Il referendum del 4 dicembre e il centro-destra (dei Tafazzi) che
vota No
L’immagine
più facile è quella di Tafazzi, ritratto
del masochismo. Ma forse la definizione vale più per Berlusconi e Forza Italia, dalle
ascendenze liberali, sempre però tradite.
E non per personaggi come Salvini e Meloni, coerenti con un’ideologia
fascistoide e arruffapopoli, che oggi forse fin troppo nobilmente viene denominata populismo. E da qualche settimana, come al gioco delle
tre carte, trumpismo. Senza sapere un
cazzo (pardon) di Trump, imprenditore duro e puro, e dell’America che lo ha votato, contraria a
qualsiasi forma di assistenzialismo all’italiana. E con buona pace della famiglia
politica Le Pen, sempre ammirata dalla destra neofascista
italiana (ora però indecisa fra Trump, Putin e la nuova "Giovanna D'Arco", Marion...).
Il
masochismo è nell’inseguire Grillo e il suo popolo di esaltati in una specie di gara a chi
sia capace di insultare Renzi, usando l’epiteto
più feroce. E chi può avvantaggiarsi
dell’insultomania del trio Berlusconi-Salvini-Meloni? Grillo,
of course. Perché il centro-destra la credibilità (globale) l’ha perduta da un pezzo con le pessime prove
di governo. Ci spieghiamo meglio: l’elettore che vota Grillo,
e che, soprattutto potenzialmente, potrebbe votarlo, il vittimista arrabbiato che vuole pensioni alte e tasse basse, considera
un capitolo chiuso l’esperienza
del centro-destra, giudicata come fallimentare o comunque fin troppo morbida. L'individualista protetto, che socializza le perdite e individualizza i profitti, preferisce
votare Grillo, perché è l'ennesimo Masaniello, ma nuovo di
zecca. E poi c'è l'Eldorado grillino: il Reddito di Cittadinanza... Non sia mai.
Pertanto, quanto più il centro-destra si unisce al coro sguaiato dei grillini, tanto più rischia percentuali da prefisso telefonico. E soprattutto, di perfezionarsi nell' arte poco nobile dell'utile idiota: quella di spalancare le porte del potere ai pentastellati, come avvenuto alle comunali romane.
Pertanto, quanto più il centro-destra si unisce al coro sguaiato dei grillini, tanto più rischia percentuali da prefisso telefonico. E soprattutto, di perfezionarsi nell' arte poco nobile dell'utile idiota: quella di spalancare le porte del potere ai pentastellati, come avvenuto alle comunali romane.
Attenzione, il
che non significa (e non significava) appiattirsi sul Governo Renzi, come Alfano & Co., bensì
esercitare un' opposizione responsabile, oggi, e lavorare, domani, quindi in prospettiva, a un’alternativa di
tipo liberale, e non fascistoide. E nel
caso di specie, se ci si perdona lo stile
avvocatesco, il senso di responsabilità imponeva di invitare i propri elettori a votare Sì, e non l'evocazione - pensiamo a Berlusconi - del “tentativo autoritario”. Uno sproposito. Detto poi dal principale artefice di una riforma costituzionale, quella del 2006, a sfondo presidenzialista.
Il Trio Lescano, con il Cavaliere gonfio di cortisone al centro, quanto a linguaggio, contenuti e strategia politica, dovrebbe imparare molto - proprio tornare a scuola - dall’esperienza del centro-destra spagnolo della Transizione
e degli anni Ottanta-Novanta del Novecento, fondativa del futuro Partido Popular: partito moderato che fece chiare
scelte liberali, mai populiste (o peggio ancora fascistoidi), proprio negli anni non facili della lunga egemonia del partito
socialista, capeggiato all’epoca dall'altrettanto brillante Felipe González. Il PP lavorò durò, in
silenzio, e nel 1996, con Aznar, vinse le elezioni e cambiò la Spagna , in senso liberale. Oggi Rajoy vive ancora di quell’eredità.
E in Italia? Certa destra, imbevuta di un romanticismo politico che sta al fascismo come uno spot di Dolce & Gabbana sta alla Sicilia del dopoguerra, continua a giocare al fascio-comunismo, magari sperando di tornare al potere con la famigerata terza ondata (“Questa volta non faremo prigionieri!”). Naturalmente, si argomenta di rivoluzione, sorvolando su pensioni della Rai, vitalizi parlamentari e quant’altro, acquisiti per meriti impropri quando il post-odiato Gianfanco Fini era il "Delfino" del padrone della ditta, e non un Badoglio qualsiasi. Prebende, ovviamente, oggi ambite, da quelli che allora non ce la fecero a salire sul treno berlusconiano e che sperano di rifarsi. Per contro, parliamo di denari - e quindi di coloro che invece ce l'hanno fatta - oggi accreditati mensilmente sul conto corrente di una vituperatissima banca. Così con nonchalance: nuova mistica post-fascista del portafogli oltre l'ostacolo. Denari, che, se si tornasse alla Lira, come auspicano sulla scia di Grillo, gli orfani "sovranisti" della rivoluzione fascio-leghista, si tramuterebbero in cartastraccia.
Diciamo che Tafazzi se la passa benino. Per ora.
E in Italia? Certa destra, imbevuta di un romanticismo politico che sta al fascismo come uno spot di Dolce & Gabbana sta alla Sicilia del dopoguerra, continua a giocare al fascio-comunismo, magari sperando di tornare al potere con la famigerata terza ondata (“Questa volta non faremo prigionieri!”). Naturalmente, si argomenta di rivoluzione, sorvolando su pensioni della Rai, vitalizi parlamentari e quant’altro, acquisiti per meriti impropri quando il post-odiato Gianfanco Fini era il "Delfino" del padrone della ditta, e non un Badoglio qualsiasi. Prebende, ovviamente, oggi ambite, da quelli che allora non ce la fecero a salire sul treno berlusconiano e che sperano di rifarsi. Per contro, parliamo di denari - e quindi di coloro che invece ce l'hanno fatta - oggi accreditati mensilmente sul conto corrente di una vituperatissima banca. Così con nonchalance: nuova mistica post-fascista del portafogli oltre l'ostacolo. Denari, che, se si tornasse alla Lira, come auspicano sulla scia di Grillo, gli orfani "sovranisti" della rivoluzione fascio-leghista, si tramuterebbero in cartastraccia.
Diciamo che Tafazzi se la passa benino. Per ora.
Carlo Gambescia
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