Declinismo, malattia infantile del populismo, una riflessione
Quando è cominciato tutto? Quando si è affacciato per la prima volta il populismo
antiparlamentare? Con il suo torbido declinismo morale? Quello, del "tutti ladri!". Probabilmente con Tangentopoli. E da allora non si è fermato più.
Alimentato da Berlusconi, il primo dei
qualunquisti politici. Appoggiato con calore dalla sdoganata destra neofascista, da sempre nemica delle istituzioni rappresentative. Puntato come un cannone, dai post cattolici e dalla sinistra antiliberale, contro il Cavaliere, per combatterlo a
colpi di scandali, talvolta gonfiati, Condiviso dagli infantili fanatici della democrazia diretta: Lega e Cinque Stelle. E naturalmente cavalcato, con trucida letizia, dai mass media e propugnato, talvolta con ferocia, dal giustizialismo tersiteo dei Social.
Il
tutto spiega perché una legge elettorale, il rosatellum, che influirà
poco o punto sulla governabilità, viene
percepita come un colpo di stato. Evocato ieri dai Cinque Stelle: gli ultimi nati, dell’Italia,
per così dire, "botte piena, moglie ubriaca". L'Italia abituata a promettere tutto e il contrario di tutto. E ciò che peggio, anche quella abituata a credervi.
Del
resto, sono vent’anni che tutti i partiti alzano una posta irraggiungibile, favorendo
così il crescente scontento di un popolo (parola grossa...), viziato, egoista, sleale. Composto nella stragrande maggioranza di
servitori, sempre pronti a mentire e tendere la mano verso il vincitore. A leggere,
i sempre attualissimi (e bellissimi) Ricordi di Massimo D’Azeglio, sembra non essere mutato
nulla. E i risultati si vedono. Si pensi ai referendum, anti-unitari, in Veneto e Lombardia di domenica scorsa…
Roba da ricchi, egoisti e viziati. Da borghesie antipolitiche, come quella papalina. Anno di grazia 1825.
Il cosiddetto declinismo morale, non è altro che la malattia infantile del populismo. Ma quale bambino povero con il palloncino... E poi, declinismo da che cosa? La vita si è allungata, si viaggia, si progettano le vacanze, si fa beneficenza, si studia. Venticinque milioni di italiani vivono sui Social: tutti si sentono politologi, filosofi, scienziati. E per fare che? Lamentarsi. Di che cosa? Dei politici che sarebbero sordi ai "bisogni del popolo".
Il cosiddetto declinismo morale, non è altro che la malattia infantile del populismo. Ma quale bambino povero con il palloncino... E poi, declinismo da che cosa? La vita si è allungata, si viaggia, si progettano le vacanze, si fa beneficenza, si studia. Venticinque milioni di italiani vivono sui Social: tutti si sentono politologi, filosofi, scienziati. E per fare che? Lamentarsi. Di che cosa? Dei politici che sarebbero sordi ai "bisogni del popolo".
In
realtà, i politici - tutti i politici, non solo i pentastellati - sono fin troppo in sintonia. Perché promettono
ciò che non si può mantenere, dal momento che per accontentare tutti, i tributi
dovrebbero salire alle stelle. Si chiama
demagogia. Di qui, quel procedere a spizzico, che scontenta gli uni, accontenta
gli altri, favorendo il gioco al rialzo
di populisti e declinisti, che - quando si
dice il caso - sono all’opposizione. E
quindi gridano. Ora. Perché, un volta al potere, non potrebbero non fare, anch’essi, i conti con la realtà.
Intanto,
però, in attesa del trionfo della democrazia dei giusti e dello stato etico, si sfascia l’economia, amplificando il sospetto a priori su tutti coloro che
hanno incarichi di responsabilità, facilitato da inchieste a orologeria di una
magistratura in libera uscita da decenni, creando così
le condizioni per il declino economico e politico: quello
vero.
Potremmo chiamarla l' ossessione da ultima spiaggia. Che, ovviamente, non giova a nessuno: all’economia, come detto, sempre al centro di indagini e sospetti, che quindi rischia la paralisi; alla politica,
ormai priva di qualsiasi buonsenso, che perciò snatura se stessa, inseguendo i cervellotici desiderata populisti; ai cittadini, già viziati dalle correnti calde dell’
assistenzialismo, che regrediscono verso un capriccioso infantilismo
democratico.
Potrebbe
finire male. Molto male.
Carlo Gambescia