettiva, però solo quando parte lancia in resta contro il liberalismo. Che, a suo avviso, è sempre da condannare, sotto qualsiasi versione storica: risorgimentale, post-risorgimentale, repubblicana. In pratica, l’Italia non gli deve nulla. Se non disastri. E qui, replico, rinviando alle statistiche storiche Istat dal 1861 ai nostri giorni. Buona lettura.
E sulla base di che cosa Maraviglia condanna il liberalismo reale? Di un’idea di libertà, di una norma, che andrà poi calata nella realtà. Quindi siamo davanti alla classica opposizione, e contraddizione, tra giudizi di fatto e giudizi normativi. O se si preferisce di valore.
Il procedimento è il seguente: l’idea di libertà del liberalismo è falsa e utopica perché non tiene conto della realtà. Quale sarebbe allora la mossa argomentativa seguente? Quella di indicare un’idea di libertà aderente alla realtà. Cosa che non avviene, perché Maraviglia rinvia alla definizione di libertà di un fascista come Giovanni Gentile (per carità sul piano umano una brava persona, ottimo storico e magnifico docente, trucidato barbaramente).
E su quanto il fascismo abbia attuato questa idea di libertà, credo sia inutile discutere.
Però l'idea di libertà di Gentile non va respinta solo perché fascista in senso fallimentare, ma perché rifiuta la realtà. Il bailamme attualista non è altro che un rifiuto della realtà così com’è, al quale si oppone un attivismo molto astratto, che nella pratica, finisce per includere squadristi e arma dei carabinieri: lo stato dentro ognuno di noi. Sì, a mazzate (pardon, per l’espressione).
Quanto all’accenno all’ individuo assoluto di Evola, alzo le braccia. Ricordo con nostalgia lunghe e brillanti conversazioni in argomento con il compianto Gian Franco Lami. Che tentava ogni volta di convincermi sulla possibilità di un liberalismo a sfondo elitario-tradizionalista, con Evola come capofila. Io non escludevo, aggiungendo però che la filosofia e la storia delle idee sono una cosa, la sociologia un’altra. Perciò meglio non fare confusione.
Sicché per avere valore esaustivo la critica di Maraviglia avrebbe dovuto fondarsi su un giudizio di fatto su un’altra esperienza concreta di libertà non liberale. E per "par condicio" in ambito storico moderno.
Cosa che non poteva e non può fare, per totale mancanza di società fasciste e libere al tempo stesso. Di qui la scappatoia: o si torna alla idealizzazione del passato (cosa che Maraviglia evita), o ci si proietta nello spazio del fascismo su Marte, acchiappatutto, una specie di cavalcata delle valchirie, ogni volta con abbigliamento storico diverso. Dopo di che, chi vivrà vedrà. E questa mi sembra la strada scelta da Maraviglia.
Pertanto, dalle vette di un fascismo ideale, in qualche misura occasionalista, quindi inafferrabile, è molto facile sparare sull' ambulanza liberale che arranca per le salite. Insomma, sparare alzo zero sul liberalismo reale. Che come ogni fenomeno reale assume le caratteristiche della società e del tempo in cui vive, caratteristiche che sono ovviamente imperfette.
Ma il problema non è neppure questo. Perché, come ho detto, non sono l’avvocato d’ufficio di nessuna ideologia. O eventualmente, se proprio mi si vuole etichettare, prima che liberale sono sociologo.
E come tale - vengo al problema - non ho potuto non notare che l’ asserzione di Adam Smith, storicamente documentata, sulla natura individualistica dell’agire sociale, come interazione degli interessi e dei valori è esatta. Come è altrettanto esatta la visione storica di Hume del sociale, come processo spontaneo, che si autoregola, attraverso l’esperienza e la selezione delle istituzioni. Ma potrei citare anche un pensatore come Montesquieu e altri ancora, altrettanto attenti alla natura evolutivo-spontaneista del sociale.
E qui va ricordato che Smith e Hume sono stati definiti pensatori liberali non dai contemporanei, ma neppure dai figli e nipoti, per così dire. Sono stati denominati liberali solo nel Novecento. Quando si è “scoperto”, anche ufficialmente, il liberalismo come ideologia, e in qualche misura, in alcune sue tendenze, addirittura come una forma di costruttivismo. Quindi qualcosa che si allontana dall'esperienza sociale.
E qui si pensi al cosiddetto liberal-socialismo, un liberalismo ridens, macro-archico, favorevole, come i suoi avversari all’interventismo pubblico. E, cosa peggiore, a quella tremenda motorizzazione del diritto e dei diritti, che Maraviglia addebita invece al liberalismo tout court.
In realtà, Smith e Hume, ci spiegano, che gli uomini fanno i propri interessi, perseguono i propri valori.talvolta facendo centro, talaltra mancando il bersaglio. Non c'è alcun disegno generale. Si è "costruito" il capitalismo e si è "edificato" il liberalismo senza sapere, se non nel tardo Ottocento, ciò si era fatto. Insomma, senza alcun piano o disegno preciso. Se ci si passa il paradosso, il mondo moderno è liberale e capitalista per caso...
Di conseguenza, la libertà concreta, sociologica, consiste proprio in questa possibilità. Una libertà, che è anche rischio, rischio vero, e che combacia con il naturale divenire sociologico della società. Ci troviamo davanti a un raccordo, certo minimale, denso di vittorie e sconfitte individuali, ma reale, tra fatto e norma.
