giovedì 18 novembre 2021

LA GERMANIA E IL PREGIUDIZIO WELFARISTA


Che pensare se il miglior “uomo” politico tedesco, Angela Merkel, dichiara che la situazione in Germania “è drammatica”?

Che effettivamente le cose stiano così? Oppure che anche Angela Merkel sia stata travolta dall’isteria politica da virus? E che, in ogni modo, ci si continui a muovere, politicamente parlando, sul piano della rappresentazione sociale dell’epidemia in “chiave ultimi giorni dell’umanità”?

Difficile dire. Però, in realtà, i dati tedeschi, non sarebbero così allarmanti se non fosse per la questione dei cosiddetti posti letto in intensiva (*). Un mantra burocratico-welfarista che trasforma in pregiudizio il giudizio sulla reale natura delle cose.

Ci spieghiamo.

Va detto innanzitutto che in Germania, come in Italia, l’ultima parola sembra spettare ai medici, agli specialisti, o se si preferisce alla medicina istituzionalizzata e incistata nei sistemi di welfare (**). Dietro i quali, spaventati o meno, si nascondono politici sempre più isterici, perché timorosi di perdere il consenso elettorale.

Perché pregiudizio? Per il semplice motivo che la ricettività delle intensive, in particolare nell’Europa welfarista, è collegata a parametri prudenziali, dettati dall’opportunità di cautelarsi, che fissano tassativamente i livelli entro i quali può essere fornita, come si enfatizza,  un’assistenza medica ottimale.

Ci spieghiamo con un esempio. Si pensi a una bottiglia piena di liquido. Ora la ricettività delle intensive viene definita ottimale, dai burocrati del welfare (non sappiamo trovare un altro termine) se il “liquido posti letto liberi” riempie per due terzi la bottiglia. Appena scende sotto i due terzi si accende la spia rossa. Il che però, non significa che la bottiglia sia vuota… Anzi.

Ciò significa due cose: 1) che prudenziale è sinonimo di convenzionale, qualcosa che viene fissato sulla base di un accordo organizzativo; 2) che i burocrati, proprio perché tali, agiscono – ecco la trasformazione del giudizio in pregiudizio – come se la bottiglia fosse vuota e non piena per due terzi di posti letto liberi.

Di qui, l’evocazione, nonostante ci siano posti letto liberi, del pericolo di morire di sete, cioè, fuor di metafora, nei corridoi degli ospedali. Immagine apocalittica, che viene spesso veicolata alla prima occasione dai non pochi mass media arruolati come soldati di prima linea nella guerra welfarista contro il virus.

Siamo davanti a continue evocazioni mediche e politiche, dai toni sempre più allarmati, di misure per evitare, come si ripete, che il contagio si estenda eccetera, eccetera. Però, se si riflette, con attenzione, si scopre che al centro della questione, dal punto di vista burocratico, non c’è il paziente, ma la struttura medica.

Ovviamente, la scusa ufficiale – Pareto parlerebbe di “derivazioni” – è che solo così i malati potranno essere ben curati e che tutti vivranno felici e contenti. E dal momento che morire non piace a nessuno, la giustificazione consente che i provvedimenti, per quanto restrittivi, siano largamente accettati. Addirittura con entusiamo.

Quanto appena detto non significa che in Germania non sia in atto una nuova ondata, ma solo che il pregiudizio welfarista impedisce qualsiasi approccio diverso da quello delle chiusure preventive e delle limitazioni di libertà.

L’interpretazione delle cifre, i conseguenti comportamenti e i richiami alla “drammaticità, come quello di Angela Merkel, nascono dal pregiudizio welfarista, quindi da una visione non obiettiva della situazione.

O comunque, anche ammesso e non concesso, eccetera, eccetera, si tratta di una visione funzionale, per cifre astratte, alla struttura medico-burocratica e non alle reali necessità di un singolo sempre più traumatizzato dalle dichiarazioni di medici e politici, welfaristi dalla punta dei piedi fino alla cima dei capelli, e quindi convinti, identificando strutture e individui, di agire a fin di bene.

Si chiama effetto perverso delle azioni sociali. O, per metterla sul dotto, di eterogenesi dei fini: si vuole il bene, si ottiene il male. Come sanno i sociologi i più seri, a partire da Weber e Pareto, le buone intenzioni nell’ambito della dinamica socio-culturale non sono mai sufficienti.

Quanto all’Italia, ipotizziamo, anche breve, reazioni alla Merkel, anzi forse addirittura più scomposte. Solo i numeri, nel senso di una drastica riduzione dei casi, potrebbero allontanare un nuovo ricorso a misure restrittive. Preventive, naturalmente…

Però, attenzione, si tratterebbe, anche se in decrescita, di numeri comunque funzionali, ripetiamo, alla struttura non al paziente. Quindi, alla prima occasione,eccetera, eccetera.

Concludendo, il pregiudizio welfarista rischia di non farci più uscire più dall’epidemia, pardon pandemia (***).

Carlo Gambescia

(*) Qui il quadro generale delal situazione,:https://www.faz.net/aktuell/gesellschaft/gesundheit/coronavirus/rki-ueber-65-000-neuinfektionen-inzidenz-hoeher-denn-je-17639827.html . “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, di indirizzo moderato, è uno dei più affidabili quotidiani tedeschi.

(**) Qui le dichiarazioni allarmate (e allarmanti) del presidente del Robert Koch-Instituts (una specie di ISS tedesco), Lothar Wieler:https://www.faz.net/aktuell/gesellschaft/gesundheit/coronavirus/rki-praesident-wieler-wir-waren-noch-nie-so-beunruhigt-17639766.html .

(***) Per un approfondimento si veda il mio “Metapolitica del Coronavirus. Un diario pubblico”, postfazioni di Alessandro Litta Modignani e di Carlo Pompei, Edizioni Il Foglio 2021: https://www.ibs.it/metapolitica-del-coronavirus-diario-pubblico-libro-carlo-gambescia/e/9788876068287 .

 

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