Il libro della settimana: Paolo Bonetti,
Breve storia del liberalismo di sinistra.
Da Gobetti a Bobbio, postfazione di Dino Cofrancesco, Liberilibri, Macerata 2014, pp. 228, Euro 16,00.
http://www.liberilibri.it/paolo-bonetti/226-breve-storia-del-liberalismo-di-sinistra.-da-gobetti-a-bobbio.html |
Esiste
un liberalismo di sinistra? E se sì, cosa lo distingue dal liberalismo di
destra? Diciamo subito che siamo piuttosto scettici. Non desideriamo anticipare giudizi, magari sbrigativi, perché
non sarebbe rispettoso verso un libro, comunque interessante, come quello di Paolo Bonetti, Breve storia del liberalismo di sinistra. Da Gobetti a Bobbio ( Liberilibri). Lasciamo perciò la parola a Bonetti, già professore di Filosofia
morale nell’Università di Cassino e di Bioetica a Urbino, di cui piace
ricordare un piccolo classico: il suo libro dedicato alla rivista “Il Mondo” (Laterza 1975). Ma veniamo al punto:
«Direi
che il comun denominatore sta in quella
che il grande storico liberale di Cavour e del Risorgimento Adolfo
Omodeo, che fu esponente autorevole della “destra azionista”, chiamava libertà
‘liberatrice’, una concezione delle libertà che non si chiude mai nella difesa delle istituzioni liberali così come si
presentano in un determinato momento
storico, ma mira a rinnovarle sotto la spinta di nuovi bisogni sociali e di
nuove forme di vita comunitaria. Una libertà, insomma, espansiva ed esclusiva,
che rifiuta di essere la semplice apologia dell’ordine liberale dato, ma vuole
continuamente rinnovarlo per impedire
che diventi il semplice tutore giuridico di ceti e gruppi variamente
privilegiati. Il liberalismo di sinistra non si accontenta di un formalismo liberale che giudica sostanzialmente
conservatore, ma cerca sempre di dare nuova linfa alle istituzioni liberali
attraverso l’allargamento progressivo
della base sociale che deve, con il suo consenso, sorreggere, queste
istituzioni» (p.12).
All’interno
di questo comune denominatore, Bonetti asserisce di
aver individuato due tendenze
principali. La prima:
«Da
una parte c’è la linea , naturalmente,
con tutte le differenze che sono state messe in evidenza tra i singoli
protagonisti, Gobetti-Rosselli-Calogero, la linea del liberal-comunismo (anche se, francamente, questo termine mi
appare come un vero e proprio ossimoro politico, poiché non si vede come sia
possibile conciliare il monismo comunista con il pluralismo liberale) , del
socialismo liberale e del liberalsocialismo, in cui si ipotizza, pur nel
mantenimento del costituzionalismo
liberale, una radicale trasformazione della struttura economica in senso socialista, se non addirittura
comunista » (p. 180)
La
seconda:
«Dall’altra
abbiamo la linea Amedola-La Malfa con la destra azionista prima col partito
repubblicano poi -“Il Mondo”, che è una classica linea di democrazia liberale
riformatrice, che si muove sostanzialmente all’interno del capitalismo
liberale, per il quale chiede riforme anche profonde ma non tali da incepparne
i meccanismi di sviluppo, Naturalmente si possono trovare , anche all’interno
di questa linea, fasi di maggiore
statalismo o di maggiore liberismo, ma non si esce mai da quell’economia a due
settori, pragmaticamente flessibile nelle sue scelte, che era poi
l’eredità del liberalismo crociano in
seguito corroborata al New Deal
rooseveltiano, dal nuovo laburismo inglese, e dall’esperienza della socialdemocrazia tedesca dopo il congresso di Bad Godesberg
(1959)» (p.181).
Il
che, (prima e seconda "linea"), se abbiamo capito bene, sarebbe il frutto prezioso del
«
metodo liberale su cui tanto si insiste,
[metodo] che anche noi invochiamo per le nostre società incerte tra la deriva populista e l’illusione
tecnocratica, quello della persuasione (l’etica del dialogo su cui si
soffermerà […] il liberalsocialista Guido Calogero) e delle regole che debbono dar vita a un
patto di “civiltà” capace di tenere assieme uomini di tutte le fedi, ma che
vogliono comunque salvaguardare, nelle differenze, la loro comune umanità» (p.
61).
Due osservazioni.
Punto
uno. Definire di sinistra, un pensiero "espansivo" che non si riconosce nell’ esistente (quindi accettare la “chiave”
progressista) non sembra propriamente liberale, perché contrario al "metodo" ricordato da Bonetti: perché se il
metodo è fondato sull’etica del dialogo, tale etica, in quanto insieme di
regole condivise, non può essere né conservatrice né progressista. Insomma, il liberalismo, se e in quanto tale, non
può praticare sconti argomentativi di
nessun genere, a destra come a sinistra.
Punto
due: Bonetti, nella sua argomentazione, sembra confondere il politico (come insieme di costanti) con lo
stato (che è solo una delle forme istituzionali, storiche e sociologiche assunte dal politico), sicché rischia di
appiattire il liberalismo di sinistra sul ruolo rettificatore dello stato (mentre a destra commettono l' errore
opposto quei liberali che fanno del liberalismo l’omologo del
distribuzione mercatista).
Insomma, per dirla tutta, Bonetti, al tempo stesso, per un verso vincola il
liberalismo al transeunte ( lo stato), per
l’altro, in nome di un’entità metastorica (il progresso, ma lo stesso si potrebbe dire per il "regresso", spesso, polemicamente celebrato da conservatori e reazionari), divorzia da ciò che è transitorio (mentre il conservatore, a sua volta, sposa erroneamente il temporaneo,
trasformandolo in fattore
metastorico). Pertanto, siamo d’accordo
con l’opportuno richiamo di Cofrancesco
alla concretezza, per così dire né-destra-né-sinistra, di un Vincenzo Cuoco, quale fattore cognitivo fondante (del liberalismo). Concretezza assai vicina a quel forte senso della realtà presente in pensatori, anch’essi protoliberali
come Burke, Tocqueville o dichiaratamente liberali come Pareto, Mosca, Croce,
Ferrero, Weber, Ortega, de Jouvenel, Röpke, Freund, Aron Berlin. Da noi altrove
definiti “liberali tristi”, politicamente trasversali, perché
consapevoli, alcuni per scienza altri per filosofia, che purtroppo l’unico modo
per comandare alla politica sia quello di
ubbidire alle sue leggi. Si dirà che anche il concetto di "liberalismo triste" è una delle tante definizioni possibili, quindi opinabile. Giusto. Inoltre, va pure ammesso che non pochi dei pensatori da noi citati, tornano anche nel saggio di Bonetti. Ciò però potrebbe anche indicare, come abbiamo letto da qualche parte, che un errore è
tanto più pericoloso quanta più verità
racchiude. Ma dov'è l'errore, dov'è la verità? Ecco il vero punto: semplificando (Billy Wilder docet), nessuno è perfetto. E questa probabilmente, resta l'unica verità. Soprattutto per un liberale.
Carlo Gambescia
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