Caro Presidente Grasso,
le buone intenzioni non bastano...
Gli
uomini parlano, parlano, parlano, le
società razionalizzano, razionalizzano, razionalizzano. A questo pensavamo
ieri, ascoltando le parole sull'immigrazione, grondanti melassa umanitaristica, del Presidente del Senato, Pietro Grasso.
Si
dirà, che c'è di male. I cattivi esempi sono pericolosi: quanto più si spara alzo zero sugli immigrati, a parole (fortunamente, per ora), tanto più si rischia di favorire reazioni tipo KKK italiano,
quindi di far aumentare a dismisura il tasso di razzismo degli italiani. Allora, ben venga, la melassa buonista sull’obbligo costituzionale, morale,
sociale, politico e quant’altro.
Dicevamo
però, gli uomini parlano, le società razionalizzano. In che senso? Che alla
radice, ogni questione sociale è questione di risorse, di regola, scarse. Scarse, nei luoghi di partenza degli
immigrati, scarse nei luoghi di arrivo.
Ovviamente, il differenziale ha valore relativo: ciò che è scarso per “noi”, è troppo per “loro”. Di qui, quel
miraggio di poter condividere un
mitico surplus che spinge l’immigrato a tentare la fortuna in Italia e in
Occidente, dal momento che, comunque vadano le cose, come spesso si sente dire - parole dei "migranti" - non si potrà stare peggio.
In realtà, questo
concetto di scarsità relativa, variabile e dall’alto valore simbolico, è una
forma di razionalizzazione sociale, soprattutto simbolica, delle risorse esistenti. Di conseguenza, come nel caso del Presidente Grasso, introdurre nelle argomentazioni - trascurando i contenuti simbolici dei differenziali tra valori assoluti e relativi - l’idea
che noi stiamo meglio, a prescindere, e che perciò dobbiamo accogliere e donare, significa
scontrarsi con una sensibilità comune, media, che invece considera le risorse di
cui fruiamo scarse, conferendo al differenziale un diverso valore, non meno simbolico.
È così? Non è così? Non importa. Il punto è che le persone credono sia così: la società razionalizza
una credenza simbolica, a livello di senso collettivo.
Perciò
quanto più si cerca, per così dire, di indorare la pillola, tanto più la gente
comune tende a defilarsi e avvertire discorsi umanitaristici totalmente
falsi e indisponenti. Di qui, secondo le
diverse storie politiche e personali, le situazioni ambientali, il reddito
reale, eccetera, il rischio di innescare
reazioni razziste.
Si
dirà, ma l’educazione individuale, la socializzazione, la scuola, il ruolo delle associazioni benefiche e dello
stato, eccetera, eccetera, non possono cambiare le cose? Provocando mutamenti
di mentalità? Influendo quindi sulla percezione dei differenziali redistributivi relativi alla scarsità relativa ed assoluta? No, perché la percezione collettiva non dipende dalla sociologia, ma dalla natura
umana, quindi in ultima istanza, per così dire, dai riflessi carnivori degli uomini. Si possono ridurre i tassi differenziali, in chiave economica,
garantendo un progresso economico crescente. Insomma, si può mitigare, ma non determinare a tavolino la percezione simbolica dei medesimi, dettata dalla biologia umana. Il fallimento del socialismo è lì a provarlo.
Conclusioni,
le buoni intenzioni, quando sono in
gioco valori altamente simbolici, non
bastano. Insomma, l’ umanitarismo in dosi massicce, rischia di ottenere l’effetto contrario, il
razzismo. Qualcuno, sia detto con tutto il rispetto dovuto a una seconda carica dello stato, lo spieghi al
Presidente Grasso.
Carlo Gambescia