Il Premio Strega 2017 a Paolo Cognetti
Uno spettro si aggira per l'Europa: la montagna
Wikipedia ha subito recepito la vittoria al
premio Strega di Paolo Cognetti, ricordandoci che "Le otto montagne uscito
per Einaudi l’ 8 novembre del 2016 è
(…) il suo primo romanzo in senso
stretto: venduto in 30
paesi ancor prima della pubblicazione”.
30 paesi. A breve torneremo sul punto.
Paolo Cognetti scrive bene? Scrive male? Di lui, come scrittore,
sappiamo poco o punto. Non andiamo oltre il “compitino” di Wikipedia. E del romanzo sappiamo ancora meno,
tranne che celebra “il ritorno alla
montagna”. Insomma, la fuga dalla
civiltà. Classico mito romantico, che se nell’Ottocento ( tra l’altro,
secolo dell’alpinismo, come innocuo sport però) avesse vinto, oggi vivremmo tutti come gli stambecchi.
Finisse così: Cognetti ha vinto, viva Cognetti, avanti il prossimo,
il danno sarebbe limitato. E invece no.
Ci sono i cretini mediatici (dall’inviato del Tg1, ai dementi dei Social), che, come da copione decrescista, devono rilanciare un messaggio letterario, tramutandolo però in una specie di Manuale dell'Unica Salvezza Possibile, che unirà tutti i neo-proletari della montagna, trasformando quest’ultima nell’ennesimo spettro (post-marxiano) in giro per l’Europa.
Ci spieghiamo meglio: il Social-cretino, andando oltre (forse) i desiderata di
Cognetti, celebra “il ritorno alla
montagna”, come ideologia politica. Il tutto, tra poco, moltiplicato per 30 paesi.
Basta aver letto Arnold J. Toynbee, dove parla di civiltà arrestate e
di sfide ambientali, per capire, che la
civiltà, quella che lascia il segno e, quando tramonta, passa il testimone (e che testimone…), nasce dove c’è il mare, il fiume, la pianura, persino
la steppa, il deserto, la foresta, ma non tra ghiacci e vette. E se pure qualcosa si sviluppa ci si limita alle funzioni essenziali: pascolare il bestiame se possibile, coltivare quel che si può, proteggersi dalle intemperie e, nelle ore libere, pregare il dio degli elementi naturali. Chiamala se vuoi sopravvivenza.
Pensiamo a luoghi panoramici, ottimi per ritemprarsi e ritrovare se stessi, ma non per scalare il cielo della storia umana: conquistare popoli, creare arte, cultura, diritto, eccetera,
eccetera. Eventualmente, la montagna può
essere un punto di fuga, un luogo da dove scappare, gettandosi verso la pianura
e il mare, come insegna la storia della montuosa Ellade. Un punto di partenza. Al quale ritornare, dopo n-generazioni, con giacche a vento, sci e dopo-sci.
Ora, Cognetti è uno scrittore, fa il suo mestiere (bene o male,
chi siamo noi per giudicare…), ma il cretino mediatico che rilancia, un messaggio estetico (per alcuni, estetizzante), trasformandolo
in politico, andrebbe letteralmente preso a calci tra i denti (pardon). Perché una cosa è la “filosofia delle vette” (
che tra l’altro, non l’ha scoperta Cognetti), un’altra è proporre il montanaro
e la vita tra le montagne, come reale modello di civiltà. Addirittura, come un “mondo possibile” per tutti: un'alternativa pratica, fattibile, sciué sciué.
Per carità, nessuno ne parli con quelli di Cinque Stelle.
Carlo Gambescia