La scomparsa
di Denis Mack Smith
Lo storico
del "due pesi, due misure"
“E'
morto a 97 anni lo storico inglese Denis Mack Smith, grande esperto di storia
italiana, autore di saggi bestseller come 'Storia d'Italia dal 1861 al 1997'
(Laterza). Nato a Londra il 3 marzo 1920, laurea a Cambridge, collaboratore di Benedetto Croce, membro della British
Academy, Mack Smith ha vissuto a lungo in Italia e ha studiato i grandi
protagonisti della nostra storia, come Garibaldi, Mazzini,
Cavour (Il Risorgimento italiano, Laterza, Cavour e Garibaldi per Rizzoli,
opera duramente criticata dallo storico Rosario Romeo).
Poi
anche gli esponenti di casa Savoia (I Savoia Re d'Italia, Rizzoli) e in
particolare Vittorio Emanuele II (Vittorio Emanuele II, Laterza). Dedico' molti
saggi a Mussolini ('Le guerre del duce' e 'A proposito di Mussolini' editi da
Laterza e 'Mussolini'(Rizzoli). Le sue opere divulgative non erano accolte con
favore dagli accademici italiani tanto che fu protagonista di un
celebre contrasto con Renzo De Felice per il suo ritratto di Mussolini. Fu docente al All Souls College dell'università
di Oxford fino al ritiro, nel 1987, e la firma di una Storia della Sicilia del 1968.”
Così
l’Ansa.
La
prima agenzia stampa italiana fornisce un ritratto dello storico inglese
scopiazzato da Wikipedia. Vergogna. Ormai il giornalismo culturale è
scomparso.
Quel
che però più rattrista è che Denis Mack Smith non fu sicuramente un divulgatore, ma storico serio con ottimo curriculum accademico, capace di rinverdire la
tradizione dei grandi storici
britannici, di ispirazione liberale, studiosi del Risorgimento. Si
pensi, ad esempio, al Bolton King, del quale si legge ancora con diletto la Storia dell’Unità
Italiana.
Va
però riconosciuto che il liberalismo di Mack Smith, piuttosto spostato a sinistra, era da lui vissuto in modo fazioso. Troppo. Fino al punto di riflettersi, devastandola, sulla sua analisi della storia
d’Italia, come dire, tutta in bianco e nero: democratici da un lato, in cattedra, i moderati e (poi) i fascisti dall’altro, dietro la lavagna. I primi, dalla parte del progresso, tra squilli di tromba e rullio di tamburi, i
secondi, gretti e stupidi, portatori di una visione arretrata e autoritaria. Ergo: Mazzini contro Cavour e pure contro Garibaldi, troppo sensibile, secondo Mack Smith, al richiamo del militarismo. Dopo di che, giù a menar colpi di sciabola contro Casa Savoia, Crispi, Mussolini, perfino Giolitti e De Gasperi. Si tratta di uno schema, social-progressista, del due pesi, due misure: severo con i moderati, indulgente con i democratici che
ritroviamo, ad esempio anche in storici inglesi,
più giovani, come Paul Ginsborg. Insomma, lo storico britannico, sapeva come si "mieteva" storiograficamente, ma non voleva "mietere", o "mieteva" solo quel che confortava le sue tesi.
Pertanto
Mack Smith, che conobbe Croce, all’Istituto per gli Studi Storici, senza però diventarne collaboratore in senso
stretto (anche per ragioni anagrafiche), assurse nell’Italia degli anni Sessanta-Settanta dell’altro secolo, a cocco della sinistra, in particolare
del Pci, che non poteva non apprezzare,
uno schema storico, cripto-gramsciano, nel quale bastava
sostituire, per favorire l’apoteosi finale, al termine di democratico quello di
comunista.
Certo,
Mack Smith, non fu mai organico al Pci, come un Paolo Spriano ad esempio, ma si fece gaiamente usare dalla
sinistra a metà degli anni Settanta, in
occasione del linciaggio politico e culturale, in grande stile, di Renzo De Felice: reo di lesa maestà antifascista. Solo per aver osato parlare (provandolo), nella sua biografia mussoliniana, di un consenso
popolare al regime fascista. Fu veramente un brutta pagina. E Mack Smith,
ricorrendo a un metodo inquisitorio degno allora dell’ “Unità”, oggi del “Fatto”, si prestò, consapevole o meno, a una caccia alla volpe storiografica. Intellettualmente, fu una specie di anticipazione, di quelle battute venatorie, oggi così in voga, ai più diversi animali politici, sgraditi agli orfani del Pci, confluiti sotto varie bandiere. E Mack Smith era lì che soffiava nel corno di ottone. Che tristezza.
Sulla sua opera storiografica, in particolare la Storia d’Italia dal 1861 al 1958, basti
il tagliente giudizio di Walter Maturi, lui sì
stretto collaboratore di Croce. Racchiuso nelle pagine di un libro cristallino, dotto, perfino divertente, apparso più di mezzo secolo fa, che andrebbe ristampato, perché introvabile: “Le interpretazioni del Risorgimento. Lezioni di Storia della
storiografia. Va ricordato infine che Maturi, sebbene più grande di età, era della stessa "razza" storiografica dei Romeo e dei De Felice. E ancora prima dei Ghisalberti e degli Chabod. Storici liberali, senza aggettivi (di destra o sinistra).
Scrive Maturi:
« Una carica a fondo il Mack Smith fa contro le imprese coloniali dell’Italia. Fatto il bilancio storico di tali imprese, possiamo dire che all’Africa abbiamo dato più che preso. Sarebbe stato meglio che i denari spesi in Africa fossero stati spesi per le zone arretrate del nostro paese (Basilicata, Calabria, Sardegna, ecc.). Tuttavia le prediche all’astinenza coloniale fatte da un inglese, sia pure retrospettivamente, hanno la stessa efficacia che le prediche all’astinenza dai cibi e dai vini prelibati fatte da quei frati belli e grassi, col naso rosso, di cui narravano le gesta piacevolmente i nostri novellieri del Trecento e del Cinquecento» ( Einaudi, Torino 1965, p. 691).
Insomma, due pesi due misure. Il che può aver pure portato acqua al mulino delle vendite, in un paese, come il nostro diviso in fazioni dove si comprano i libri a dispetto dell'avversario politico, per poi non leggerli. Solo per esibirli. Il fatto che Mack Smith abbia venduto come Montanelli, o poco meno, la dice lunga su un lettore-tifoso, a destra come a sinistra, che forse non ha eguali altrove. Di sicuro però, la mancanza di obiettività negli storici, ma anche nei lettori, disabituati a esercitare il senso critico, non ha mai
portato acqua, acqua limpida, al mulino della grande storiografia. E pure della maturità politica degli italiani.
Carlo Gambescia