Parlare di nulla
“Ius culturae? Ma mi faccia il piacere!”
L’idea
dello ius culturae è bizzarra. La scuola italiana funziona
male. Non è assolutamente in grado
di trasmettere nozioni di qualsiasi
tipo. Figurarsi allora come
potrebbe veicolare quel senso
e
significato dell’italianità - tra
l’altro, come valore "culturale", scomparso tra gli stessi italiani - che la nuova legge sulla cittadinanza introduce, ancorandolo, per i minori (semplifichiamo), alla frequentazione obbligatoria di un ciclo scolastico. Insomma, come si ama declamare, di "un percorso formativo".
Attenzione,
ciò non significa, che coloro che si
oppongono all’introduzione di questo criterio,
siano da trenta e lode in storia d’Italia. Personaggi come Salvini, per
non parlare dei gruppi esplicitamente razzisti,
ripetono a pappagallo la lezioncina nazionalista del Ventennio fascista.
Di sicuro, appresa non a scuola. La politica è un forma di “autodidattica”, su
contenuti di parte.
Diciamola
tutta: la scuola italiana ha provato ampiamente di non essere in grado di "formare" nessuno. Insomma, di non saper trasmettere alcun valore storico, quindi "culturale": la maggioranza degli italiani non sa nulla
del proprio passato. Vive in una specie di limbo storico. La scuola italiana non è “didattica” né “autodidattica”.
Sforna ignoranti, soprattutto nelle discipline storiche e geografiche.
Ora,
se la cittadinanza dal punto vista di culturale (lo
ius culturae), non la meritano gli italiani, non si capisce perché debbano meritarla gli stranieri, una volta frequentate le stesse scuole, anzi la stessa gigantesca fabbrica
sociale dell’ignoranza storica.
E
qui va fatta una riflessione generale sulla natura di un dibattito politico che
tende ad allontanarsi dalla realtà delle
cose. I famosi "duri fatti", rappresentati in questo caso dalla scarsa o nulla capacità
della scuola italiana di
trasmettere i valori di cittadinanza (un
tempo si chiamavano patriottici). Praticamente si discute di nulla, di qualcosa
che non esiste. Eppure si va avanti, “come se” la scuola fosse in grado,
eccetera, eccetera. Perché?
In
primo luogo, la cultura moderna, sopravvaluta il ruolo formativo
dell’educazione e dell’istruzione scolastica,
fingendo o meno (come più avanti vedremo) di ignorare la natura di
massa delle istituzioni scolastiche: quindi la necessità di semplificare il
messaggio, fino al punto però di renderlo praticamente privo di senso e
significato. Si può parlare
di a
priori cognitivo.
In
secondo luogo, il politico democratico, sempre proiettato in avanti
sulle riforme in cantiere (come impone la logica democratica), tende, seguendo un'argomentazione scalare, a dare per scontati i
precedenti passaggi: quindi la scuola
formerà perfetti cittadini, che si comporteranno come tali, sicché le cose miglioreranno, lungo la romantica logica del lieto fine. Si può parlare di a priori politico-democratico.
In
terzo luogo, esiste una logica interna delle rappresentazioni sociali. Ci spieghiamo: quel che
l’uomo considera reale, a prescindere dal fatto che sia reale o meno, diventa tale, e genera conseguenze sociali reali. La credenza nel valore dell’istruzione
collettiva ha come conseguenza sociale, reale dunque, la sopravvalutazione del ruolo
formativo delle istituzioni
scolastiche, nonostante i fatti provino
l’esatto contrario. Si va avanti perché si deve fare così. Perciò si crede consapevolmente in quel che si sta facendo. Non si finge. Si può parlare di a priori verbale assertivo.
Serve altro? No.
Insomma, per
dirla con Totò, il più grande sociologo italiano del Novecento, dopo Pareto: “Ius culturae?
Ma mi faccia il piacere!”
Carlo Gambescia