martedì 24 ottobre 2017

L'antisemitismo come risorsa del  tifo estremo
Povera Anna Frank (e povera Italia…)



Il mondo  del  tifo estremo, non da oggi e non solo a Roma, raccoglie individui che proiettano  non tanto sulla propria squadra quanto sugli avversari il modello amico-nemico. In qualche misura il tifoso fa politica, o meglio si muove alla luce di una inesorabile costante del politico.
Il che però  innesca  una feroce  logica conflittuale, che unita al modello setta, o comunque di ordine militare ristretto (altro schema organizzativo di tipo politico-religioso), rinvia sul piano dei contenuti al contro-immaginario novecentesco. Ci spieghiamo meglio.
Si prenda il triste caso della foto di  Anna Frank  rivestita con la maglia della Roma,  oggi su tutti i giornali.  Purtroppo, per il   contro-immaginario novecentesco,  quello che si è opposto ideologicamente allo sviluppo della cultura democratica e liberale,   l’antisemitismo è una risorsa.  Di conseguenza, lo si usa per  screditare gli avversari. Per i tifosi estremi della Lazio accostare  Anna Frank a un tifoso romanista, trattandosi di un “nemico”, resta  la cosa più normale del mondo.
Può essere utile, come si legge,  condurre   il tifoso estremo della Lazio, una volta individuato,   in visita ad Auschwitz?  Può esserlo, sicuramente,  dal  punto di vista del risarcimento simbolico per la comunità ebraica e per l’umanità intera. Oppure,  come importante sanzione  accessoria dal punto di vista del diritto penale. Tuttavia,  nutriamo forti dubbi   sul ruolo, pur importante, dell' educazione, soprattutto là dove prevalga,  come negli stadi,  la logica del conflitto, attraverso la quale si recluta, forma e  fortifica il tifo estremo.
Perché  il vero punto della questione è come disinnescare la logica amico-nemico. Detto altrimenti: come “pacificare” il calcio, evitando che gli stadi si trasformino in campi di battaglia. Il problema non riguarda ( o comunque non solo)  le ideologie, per quanto ripugnanti, professate dai tifosi estremi,  ma la “forma conflitto”. Come tenerla fuori dagli stadi? Ovviamente, non è mai facile difendersi dalla logica polemica (nel senso del polemos, sotteso al conflitto amico-nemico).  Qualcosa però si potrebbe tentare. 
In primo luogo,  evitando qualsiasi esasperazione di tipo  mediatico, intorno al calcio: al momento,  se ne parla troppo e male.  In secondo luogo, escludendo fisicamente il tifo estremo dagli stadi.   In terzo luogo,  favorendo, dopo la  salutare bonifica,   il ritorno negli stadi del tifoso “normale”, oggi purtroppo  appaltati ideologicamente al tifo estremo.  
Forse il fenomeno  più rilevante degli  ultimi due-tre decenni, legato (non solo) allo sviluppo del calcio televisivo,  è quello dell’abbandono di questo rito, un tempo pacifico e domenicale,  da parte del “tifoso medio”, senza grilli per  la testa, se ci si  passa l’espressione.  A poco a poco,  gli stadi sono stati giudicati, soprattutto dalle famiglie,  scomodi e pericolosi.  Per contro,  i prezzi dei biglietti, invece di diminuire a causa del  calo di pubblico, sono cresciuti.  Il che è avvenuto -  si noti -    malgrado  il crescente introito dei  diritti televisivi.   Pertanto, le società di calcio,  adagiatesi su questa tendenza  si sono assunte gravi responsabilità. In che modo? Aumentando i prezzi, ma non per il tifo estremo (in termini reali,  attraverso la concessione patteggiata di benefit),  favorendone in qualche misura, in termini di feudalesimo funzionale,  l'arrogante prepotere.
Dal punto vista dell’eterogeneità sociale, lo stadio,  che un tempo vedeva  il pacifico  mescolarsi di ceti e classi differenti,  ma anche dei tifosi delle diverse squadre, tutti allegramente insieme,  oggi offre il torvo spettacolo delle curve militarizzate dai  violenti "proletari" del tifo, isolati dalle tribune frequentate dalle élites sociali cittadine, di regola alto borghesi, politicamente corrette,  vicine al potere calcistico e  protette dalla polizia. Lo schema, almeno negli stadi, sembra essere quello ottocentesco delle  "due nazioni".  Troppo distanti,  che continuano a  non  comprendersi.    
I borghesi piccoli  e medi,  che dovrebbero rappresentare il nerbo, dello stadio pacificato,  invece  restano  a casa davanti alla televisione, per paura, pigrizia, convenienza.  Ennesimo tradimento di un ceto che ciclicamente torna a  nascondersi  e mimetizzarsi?  Anche allo stadio? Forse.
Comunque sia, povera Anna Frank.  E povera Italia nostra.

Carlo Gambescia