La guerra Mediaset-Vivendi
Patriottismo, estremo rifugio delle canaglie
Non
siamo esperti di economia, ma le guerre economiche ci appassionano, perché
rappresentano la prova del nove, come dire, della fede imprenditoriale nel libero mercato.
Ne
è scoppiata proprio una tra Vivendi e Mediaset, tra Bolloré e Berlusconi. Non siamo però davanti a una scalata in grande stile, sul genere di quelle
americane, dove un capitalismo, spezzettato in pacchetti azionari diversi e
antagonisti nella stessa impresa “aggredita”, è sempre sul piede di guerra. Per dirla con Attalo, grande caricaturista del secolo scorso, le nostre sono guerre pacioccone (si pensi alla distinzione di lana caprina, tutta italiana, tra scalate ostili e non, del tipo rivoluzione con il consenso dei carabinieri...).
Inoltre, Mediaset è un classico caso di capitalismo familiare, quindi se Bolloré riuscisse ad aprirsi una breccia, dopo si troverebbe costretto ad accamparsi tra i nemici e dover trovare un qualche accordo per tirare avanti. Probabilmente, dietro la strategia del francese c’è dell’altro: senso di rivalsa, per qualche ruggine anche recente (l’affare della televisione a pagamento andato a monte); interesse a crearsi una testa di ponte in Italia (ma non sarebbe la prima partecipazione di Vivendi); tentativo di ricatto economico verso altri, nel senso che si attacca Berlusconi, per lanciare segnali a qualcun altro. Sapendo poco o nulla di queste cose, lasciamo la parola, in argomento, ai giornalisti economici, molto più preparati di noi, soprattutto sul gossip finanziario.
Inoltre, Mediaset è un classico caso di capitalismo familiare, quindi se Bolloré riuscisse ad aprirsi una breccia, dopo si troverebbe costretto ad accamparsi tra i nemici e dover trovare un qualche accordo per tirare avanti. Probabilmente, dietro la strategia del francese c’è dell’altro: senso di rivalsa, per qualche ruggine anche recente (l’affare della televisione a pagamento andato a monte); interesse a crearsi una testa di ponte in Italia (ma non sarebbe la prima partecipazione di Vivendi); tentativo di ricatto economico verso altri, nel senso che si attacca Berlusconi, per lanciare segnali a qualcun altro. Sapendo poco o nulla di queste cose, lasciamo la parola, in argomento, ai giornalisti economici, molto più preparati di noi, soprattutto sul gossip finanziario.
Il
dato sociologico interessante è invece rappresentato dalle reazioni politiche. In Italia (ma non solo), nelle guerre economiche, si chiede l’ intervento dello stato quando le aziende aggredite, come si usa dire pomposamente, "hanno importanza strategica". E le
comunicazioni in senso lato ( molto lato, quello dello stato padrone in grigioverde) lo sarebbero. Quindi non si può escludere - sebbene Berlusconi abbia ancora tanti, troppi
nemici- qualche paterno aiutino dall’alto.
Di
solito, l’aggredito (soprattutto in Italia) prima chiede l’intervento della magistratura,
gridando all’aggiotaggio (roba da Brancaleone alle Crociate…), poi delle Autorità di Controllo,
evocando la turbativa di libero mercato, strizzando l'occhio a Smith (quando invece le scalate rappresentano l’esatto contrario, lo esaltano). Dopo di che segue il rito della pioggia di dichiarazioni e denunce, nell’ordine: della Banca d’Italia (notare, per ora, il più che giusto silenzio del Bce), del Ministero dell'Economia, del Premier di turno. Il tutto per dissuadere l’aggressore, puntando a influenzare, interferendo politicamente, l'andamento borsistico del malloppo azionario conteso.
Diciamo
che le guerre economiche, non solo in Italia, fanno scattare, negli imprenditori, anche se liberisti a
parole, un preciso riflesso carnivoro, quello patriottico/statalista. E qui ci aiuta, probabilmente senza volerlo, Samuel Johnson. Il quale parlò del "patriottismo", come "estremo rifugio
delle canaglie”. Espressione che si attaglia benissimo a certi imprenditori che
difendono il libero mercato, ma a
corrente alternata: solo quando conviene. Di regola, si tratta di parassiti che
tendono sempre a privatizzare i profitti e socializzare le perdite, invocando l'intervento di papà-stato. Ecco,
Berlusconi, avrebbe davanti a sé, l’occasione per riscattarsi. Almeno
economicamente. Anche andando a fondo. Ma in piedi, solitario, sul ponte di comando della
nave, come un vero capitano coraggioso...
Carlo Gambescia
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