L'antisemitismo come risorsa del tifo estremo
Povera Anna Frank (e povera Italia…)
Il
mondo del tifo estremo, non da oggi e non solo a Roma,
raccoglie individui che proiettano non
tanto sulla propria squadra quanto sugli avversari il modello amico-nemico. In
qualche misura il tifoso fa politica, o meglio si muove alla luce di una inesorabile
costante del politico.
Il
che però innesca una feroce logica conflittuale, che unita al modello
setta, o comunque di ordine militare ristretto (altro schema organizzativo di
tipo politico-religioso), rinvia sul piano dei contenuti al contro-immaginario
novecentesco. Ci spieghiamo meglio.
Si
prenda il triste caso della foto di Anna
Frank rivestita con la maglia della Roma,
oggi su tutti i giornali. Purtroppo, per il contro-immaginario novecentesco, quello
che si è opposto ideologicamente allo sviluppo della cultura democratica e
liberale, l’antisemitismo è una risorsa. Di conseguenza, lo si usa per screditare gli avversari. Per i tifosi
estremi della Lazio accostare Anna Frank
a un tifoso romanista, trattandosi di un “nemico”, resta la cosa più normale del mondo.
Può
essere utile, come si legge, condurre il tifoso estremo della Lazio, una volta
individuato, in visita ad Auschwitz? Può esserlo, sicuramente, dal punto di vista del risarcimento simbolico per
la comunità ebraica e per l’umanità intera. Oppure, come importante sanzione accessoria dal punto di vista del diritto
penale. Tuttavia, nutriamo forti dubbi sul ruolo, pur importante, dell' educazione, soprattutto là dove prevalga, come negli stadi, la logica del conflitto, attraverso la quale si recluta, forma e fortifica il tifo estremo.
Perché il vero punto della questione è come disinnescare la logica amico-nemico. Detto altrimenti: come “pacificare” il calcio, evitando che gli stadi si trasformino in campi di battaglia. Il problema non riguarda ( o comunque non solo) le ideologie, per quanto ripugnanti, professate dai tifosi estremi, ma la “forma conflitto”. Come tenerla fuori dagli stadi? Ovviamente, non è mai facile difendersi dalla logica polemica (nel senso del polemos, sotteso al conflitto amico-nemico). Qualcosa però si potrebbe tentare.
Perché il vero punto della questione è come disinnescare la logica amico-nemico. Detto altrimenti: come “pacificare” il calcio, evitando che gli stadi si trasformino in campi di battaglia. Il problema non riguarda ( o comunque non solo) le ideologie, per quanto ripugnanti, professate dai tifosi estremi, ma la “forma conflitto”. Come tenerla fuori dagli stadi? Ovviamente, non è mai facile difendersi dalla logica polemica (nel senso del polemos, sotteso al conflitto amico-nemico). Qualcosa però si potrebbe tentare.
In
primo luogo, evitando qualsiasi
esasperazione di tipo mediatico, intorno
al calcio: al momento, se ne parla
troppo e male. In secondo luogo, escludendo
fisicamente il tifo estremo dagli stadi. In
terzo luogo, favorendo, dopo la salutare bonifica, il
ritorno negli stadi del tifoso “normale”, oggi purtroppo appaltati ideologicamente al tifo estremo.
Forse
il fenomeno più rilevante degli ultimi due-tre decenni, legato (non solo) allo sviluppo
del calcio televisivo, è quello dell’abbandono di questo rito, un tempo
pacifico e domenicale, da parte del “tifoso
medio”, senza grilli per la testa, se ci si passa l’espressione. A poco a poco, gli stadi sono stati giudicati, soprattutto dalle famiglie, scomodi e pericolosi. Per contro, i prezzi dei biglietti, invece di diminuire a causa del calo di pubblico, sono cresciuti. Il che è avvenuto - si noti - malgrado il crescente introito dei diritti televisivi. Pertanto, le società di calcio, adagiatesi su questa tendenza si sono assunte gravi responsabilità. In che modo? Aumentando i prezzi, ma non per il tifo estremo (in termini reali, attraverso la concessione patteggiata di benefit), favorendone in qualche misura, in termini di feudalesimo funzionale, l'arrogante prepotere.
Dal
punto vista dell’eterogeneità sociale, lo stadio, che un tempo vedeva il pacifico mescolarsi di ceti e classi differenti, ma anche dei tifosi delle diverse squadre,
tutti allegramente insieme, oggi offre
il torvo spettacolo delle curve militarizzate
dai violenti "proletari" del tifo, isolati dalle
tribune frequentate dalle élites sociali cittadine, di regola alto borghesi, politicamente corrette, vicine al potere calcistico e protette
dalla polizia. Lo schema, almeno negli stadi, sembra essere quello ottocentesco delle "due nazioni". Troppo distanti, che continuano a non comprendersi.
I
borghesi piccoli e medi, che dovrebbero rappresentare il nerbo, dello stadio pacificato, invece restano
a casa davanti alla televisione, per paura, pigrizia, convenienza. Ennesimo tradimento di un ceto che ciclicamente torna a nascondersi e mimetizzarsi? Anche allo
stadio? Forse.
Comunque sia, povera Anna Frank. E povera Italia nostra.
Comunque sia, povera Anna Frank. E povera Italia nostra.
Carlo Gambescia