I caccia egiziani, per ora, ci “tolgono le castagne dal fuoco”
E intanto fanno il bagno a Cesenatico…
Oggi nelle aperture dei giornali c’è molto Tsipras, mentre la Libia è relegata
nei tagli centrali. Chissà per quale ragione?
Forse perché i jihadisti sono stati
respinti? E come? A chiacchiere o manu militari? Sulla questione, non secondaria, larga parte dei giornali invece glissa... Evidentemente, il fatto che l’avanzata del nemico sia stata fermata dal bombardamento aereo egiziano (ossia militarmente) non è sintonia con i belati del presepe
pacifista e trattativista (quelli del “capire le ragioni profonde” eccetera). L’Egitto - e qui non importa la motivazione immediata (l’eccidio
dei copti cristiani; la storia spesso è più forte degli uomini) - ha fatto quello che avremmo dovuto fare noi: Italia, Europa, Usa.
Oggi, nei giornali, al silenzio sull’importanza
dell’operazione militare egiziana, si affianca il pre-primaverile risveglio dei
piazzisti dei buoni sentimenti, quelli con la mano sul cuore e la boccuccia a culo di gallina... I quali fanno finta di non sapere che se la situazione
non è subito precipitata, il merito non
è dei buoni propositi dei pacifisti o dei virtuosismi diplomatici della Comunità di Sant’Egidio, ma delle bombe egiziane (*). Sicché, in Libia c’è la guerra e in Italia, per dirla con la vecchia
canzonetta, si fa il bagno nella Cesenatico delle chiacchiere buoniste…
Quel che i pacifisti - ammesso e
non concesso che siano in buona fede - non
capiscono è che la trattativa è un mezzo non un fine. Un mezzo, proprio come quello militare. E solo con l’uso prudente dei due strumenti, soprattutto nelle
situazioni di crisi, è possibile limitare i danni (sempre in senso relativo). Ora, quando
un conflitto è in corso, come nel caso, la logica delle "trattative subito!" non può essere efficace per un semplice fatto: un contendente in vantaggio (sul campo) difficilmente si fermerà
per trattare. Di qui, l’importanza, anche per trattare su un piede di maggior parità, da parte dell'altro contendente, di ripristinare
l’equilibrio militare, anche attraverso l’uso della forza. Quindi, di per sé, la trattativa, non è mai risolutiva, o viene prima o viene dopo
una guerra, mai durante, se non, ovviamente, nelle situazioni di stallo, come dire, di equilibrio
militare forzoso realizzato però sempre sul
campo. Figurarsi poi in presenza di
contendenti fanatici che credono in modo assoluto nella vittoria finale.
La logica del “prima di tutto mettiamoci intorno a un tavolo per ragionare" non funziona sempre nei parlamenti, figurarsi sui campi di battaglia. Naturalmente, per fare uso sapiente degli strumenti militari e diplomatici servono chiari obiettivi politici, classi dirigenti all'altezza, popoli coesi e solide alleanze. Sicché, spesso, il pacifismo trattativista è la foglia di fico per coprire la propria debolezza (Machiavelli docet).
Concludendo, innanzitutto si sconfigge il nemico o comunque
lo si mette in condizioni di non nuocere, dopo di che,
in relazione al suo tasso di pericolosità e/o utilità, si
decide il suo destino. Allora sì, “al tavolo della pace”…
Carlo Gambescia
(*) Su tali questioni e sulla Comunità di Sant'Egidio - la cui attività è degna del massimo rispetto - si legga l'interessante contributo uscito ieri sul "Foglio: "http://www.ilfoglio.it/articoli/v/125693/rubriche/libia/libia-perch-litalia-e-forse-rester-un-paese-inadatto-a-guidare-una-guerra-indagine.htm
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