Si parla di un carovita + 4 per cento.
Il fatto che i prezzi stiano lievitando ovunque, non solo in Europa, è un fenomeno probabilmente legato a quell’ eccesso di credito provocato dalle scriteriate politiche economiche covidiste.
Un fenomeno inflattivo destinato a neutralizzarsi, ma in senso negativo, se la domanda di credito, non si consoliderà sulla base di una ripresa economica effettiva, non drogata da capitali pubblici vaganti e da tassi di interesse ridicoli.
Ci spieghiamo meglio. Un’ inflazione al due, tre, quattro per cento può indicare due cose: a) essere al tempo stesso un segnale di ripresa economica; b) essere invece sintomo di una prossima ventura stagnazione e inflazione al tempo stesso: un fenomeno che vede procedere insieme, crescita dei prezzi e paralisi degli investimenti. Quindi, attenzione.
Di regola l’inflazione, favorita dai governi, fin dai tempi di Weimar, è un metodo per spostare l’ago della bilancia del commercio estero che per un verso rende meno pesanti pagamenti e debiti passati, favorendo le esportazioni, ma che per l’altro, finisce per colpire gli scambi futuri, penalizzando le importazioni, e di riflesso la crescita.
In realtà le politiche economiche degli stati dipendono dalle reale ripresa economica, che a sua volta è condizionata dal giudizio e dalla fiducia degli operatori economici. Si possono immettere nel sistema quantità crescenti di liquidità, ma non è mai scontato, come dicono gli economisti, che il cavallo, dell’economia (consumatori e investitori), beva tutta o parte dell’acqua che gli viene gentilmente messa a disposizione.
Per quale ragione? Perché l’economia si regge sulla fiducia di consumatori e investitori, che a sua volta, rimanda alle previsioni individuali per il futuro.
Un clima impregnato da anni, di umori catastrofisti, avvelenato infine dal disastrismo covidista, non può generare alcuna fiducia nel futuro. Per dirla, con semplicità: come si può conciliare una cultura del disastro con un’ economia dell'ottimismo?
La sopravvalutazione isterica del fenomeno epidemico, pardon pandemico, che ha portato con sé politiche dirigiste, impedisce, con le conseguenti montagne russe delle aperture e chiusure, qualsiasi reale ripresa economica. Perché investire? Perché consumare, se, semplificando il concetto, stiamo vivendo gli ultimi giorni dell’umanità?
Qual è infatti la risposta dei governi? Immettere denaro pubblico nel sistema, tenere bassi i tassi, non confermando però alcuna sicurezza circa l’evoluzione economica futura. Di conseguenza, come detto, il cavallo non beve. Si chiama anche economia dello stallo.
Tanti denari e tanta incertezza politica. Il che spiega però, il buon andamento delle borse… Perché vi convergono credito facile e denari pubblici, diversamente utilizzati... E, per inciso, non si dica che lo stato deve controllare le borse, eccetera, eccetera... Lo stato deve tenere chiusi i cordoni della borsa e intervenire il meno possibile. Punto.
L’economia per funzionare, e da sola, ha necessità di un giusto mix tra fiducia e incertezza. Diciamo però che nell’attuale contesto l’incertezza prevale sulla fiducia, premiando la borsa, dove confluisce una liquidità in eccesso.
Il fatto, come dicevamo, che i prezzi stiano rialzando la testa, potrebbe perciò indicare o il ritorno della fiducia, quindi la crescita della domanda, legata però a sviluppi reali (che al momento latitano), o più semplicemente uno spostamento verso l’alto dei prezzi, al quale però non corrisponde alcun reale progresso economico, nessun reale sviluppo. Fino a quando però? Si pensi all’immissione di aria in un pallone fino a farlo scoppiare.
Chi scrive propende per la seconda tesi. Anche perché le imbecillità politiche sulla transizione ecologica - si pensi al pasticcio dirigista sulle licenze economiche per l’energia - non favoriscono certo un clima di fiducia.
Più si insiste sulla necessità di una svolta epocale in ambito ecologico, più consumatori e investitori si spaventano. A ciò si aggiungano gli alti e bassi politici sulle misure antiepidemiche, pardon antipandemiche, e si avrà il quadro di un’economia in stallo che rischia di essere travolta dai due fenomeni coevi della stagnazione produttiva e dell’inflazione dei prezzi.
Altro che ripresa guidata dalla transizione ecologica…
Imbecilli!
Carlo Gambescia
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