lunedì 19 dicembre 2016

Gli "Annali dell'economia italiana",  alla scoperta di  un gioiello storiografico
Gaetano Rasi, studioso che la destra neofascista non si meritava…



Lo scorso 20 novembre è scomparso Gaetano Rasi (1927-2016), docente universitario di sociologia economica,  uno dei pochi a destra (la destra neofascista),   con Giano Accame ed Ernesto Massi,  a capire l’importanza dello studio dell’economia e della sociologia, ovviamente non come umili ancelle della mistica del vincere-e-vinceremo. E in un ambiente dove si riteneva e ritiene che economia politica e capitalismo pari  sono  e che la sociologia sia  roba da comunisti.  Inutile, spiegare loro, che non è così. Oppure provare a far andare un "fascio"  oltre la copertina con il capoccione di Mussolini. Fidatevi.
Rasi, persona coltissima, collaboratore di giornali e riviste scientifiche, fondatore, tra gli altri,  dell’ Istituto di Studi Corporativi,   si adoperò -   sintetizzando  (e semplificando) il suo pensiero -   per conciliare il corporativismo con la dottrina keynesiana, sullo sfondo di una cultura politica mazziniana, per limitarsi a un  apporto intellettuale pre-fascista, però fondamentale per capire  l’evoluzione del suo pensiero in direzione  di una società partecipativa all’insegna del corporativismo democratico, e quindi della composizione del conflitto sociale,  nel quadro  di una politica economica di tipo keynesiano (qui il suo sito: http://www.gaetanorasi.it/ ).
Frontespizio, dal volume I
Ora, si può non essere d’accordo con l’impostazione di Rasi, per carità. Siamo i primi.  Però,  non si può non  riconoscere di trovarsi dinanzi a un pensiero brillante, assai lontano dagli esibizionismi e narcisismi di un microcosmo tristemente abituato alle frasi fatte e alle parole d’ordine. Per dirne una: Adriano Romualdi, che, intellettualmente parlando,  nel mondo neofascista,  non era certamente l' ultimo arrivato, liquidò, la cosiddetta sinistra nazionale, da cui Rasi proveniva, asserendo che  bastava e avanzava la socialdemocrazia.
Dicevamo della sua scomparsa. Nei necrologi - basta farsi un giretto  web -   si elogia il camerata,  la fedeltà all’idea eccetera, eccetera,  ma non si fa cenno, oppure lo  si cita di sfuggita, magari sbagliando il titolo, quasi  come una cosetta priva di qualsiasi valore, a quel gioiello della storiografia economica, da lui diretto: gli Annali dell’economia italiana, in continuazione dei famosissimi annali fondati da Epicarmo Corbino, studioso, uomo politico liberale, ministro nel secondo dopoguerra.  Infatti, i primi cinque volumi dell’opera ripropongono i testi del Corbino, gli altri  - parliamo di un’opera in 14 volumi, tomi complessivi 26, inclusa l’appendice iconografica, pubblicata dall'Ipsoa tra il 1981 e il 1987 -  sono diretti da Rasi e curati da un gruppo di eccellenti collaboratori, come ad esempio Giano Accame, Giuseppe Parlato (oggi Presidente della Fondazione Spirito-De Felice, di cui Rasi era Presidente Emerito), Francesco Perfetti, Guido Pescosolido, Giorgo Vitangeli. Un’opera che non ha uguali, se non piuttosto scialbi, caratterizzata da un' intelligente sensibilità di destra,  aperta ad altri contributi politici, come ben comprovano i testi dei tre volumi dell’appendice  documentaria e iconografica, I-III   ( http://gaetanorasi.it/annalieconomiaitaliana.pdf ). 
Gaetano Rasi (a sinistra) con Giuseppe Parlato

In pratica, studiosi e lettori comuni (anche colti),  possono disporre di una visione completa (più che panoramica) e ragionata della storia dell’economia italiana, e più in generale dei suoi legami con la società e la politica,  dal 1861 al 1977.  Un'opera storica solida, ben curata e scritta,  dove le ragioni strutturali del ciclo economico, vincolate a quello dello sviluppo, necessario perché fondamentale per la modernizzazione italiana, trovano una ricomposizione, diremmo armonica,  che va al di là di qualsiasi presa di posizione ideologica (liberista o statalista che sia, per usare termini giornalistici). Insomma, un'opera da riscoprire. E magari, proseguire fino ai giorni nostri. 
Concludendo, serietà storiografica e grandi capacità di lavoro e applicazione. Ecco la ricetta, semplicissima,  di Gaetano Rasi, fascista intelligente, weberiano (capace di distinguere tra etica della responsabilità e dei princìpi),  dialogante, come del resto era Giano Accame,  e soprattutto  aperto alla lezione delle scienze sociali. E mai  in chiave strumentale.   L’esatto contrario di ciò che accadeva e accade in un ambiente, politico e umano,  che ideologizza tutto, ma in modo superficiale, e che  sopravvive tra i relitti di  un passato mummificato.  E che, per dirla tutta, uno studioso come Rasi, probabilmente non se lo meritava.

Carlo Gambescia                    
    


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