Il
pamphlet di Luigi Iannone
Fascisti (e antifascisti),
ma con la pensione
ma con la pensione
Mentre
leggevo il brillante pamphlet di Luigi Iannone (1), pensavo tra me e me: sì, è tutto vero, l’antifascismo 2017 (dei
Fiano, Boldrini, Grasso e compagnia cantante, inclusi certi cattolici di
sinistra), rinvia a quel catto-comunismo che si è appropriato
della Resistenza e della Costituzione. E, soprattutto, di un diritto di scomunica
politica verso tutto ciò che non sia di
sinistra.
Però, ecco il punto, quando Iannone, anche giustamente (perché le ridicole misure legali
evocate sono rivolte contro quattro gatti nostalgici), parla di vuoti storiografici nei riguardi del fascismo, la sua tesi
andrebbe estesa all’intera storia dell’Italia unita.
Perché
non è affatto vero che nel 1945 la
cultura uscita vittoriosa, quella
catto-comunista, abbia guardato indietro all'Italia liberale, e con l' occhio benevolo dell'erede riconoscente. Iannone invita giustamente a riflettere sulla necessità (finora rifiutata) di
“storicizzare” il fascismo,
affinché possa “essere finalmente trattato alla stregua del periodo
giolittiano [e] di quello risorgimentale (p. 13). In realtà, però, Risorgimento
e Italia liberale, dalla cultura catto-marxista, non sono stati trattati
meglio del fascismo: il buco nero
storiografico risale al 1861, come
ricordava Rosario Romeo, grande storico
liberale, perciò poco amato a destra e
sinistra.
Sicché,
nel 1945, cattolici e comunisti furono ben lieti, nonostante gli sforzi del
grande De Gasperi, di saldare i conti
con la classe politica e culturale
pre-fascista che, a dire il vero, non li
aveva trattati di lusso. E di conseguenza, il pensiero liberale venne marginalizzato quanto e più di quello
fascista. Queste cose si devono
sottolineare, soprattutto quando si discute di
“egemonia culturale dei
comunisti” nell’Italia Repubblicana.
Altro
e ultimo punto. È vero, è assai scorretto tirare fuori ogni volta, anche davanti al più stupido gadget neofascista, la storia del fascismo eterno, da reprimere con
ogni mezzo. Però, attenzione: la terapia welfarista catto-comunista, la stessa
che è parte integrante dell’antifascismo delle magliette, giustamente contestato da Iannone, ha proseguito, con altri mezzi, diciamo, l'autoritaria politica sociale del fascismo.
Uno degli argomenti classici degli antifascisti
come dei fascisti - da bocca a culo di gallina (pardon) - è quello della “natura
sociale” del fascismo. Che, ovviamente,
per gli antifascisti, si reggeva sul vergognoso baratto assistenza
sociale-libertà, mentre per i fascisti, consisteva pomposamente in una
libertà superiore, total black, da vivere però tutta “dentro lo stato”.
Il
punto tuttavia è un altro. Gli italiani, i fascisti come gli antifascisti, per un
grave deficit di cultura liberale di
cui è responsabile lo statalismo catto-marxista, continuano a scorgere nel potere pubblico una organizzazione assistenziale: la classica mucca da mungere a sbafo… Si tratta di un problema di cultura politica diffusa (dai partiti ai cittadini, purtroppo). Sicché,
il welfare fascio-catto-comunista, tuttora, vive e lotta insieme a noi. E in questo senso, ricordo a Iannone, per
parafrasare il titolo: sì, siamo
ancora fascisti. Basta che ci sia la pensione, magari
anticipata, e non importa se guadagnata o meno.
Quindi non solo gadget. Non è forse vero che esiste un italiano medio, malato di protezionismo sociale, che sogna il reddito di cittadinanza? Che poi, il nuovo duce, si chiami Grillo I o Mussolini II, cosa cambia?
Carlo Gambescia