mercoledì 4 ottobre 2017

Ieri,  la Giornata nazionale in memoria degli immigrati
Caro Presidente Grasso, 

le buone intenzioni non bastano...



Gli uomini parlano, parlano, parlano,  le società razionalizzano, razionalizzano, razionalizzano. A questo pensavamo ieri, ascoltando le parole sull'immigrazione, grondanti melassa umanitaristica, del Presidente del  Senato, Pietro Grasso. 
Si dirà, che c'è di male.  I cattivi esempi sono pericolosi: quanto più si spara alzo zero  sugli immigrati, a parole (fortunamente, per ora),  tanto più si rischia  di favorire reazioni tipo KKK italiano, quindi di far aumentare a dismisura il tasso di razzismo degli italiani.  Allora,  ben venga,  la melassa buonista sull’obbligo costituzionale, morale, sociale, politico e quant’altro.
Dicevamo però, gli uomini parlano, le società razionalizzano. In che senso? Che alla radice,  ogni questione sociale è questione di risorse, di regola, scarse.  Scarse, nei luoghi di partenza degli immigrati,  scarse nei luoghi di arrivo. Ovviamente, il differenziale ha valore  relativo:  ciò che è scarso per  “noi”, è troppo per “loro”. Di qui,  quel  miraggio di poter  condividere un mitico surplus che spinge l’immigrato a tentare la fortuna in  Italia e in  Occidente, dal momento che, comunque vadano le cose, come spesso si sente dire  - parole dei "migranti" -    non si  potrà stare peggio.
In realtà,  questo concetto di scarsità relativa, variabile e dall’alto valore simbolico, è una forma di razionalizzazione sociale, soprattutto simbolica, delle risorse esistenti.  Di conseguenza, come  nel caso del Presidente Grasso,  introdurre  nelle argomentazioni -  trascurando i contenuti simbolici dei differenziali tra valori assoluti e relativi -  l’idea che noi stiamo meglio, a prescindere,   e che perciò dobbiamo accogliere e donare,  significa scontrarsi con una sensibilità comune, media, che invece considera le risorse di cui fruiamo scarse, conferendo al differenziale un diverso valore, non meno simbolico.   
È così? Non è così?  Non importa.  Il punto è che le persone  credono  sia così: la società razionalizza una credenza simbolica, a livello di senso collettivo.
Perciò quanto  più si cerca, per così dire,  di indorare la pillola, tanto più la gente comune tende a defilarsi e avvertire discorsi umanitaristici  totalmente falsi e indisponenti.  Di qui, secondo le diverse storie politiche e personali, le situazioni ambientali, il reddito reale,  eccetera, il rischio di innescare reazioni razziste.  
Si dirà, ma l’educazione individuale, la socializzazione,  la scuola,  il ruolo delle associazioni benefiche e dello stato, eccetera, eccetera,  non possono cambiare le cose? Provocando mutamenti di mentalità? Influendo quindi sulla percezione dei differenziali  redistributivi relativi alla  scarsità relativa ed assoluta? No, perché  la percezione collettiva  non dipende dalla sociologia, ma dalla natura umana, quindi in ultima istanza, per così dire,  dai riflessi carnivori degli uomini.  Si possono ridurre i tassi differenziali, in chiave economica, garantendo un progresso economico crescente. Insomma, si può mitigare, ma non determinare a tavolino la percezione simbolica dei medesimi, dettata dalla biologia umana. Il fallimento del socialismo è lì a provarlo.         
Conclusioni,  le buoni intenzioni, quando sono in gioco valori altamente simbolici,  non bastano. Insomma, l’ umanitarismo in dosi massicce,  rischia di ottenere l’effetto contrario, il razzismo. Qualcuno, sia detto con tutto il rispetto dovuto a una seconda carica dello stato, lo spieghi al Presidente Grasso.

                                                                                                                              Carlo Gambescia