La mozione del Pd presentata ieri contro Visco
Renzi e la Banca d’Italia,
non solo
isteria…
La
mozione del Pd contro Visco ha prodotto molte letture politiche, ne ricordiamo
solo alcune: la complottista (Renzi vuole
vendicarsi del "torto" subito dalla Ministra Boschi); la bancaditaliaista
(Renzi vuole mettere un suo uomo, esterno alla Banca d’Italia); bancario-politica
(Renzi, vuole dare un contentino - e che contentino… - ai suoi amici del mondo bancario); la ipocrito-politica (Renzi, vuole
minare l’autonomia economica della Banca
d’Italia); l’antiberlusconiana (Renzi, vuole favorire Berlusconi, che
odia Visco, per poi fare più facilmente, dopo le elezioni, le larghe intese), la
pseudo-sovranista (Renzi vuole sostituire Visco, con un nome più gradito alla "bancocrazia" mondiale).
Come
si vede, ce n’è per tutti i gusti.
Personalmente,
riteniamo che Renzi, come nota oggi Eugenio Scalfari, - una
tantum, giustamente - soffra di periodici attacchi di isteria, e che
di conseguenza finisca ogni volta per
rinunciare a qualsiasi forma di prudenza, prendendo decisioni improvvise, prive di qualsiasi costrutto
politico.
Si
pensi, in passato, alla subitanea
decisione di personalizzare il referendum
costituzionale, (“Con me o contro
o me”), finendo così per favorire il coalizzarsi di tutti i suoi scombinati avversari. E lo stesso potrebbe
accadere con Visco. E ovviamente con conseguenze dannose per
Renzi e per l’Italia, per i possibili riflessi economici, quindi non solo di immagine.
Va pure detto che dietro la difesa di Visco e della cosiddetta autonomia- indipendenza della Banca d’Italia, c’è ipocrisia in dosi industriali. L’Istituto di Emissione non ha mai volato da solo: la guerra monetaria
è sempre stata cosa troppa seria per
essere lasciata ai governatori. Certo,
nella storia dell’istituto di emissione, dopo la dittatura fascista, ci
sono stati tra potere politico e Banca d’Italia,
periodi di lunga bonaccia, si pensi agli anni aurei di Guido Carli, e di violenta bufera, come ai tempi di Fazio ( e ancora
prima di Baffi). Del resto, contrariamente a tutte le fregnacce (pardon) democraticiste e socialiste sulla proprietà collettiva della moneta,
l’introduzione del mandato a
termine, ha rappresentato, di fatto, una riconferma della sottomissione della Banca d’Italia ai desiderata
del potere politico. Tradotto: “Caro
Governatore, a chiacchiere sei indipendente, se però provi ad alzare la testa o scontentare politicamente qualcuno, a fine mandato, torni a fare l’impiegato
di sportello” (si fa per dire).
Del
resto, per portare un altro esempio, la Banca Centrale
Europea, nonostante Draghi guardi più o meno benevolmente all’Italia, dipende, di fatto, dalle banche tedesche, che a loro volta, dipendono, altrettanto di fatto, dalle decisioni della
politica tedesca: di una nazione che, economicamente, rappresenta il 50 per
cento dell’economia europea. E, quindi, con una forza politica, di pari valore.
Sono le leggi della politica, bellezza…
Pertanto,
per tornare all’Italia, ripetiamo: autonomia-indipendenza della Banca d’Italia dalla politica?
Una barzelletta. Il fascismo la
comandava a bacchetta, la Repubblica così e così.
Ma l’ultima parola, mai dimenticarlo, è sempre stata della politica.
Renzi,
sintetizzando, invece di lavorare ai fianchi Visco, promettendogli qualche
altro incarico prestigioso, in preda alla solita isteria, rivendica, ciò che in Italia, terra dell’economia
mista, è regola, purtroppo: il predominio
della politica sull’economia. E, in particolare,
sulla Banca d’Italia.
E
chiunque oggi provi meraviglia per questo, o fa il furbo o è cretino.
Carlo Gambescia