Medio Oriente
A brigante brigante e
mezzo. E subito
Perché l’Occidente non vuole dichiarare guerra all’Isis? Per rispondere a una
domanda del genere, che rinvia alle radici storiche del
moscio pacifismo attuale, non basterebbero neppure centinaia di libri… Perciò,
tanto vale, rischiare, provando a rispondere in duemila battute.
Le tesi principali sono due (e in
fondo collegate): consenso e burro
I seguaci della prima tesi
ritengono che le democrazie, fondate sul
consenso, non possono auto-affondarsi puntando su uno strumento impopolare come
la guerra. Di qui, il trattativismo ad oltranza (tradotto: ciurlare nel manico).
I fautori della seconda tesi
sostengono invece che le guerre costano, e le democrazie di cui sopra, se
vogliono durare ai cannoni devono sempre
preferiscono il burro. Di qui, il trattativismo
ad oltranza.
I nemici ne sono a conoscenza? Ma
bien sûr… Che fare allora ?
Uno. Rendere popolare la guerra? A
prescindere dagli effetti della propaganda, più meno a lungo termine, la transizione a una società "ribellicizzata", avendo i suoi costi, influirebbe prima o poi sul tenore di vita. Ciao consenso.
Due. Farla combattere agli
alleati (o quasi) dell’Occidente? In pratica è
quel che ora accade. Però la scelta ha comunque un costo e le guerre in appalto
a terzi, vanno per le lunghe. Sicché, prima
o poi, ciao consenso.
Tre. Continuare a trattare sperando in una conversione al buonismo
democratico del’avversario: il che potrebbe
funzionare con l’avversario pragmatico,
non con il nemico fanatizzato che tende ad
elevare il livello di scontro, portandolo nel cuore dell’Occidente, come sta
accadendo. Sicché, anche in questo caso, si rischia, prima o poi, il ciao-ciao di un cittadino, sempre più
insicuro e impaurito ( il vecchio scambio protezione-obbedienza, Hobbes docet).
Morale: non si può continuare a far finta di nulla,
per prendere tempo. Il consenso, così
sacro per le democrazie, rischia di incrinarsi comunque. Perciò, sarebbe meglio giocare d’anticipo… Altrimenti detto: a brigante brigante e mezzo. E subito.
Carlo Gambescia
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