La polemica sulla diffusione dei nomi
degli agenti
L’insostenibile leggerezza del segreto
Polemica
tragicomica. Tragica perché si è trattato, comunque, di un evento sanguinoso, con un morto e un ferito, che in altra situazione avrebbe visto gli
stessi poliziotti, presentati come eroi,
indagati da qualche magistrato progressista. Comica, perché, nella società dello
spettacolo, il segreto non è di casa. Chiedere a Pulcinella. Si
potrebbe parlare di una sua insostenibile leggerezza…
Si
dirà, magari giustamente,
che la privacy degli agenti andava tutelata e che darne i nomi in pasto ai mass media - per non parlare dei Social - li ha trasformati in bersagli.
Il
punto però non è questo (o almeno non solo). Troppo comodo discutere la cosa in termini di diritto privato... Diciamo che l’intera operazione andava gestita meglio
sotto il profilo della segretezza. Ma come? Se nessuno, dal Ministro dell’Interno
al semplice piantone, sembra non essere più capace di rinunciare alla sua libbra di pubblicità?
Oggi, l’ Apparire, come dicono i filosofi post-moderni, è preferito all' Essere. Ecco il succo della società dello spettacolo. Nulla di male, per carità, ma la politica - anzi il politico - ha le sue regole. I nemici, prescindendo dal campo di battaglia (dove la guerra è aperta), vanno eliminati in silenzio, almeno a far tempo dall’invenzione dell’arco e delle frecce. E, soprattutto, il silenzio deve scendere, per così dire, su coloro che si occupano della bisogna. Il mistero, oltre a favorire lo spirito di corpo, accresce nella possibile vittima (nemica) il valore di una minaccia, legato alla sua sparizione nel nulla, sparizione che ne vanifica qualsiasi promessa di ruolo pubblico. Il silenzio, uccide la memoria della vittima.
Oggi, l’ Apparire, come dicono i filosofi post-moderni, è preferito all' Essere. Ecco il succo della società dello spettacolo. Nulla di male, per carità, ma la politica - anzi il politico - ha le sue regole. I nemici, prescindendo dal campo di battaglia (dove la guerra è aperta), vanno eliminati in silenzio, almeno a far tempo dall’invenzione dell’arco e delle frecce. E, soprattutto, il silenzio deve scendere, per così dire, su coloro che si occupano della bisogna. Il mistero, oltre a favorire lo spirito di corpo, accresce nella possibile vittima (nemica) il valore di una minaccia, legato alla sua sparizione nel nulla, sparizione che ne vanifica qualsiasi promessa di ruolo pubblico. Il silenzio, uccide la memoria della vittima.
Naturalmente,
siamo dinanzi a regole contrarie al galateo democratico dove la pubblicità è
tutto, il segreto nulla. Addirittura il galateo progressista attribuisce alla
verità un valore rivoluzionario. Il che è vero, ma il sapere come comportarsi
al tavolo delle regole democratiche, dicendo sempre la verità, non salva dal possibile rovesciamento di quel tavolo da
parte dei nemici della democrazia, che usano il tavolo - e la verità - in base a convenienze
antidemocratiche.
Pertanto
della verità, e della opportunità di riferirla, decide sempre lo stato di eccezione: quando il
nemico ci indica e aggredisce. Di conseguenza, chi usa il segreto, per coprire verità
scomode, come l’eliminazione di pericolosi avversari (inclusi i nomi di coloro
che, per così dire, "provvedono alla bisogna"), ma utili per difendere le istituzioni democratiche dai suoi
nemici, compie azione meritoria. Tuttavia, nella società dello spettacolo chi è in
grado di tacere? E nella società democratica
chi è grado di giudicare lo stato di eccezione ?
Carlo Gambescia
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