sabato 28 ottobre 2017

Il  pamphlet di  Luigi Iannone
Fascisti (e antifascisti), 
ma con la pensione





Mentre leggevo il brillante pamphlet di Luigi Iannone (1), pensavo tra  me e me:  sì, è tutto vero, l’antifascismo 2017 (dei Fiano, Boldrini, Grasso e compagnia cantante, inclusi certi cattolici di sinistra),  rinvia a quel catto-comunismo che si è  appropriato  della  Resistenza e della Costituzione.  E, soprattutto, di un diritto di scomunica politica  verso tutto ciò che non sia di sinistra. 
Però, ecco il punto,  quando  Iannone,  anche giustamente (perché le ridicole  misure legali evocate sono  rivolte contro quattro gatti  nostalgici),  parla di vuoti storiografici  nei riguardi del fascismo, la sua tesi andrebbe estesa all’intera storia dell’Italia unita. 
Perché non è affatto vero che nel 1945  la cultura  uscita vittoriosa, quella catto-comunista, abbia guardato indietro all'Italia liberale, e con l' occhio benevolo dell'erede riconoscente.  Iannone  invita giustamente a riflettere  sulla necessità  (finora rifiutata)  di  “storicizzare” il fascismo,  affinché possa “essere finalmente trattato alla stregua del periodo giolittiano [e] di quello risorgimentale (p. 13).  In realtà, però, Risorgimento e Italia liberale, dalla  cultura  catto-marxista, non sono stati trattati meglio del fascismo:  il buco nero storiografico risale al 1861,  come ricordava  Rosario Romeo,  grande storico liberale, perciò  poco amato a destra e sinistra. 
Sicché, nel 1945,  cattolici e comunisti  furono ben lieti, nonostante gli sforzi del grande  De Gasperi, di saldare i conti con  la classe politica e culturale pre-fascista che,  a dire il vero, non li aveva trattati di lusso.  E di conseguenza,  il pensiero liberale  venne   marginalizzato quanto e più di quello fascista.  Queste cose si devono sottolineare, soprattutto quando si discute di  “egemonia culturale  dei comunisti” nell’Italia Repubblicana.
Altro e ultimo punto. È vero,  è assai  scorretto  tirare fuori ogni  volta, anche davanti al più stupido gadget neofascista,  la storia del fascismo eterno, da reprimere con ogni mezzo. Però, attenzione:  la terapia welfarista  catto-comunista, la stessa che è parte integrante  dell’antifascismo delle magliette,  giustamente contestato da Iannone,  ha proseguito, con altri mezzi, diciamo, l'autoritaria  politica sociale del fascismo.  Uno degli argomenti classici  degli antifascisti come dei fascisti - da bocca a culo di gallina (pardon) -  è quello della  “natura sociale” del fascismo.  Che,  ovviamente,  per gli antifascisti, si reggeva sul vergognoso baratto assistenza sociale-libertà, mentre per i fascisti, consisteva  pomposamente  in una  libertà superiore, total black, da vivere però tutta “dentro lo stato”. 
Il punto tuttavia è un altro. Gli italiani, i fascisti come gli antifascisti,   per un grave  deficit di cultura liberale di cui è responsabile lo statalismo catto-marxista,  continuano  a scorgere  nel potere pubblico una organizzazione assistenziale: la classica mucca da mungere a sbafo… Si tratta di un problema di cultura politica diffusa (dai partiti ai cittadini, purtroppo).  Sicché, il welfare fascio-catto-comunista, tuttora, vive  e lotta insieme a noi.  E in questo senso, ricordo a Iannone, per parafrasare il titolo:  sì, siamo  ancora  fascisti.  Basta che ci sia la pensione,  magari anticipata,  e non importa se guadagnata o meno. 
Quindi non solo gadget. Non è forse vero che  esiste un italiano medio, malato di protezionismo sociale, che sogna il reddito di cittadinanza?  Che poi, il nuovo duce, si chiami Grillo I  o Mussolini II, cosa cambia? 
Carlo Gambescia
                                                       

 (*)  All’armi siamo (ancora?) fascisti , il Giornale/fuori dal coro, 2017, pp.  50,  Euro 2.50, più il  prezzo del quotidiano.