Ovviamente si tratta di una libertà imperfetta, che soprattutto nella società di massa, può assumere aspetti sgradevoli, per qualcuno ripugnanti, ma che resta l’unica possibile, perché rinvia alla realtà sociale, così com’è e non come dovrebbe essere secondo questa o quella ideologia, anche liberale.
Perché, come detto, esiste un liberalismo costruttivista. Paradossalmente, quanto più ci si è sforzati di attribuire, un precisa fisionomia storica al liberalismo ideologico, tanto più ci si è allontanati dal liberalismo reale, sociologico, secondo l'inconsapevole lezione di Hume, Smtih e altri pensatori, liberali senza saperlo. Ma sopraffini sociologi.
In questo senso, il mio liberalismo, se proprio vogliamo usare questo termine, è triste, non ridens, perché essendo consapevole della pericolosità dell’ottimistica utopia costruttivista, rinuncia al momento costruttivista e normativo. Anzi lo teme. E da qualunque parte provenga. Quanto più l'esperienza sociologica fa premio sull'ideologia politica, sulla norma, di qualunque tipo sia, tanto più una società è liberale. Magari senza neppure saperlo.
Nessuna fuga in avanti, né indietro. E neppure pretendo di possedere il monopolio della realtà (per non parlare di quello della verità...). Mi appello solo alla concretezza sociologica. Se poi combacia, e qualche volta capita (nonostante i politici, tutti, inclusi certi “dichiarati” liberali di oggi), con quella del liberalismo archico, triste, non ridens, sociologico, diciamo con la storia delle idee, tanto meglio.
Ovviamente anch'io ho mio demone da servire. Le mie simpatie... I miei giudizi di valore... Però prima viene la verifica sociologica. Che ci dice, come hanno mostrato Hume e Smith, eccetera,eccetera.
Sintetizzando: liberale su Marte? No, sulla Terra.
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://vendemmietardive.blogspot.com/2021/11/destra-liberalismo-e-fascismo.html .
(**) Qui: https://www.ibs.it/liberalismo-triste-percorso-da-burke-libro-carlo-gambescia/e/9788876064005 .
***
Segue l’interessante commento dell’amico Aldo La Fata al primo scritto di Maraviglia (*). Un testo equilibrato, che condivido e apprezzo, perché ricco di spunti di riflessione. . Buona lettura. (C.G.)
Vedo ora Carlo. Intanto, grazie per la condivisione.
Di Maraviglia non parlo perché in verità quel poco che ho letto di lui sta tutto nei commenti alle tue riflessioni quotidiane. In linea di massima, ripeto per quel poco che so di lui, mi sento abbastanza in sintonia.
Personalmente non ho mai elogiato il fascismo, neppure come “ideale”, seppure ne abbia subito anch’io in gioventù il fascino della rivolta ideale, della suggestione dei valori antiborghesi, delle radici che non gelano, dell’amore per gli autori di riferimento magari nel nome di una superiore concezione della vita e del mondo.
Tutte le cose negative del fascismo invece mi hanno sempre fatto orrore, ribrezzo, (e non starò qui ad elencarle, perché le conosciamo tutti fin troppo bene).
Io mi reputo politicamente un anarchico-conservatore alla Prezzolini e intellettualmente un aristocratico liberale alla Ortega y Gasset; idealmente invece (quindi nel mondo dei sogni), sono un monarchico (ma i miei sogni monarchici si fermano al Sacro Romano Impero); sono per il pensiero aristocratico che non è anti-niente ma vola alto su tutto.
Come direbbe Evola, ma in un senso diverso e opposto, per me il Fascismo è troppo poco: i suoi ideali anche quando erano alti e nobili sono stati inficiati da una prassi troppo discutibile per essere minimamente accettabile. E purtroppo non si può separare il fascismo come ideale dal fascismo storico. Ma forse per Maraviglia sì, non so. Senza contare che i difetti storici del Fascismo sono stati ereditati dal neofascismo e non sono neppure estranei alla Nuova Destra (intendo sia quella intellettualistica ed etnicista di Alain de Benoist che quella demagogica e populista di Salvini-Meloni).
La metapolitica che professo poi, indegnamente sulle orme di Panunzio, mi impedisce qualsiasi apprezzamento passatista e politico in senso stretto. Mi interessa solo ciò che è in grado di elevare l’uomo mentalmente e spiritualmente, di migliorare la sua condizione umana e sociale e di favorire la sua libertà e liberalità nel pensiero e nell’azione. Tutto il resto mi sembra appartenere o all’ideologia o a un pericoloso controfattuale fantastico.
È vero però che la cultura di destra continua ad esercitare su di me un grosso fascino, lo ammetto e sono anche certo che se leggessi Maraviglia finirei sicuramente col condividerlo ed apprezzarlo. Certo definirsi fascisti oggi può essere un po' pericoloso e personalmente penso sia sbagliato. Perché scommettere su una parola così divisiva e urticante per affermare dei legittimi e giusti ideali politici? Un caro saluto ad entrambi.
Aldo La Fata
(*) Qui: https://vendemmietardive.blogspot.com/2021/10/perche-la-destra-non-puo-e-non-deve.html
Nessun commento:
Posta un commento