mercoledì 26 luglio 2017

La riflessione
Complottismo e anticomplottismo, 
pari sono?


Il punto di vista dell'osservatore
La domanda posta nel titolo è insidiosa. Perché dal punto di vista ideologico, della razionalizzazione (giustificazione) della realtà,  quindi restando sul piano del fenomeno osservato,  complottismo e anticomplottismo sono due posizioni  che si  affrontano e negano l’un l’altra, impiegando gli strumenti retorici più diversi. Talvolta i due estremi finiscono addirittura per sfiorarsi.
Il discorso muta invece, se si ragiona dal punto vista dell’osservatore del fenomeno. Dello studioso. che deve giudicare le razionalizzazioni secondo la loro lontananza-vicinanza dalla realtà: nel caso, la realtà sociale. Ovviamente, la  nostra impostazione,  che definiamo sociologica, presuppone due pre-assunti cognitivi, che per ragioni di correttezza scientifica non possiamo non sottolineare: 1)  la distinzione tra la realtà dell’osservato (razionalizzata, secondo finalità retoriche e conflittuali,  che quindi si "sovrappone"  alla realtà)   e quella di chi osserva (che "combacia" o quasi con la realtà) ; 2)  un'idea, come poi vedremo,  della  realtà sociale, come entità oggettiva,  quindi sufficientemente vicina alla realtà fino al punto di aderire a essa,  che può servire di guida a colui che osserva, per giudicare le argomentazioni degli osservati.
Pertanto, ripetiamo,  studieremo il fenomeno dal punto di vista dell'osservatore e di una teoria sociologica  della realtà sociale come entità oggettiva. E, nei "limiti" di questo approccio, proveremo a dare una riposta alla questione.  Una risposta non la risposta.

Julius Evola e Adam Smith  
Ora, cosa sostiene, in ultima istanza,  il complottismo?  Che i fili della realtà sociale sono ben tenuti, per i propri fini, da un  ristretto gruppo di individui, dotato di larghi mezzi, che decide per tutti gli altri. Cosa sostiene invece l’anticomplottismo? Che i fili della  realtà sociale sono mossi  dalle  azioni di  milioni e milioni  di individui,   tesi, a perseguire, con risorse molto differenti,  i propri interessi, nel senso che ognuno decide per se stesso.  Per dare un senso simbolico alla nostra affermazione:  da un alto c’è Julius Evola, prefatore dei “Protocolli”, dall’altro Adam Smith con sottobraccio la sua “Ricchezza delle nazioni”.  
Quale delle due teorie, per così dire, è più vicina alla realtà sociale così com’è, quale entità oggettiva. Sicuramente quella anticomplottista. Perché seppure esiste  un incappucciato,  il suo nome è "società". Ci spieghiamo  meglio.
Si prenda come esempio di fenomeno sociale il "capitalismo" (per usare la terminologia marxiana). Esso  non è  il magnifico frutto proibito  di una decisione presa a tavolino, del tipo “fondiamo il capitalismo”,  secondo  dettami  costruttivistici.  In realtà, si tratta  di un sistema economico-sociale  che si è prodotto, a livello macro,  non attraverso le leggi del materialismo storico (come sosteneva Marx) e neppure per mezzo delle decisioni segretissime di un gruppo di massoni, ebrei, senza dio assortiti (come sosteneva il pensiero reazionario),  ma si è sviluppato, a livello micro,  mediante le scelte,   poi  premiate (ma solo dopo), di milioni e milioni di individui: si potrebbe parlare di micro-decisioni confluite, senza alcuna intenzione più generale, nella macro-costruzione di un sistema storico. Giorno dopo giorno, senza che nessuno sapesse nulla della meta. L'opposto, quindi, dell'ipotesi costruttivista.

Logica del successo?
In altri termini, il capitalismo ha provato, attraverso un meccanismo di selezione evolutiva, di essere migliore di altri sistemi. E quindi di venire scelto come tale.  Ma solo dopo alcuni secoli. Marx fu il primo a trovargli un nome,  a posteriori e da nemico. Logica del successo? Certo. E proprio perché tale, non esclude che, sempre per quell’effetto di ricaduta dei  milioni e milioni di decisioni inintenzionali ( nel senso dell'assenza di "una" finalità collettiva prestabilita),  il capitalismo, in futuro, sempre ad opera di un meccanismo di selezione evolutiva, possa (preferiamo, il congiuntivo delle scienze sociali serie) essere sostituito da un altro sistema.  
Insomma, la "fabbrica sociale" - siamo  nel cuore cuore della nostra analisi -   funziona così. Eccoci finalmente dinanzi alla società come entità  oggettiva, o se si preferisce,  quale  "fatto sociale".  Ripetiamo, non esiste perciò un gruppo di "incappucciati", addirittura con nomi e cognomi, bensì un "sistema incappucciato" contraddistinto da interazioni decisionali individuali, dalle finalità collettive imprevedibili. Ciò significa, se non fosse ancora chiaro,  che  il complottismo, che parla di finalità prestabilite  ( quindi prevedibili), addirittura decise intorno a un tavolo da un gruppo di "illuminati",  è una forma di costruttivismo. Se si vuole, al suo grado zero.
Il che indica, sotto il profilo scalare (dal grado zero in su), che quel che rimane più difficile, se non impossibile, è l’imposizione dall’alto  di un  qualsivoglia sistema ( tipo “fondiamo questo, fondiamo quell’altro”).  L’analisi e i disegni costruttivisti, proprio perché si allontanano dalla realtà, come mostra l’ esperienza sovietica (il "top" in tale ambito),  hanno sempre durata limitata (certo, parliamo sempre di “tempi storici”). Insomma,  le società-fatto oggettivo, come insieme di meccanismi dotati di forza propria, perché frutto di milioni e milioni di micro-decisioni, non possono essere governate dall'alto, come caserme. Ad esempio, il grande storico Jacques Pirenne, scorgeva, addirittura all'interno della storia sociale dell'Antico Egitto, l'alternarsi di periodi segnati dall'assolutismo e da un individualismo che prepotentemente tornava sempre a riaffacciarsi. Anche tra le piramidi.
Per fortuna,  come la storia insegna, pur tra alti e bassi,  la libertà, che è, sostanzialmente, libertà di scelta, si vendica sempre, checché ne pensino i vedovi e le vedove inconsolabili dei francofortesi.

Il mago della pioggia e l'ingegnere
Perciò - ecco la lezione del "politico" -   se talvolta, si deve ricorrere alla costrizione, è bene  che si tenga sempre presente la logica del male minore e dei tempi brevi.  Regola, come insegna lo studio delle costanti o regolarità metapolitiche, che vale per ogni tipo di sistema politico-sociale ed economico. Ad esempio,  l'esistenza delle michelsiana ferrea legge dell'oligarchia, costante metapolitica per eccellenza,  rinvia alla forma dei rapporti politici e sociali, se si vuole al lato gerarchico, statico,  trans-storico,  del comando e dell'obbedienza,  non ai suoi contenuti,  intra-storici quindi  dinamici,  mutevoli, imprevedibili,  perché  esito dell'effetto di ricaduta del meccanismo micro-decisionale.        
Questo è quanto  dal punto di vista di chi osserva, il nostro, come già detto. Ovviamente, tra gli osservati, e qui pensiamo al conflitto  tra  complottismo e anticomplottismo, le posizioni risentono degli eccessi retorici  della sfida, anche verbale: il conflitto non è tra verità e realtà sociale, tra dover essere ed essere, ma tra due forme di dover essere. Sicché, il complottista finisce per  sentirsi dalla parte della ragione storica, ignorando i pericoli  del costruttivismo,  mentre gli anticomplottisti da quella della ragione scientifica,  sottovalutando il fallibilismo.
In realtà,  gli uni e gli altri mostrano, purtroppo,  di  non aver  mai  trovato  il tempo per approfondire le tesi di Popper sulla miseria dello storicismo (antinaturalistico e pronaturalistico).  Non è una battuta ( o almeno non solo),  perché l'aureo testo popperiano  spiega, alla stregua delle opere più sociologiche di Pareto, Hayek,  Schumpeter, come la predizione nell'ambito delle scienze sociali sia relativamente  più facile rispetto alla comprensione di ciò che non può avvenire mai, piuttosto che a quella di ciò che può accadere. Del resto, anche Mises, da par suo,  spingendosi più là,  prende le difese delle logicità argomentativa sul piano dei concetti, rispetto al calcolo statistico, giudicato, sul piano previsionale, imperfetto ed erroneo.
Ma, ripetiamo, con questi autori,  siamo  nell'ambito dell'osservazione del fenomeno sociale, e di una teoria sociologica  della realtà sociale come entità oggettiva   non in quello delle razionalizzazioni degli osservati, spesso di basso livello e di natura tattica. Ciò non toglie che il buon giornalismo investigativo -  che sta alla scienza della società, come il mago della pioggia, che ogni tanto "ci prende", all'ingegnere, metodico costruttore di bacini e dighe -  non possa indagare e scoprire congiure, come dire, "localizzate". Anche Adam Smith preconizzava e temeva gli accordi segreti tra imprenditori monopolisti. E invitava opinione pubblica e potere politico a vigilare. Ma da qui a teorizzare, con Julius Evola,  un complotto mondiale, ce ne vuole.  

Il mistero sociologico
Chi osserva sa, soprattutto  il  sociologo, che la società, nelle sue varie forme storiche, quanto ai suoi fini, rimane una macchina misteriosa, affidata a milioni di "guidatori". Altro che il gruppetto di incappucciati soli al comando...  Sicché, inevitabilmente,  il sociologo-osservatore non potrà non nutrire comprensione per gli anticomplottisti,  che,  magari senza neppure saperlo,  contrastano il rigido costruttivismo complottista,  nonché, cosa fondamentale, il suo rifiuto del "mistero".
L'anticomplottismo, infatti,  prende atto,  anche se  in modo indiretto,  dell'unico vero grande mistero, almeno su questa terra: quello sociologico.  Che consiste  nell'indecifrabilità del senso collettivo delle azioni umane.  Un mistero, glorioso e doloroso insieme,  davanti al quale lo studioso di scienze sociali, il vero studioso, deve  "religiosamente"  inchinarsi.


Carlo Gambescia